L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Valčuha conquista il Paladozza

di Alberto Spano

La stagione del Teatro Comunale riparte dal Paladozza con il cartellone sinfonico: Juraj Valčuha domina al meglio il nuovo spazio riconfermando la sua grandezza; il violinista Valeriy Sokolov è eccezionale nel Secondo concerto di Prokof'ev.

BOLOGNA, 21 settembre 2020 – Sol si re, mi-do-re. Sol si re, mi-do-re…. Mai incipit di concerto è stato più atteso a Bologna, nella fattispecie nell’ormai ‘storica’ esecuzione al PalaDozza del Secondo Concerto per violino e orchestra di Sergej Prokof’ev da parte del violinista ucraino Valeriy Sokolov, con l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, diretta da Juraj Valčuha.

Lì si era finalmente giunti lunedì 21 settembre, quasi mille persone, educatamente e pazientemente sedute nei propri posti dopo qualche inevitabile lungaggine all’ingresso per la ri-assegnazione del proprio posto di abbonamento. Mille o poco meno abbonati orfani di tanti concerti cancellati durante il lockdown e finalmente riuniti alla nuova Casa della Musica del Teatro Comunale, il PalaDozza di piazza Azzarita, il glorioso palazzetto del basket felsineo inaugurato nel 1956, riadattato per l’occasione in auditorium, con capienza di ben mille posti distanziati e in perfetta sicurezza anti-Covid. Una specie di miracolo all’italiana (forse nessun teatro europeo al chiuso può offrire attualmente una capienza altrettanto generosa), una coraggiosa, meglio ‘audace’ scelta della Sovrintendenza, nella fattispecie del violinista-sovrintendente Fulvio Macciardi, per salvare buona parte della stagione sinfonica e operistica del Teatro Comunale durante la perdurante emergenza sanitaria.

L’attesa si percepisce sia in fila all’ingresso che all’interno della vastissima costruzione, con un filo di preoccupazione per la resa sonora durante la prova del fuoco col pubblico, dopo chissà quante sperimentazioni a porte chiuse.

Passato in pochi minuti il primo disorientamento auditivo dovuto alla sensazione di un suono abbastanza lontano e poco definito (a parte l’assolo iniziale del violino, reso con eccellente precisione dal solista e captato perfettamente dal microfono), constatata un po’ a malincuore la radicale diversità delle acustiche del Manzoni e del Comunale, mille persone (per la prima volta dopo sei mesi), ansiose quanto mai di ritrovarsi davanti a una completa orchestra sinfonica, possono finalmente apprezzare l’immane sforzo collettivo di trasformare un palazzetto dello sport in una sala di concerto. Precedenti concerti con musicisti illustri (Pavarotti, Abbado e Mehta), del resto facevano ben sperare.

Alla fine, in mezzo agli applausi convinti, è promozione piena per l’acustica lunga e riverberata del PalaDozza, frutto di varie alchimie acustiche ed elettroniche ben realizzate dai tecnici del suono del Teatro Comunale. Ecco ritrovata, in collocazione centrale dietro i musicisti, la preziosa camera acustica lignea donata quattro anni orsono da Alfa Sigma, quanto mai utile in questo caso per “raccogliere” il suono orchestrale e convogliarlo al meglio in un set di ben undici diffusori acustici di nuova generazione, installati su tre bracci di un’enorme “americana” sospesa a più di venti metri dalla platea, adibiti a diffondere il suono in modo il più uniforme e omogeneo possibile verso una platea di sedici file e sugli spalti frontali e laterali. Risultato finale tutto sommato piacevole, che privilegia un suono morbido dell’orchestra, che smussa gli spigoli e arrotonda. Anche se ulteriori correttivi dovranno a nostro avviso essere fatti per aumentare in potenza e definizione il suono orchestrale e nel contempo attenuare il sostanzioso riverbero, giocando sul missaggio dei suoni captati dai microfoni davanti ad ogni professore d’orchestra. Un’arte, quella della presa del suono, del suo mixaggio e amplificazione, che necessariamente nei prossimi tempi diverrà uno degli elementi costituivi della buona riuscita di ogni concerto e opera lirica.

Grande nitore e bella presenza strumentale nella prova del trentaquattrenne violinista ucraino Valeriy Sokolov (nessuna parentela col pianista), al suo debutto sotto le Due Torri: vincitore a 18 anni del Premio Enescu, egli è un musicista eccezionale, dalla perfetta intonazione e da idee di infallibile gusto ed eleganza, che del secondo Concerto esalta le precipue caratteristiche di cantabilità, classicità e gioia melodica di questo concerto. Si realizza così alla perfezione il credo poetico dell’autore, espresso in un celebre articolo pubblicato il 16 novembre 1934 sul quotidiano “Izvestija”, voce ufficiale del governo sovietico: «Si potrebbe qualificare la musica di cui abbiamo bisogno come “facile e sapiente”, o “come sapiente ma facile”. Non è così semplice trovare il linguaggio che le conviene. Innanzitutto deve essere melodica, di una melodia semplice e comprensibile che non deve essere d’altra parte rimasticata, né avere un profilo banale». In fraterna armonia con lui, Juraj Valčuha dal canto suo conduce l’Orchestra del Comunale con altrettanta sapiente saggezza, tempi giusti e perfetta linea musicale. Una lettura che trova classicità e purezza anche in un’opera sulla carta ben più ribollente di sonorità e turgori quale la Quinta Sinfonia in mi minore di Tchaikovsky. È lo stesso autore negli schizzi ritrovati a descrivere una sorta di programma narrativo dell’ampio primo movimento, che però si propaga ineluttabilmente attraverso tutta la sinfonia: “Introduzione. Totale sottomissione al Fato o, che è la stessa cosa, all’imperscrutabile disegno della Provvidenza. Allegro. I Sussurri, dubbi, lamenti, rimproveri contro… dovrei gettarmi nell’abbraccio della Fede?”.

Juraj Valčuha sembra realizzare totalmente le indicazioni dell’autore, con gesto eloquente e orecchio sopraffino a modulare il suono orchestrale con efficacia all’interno della particolarissima acustica. Capacità quest’ultima non comune nei giovani direttori, ma assolutamente essenziale, una dote rara, anzi rarissima, che spesso fa la differenza fra il bravo direttore e il grande direttore. Lo slovacco Valčuha, quarantaquattro anni, grande direttore lo è di certo, poiché sa far suonare egregiamente l’Orchestra del Comunale, mette a loro agio tutti gli strumentisti scegliendo tempi e sonorità adatte alle circostanze, in definitiva dona una lettura della Quinta di Čajkovskij quanto mai naturale, fluida e avvincente.

foto Andrea ranzi - studio Ranzi Casaluci


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