L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Puccini senza parole

di Roberta Pedrotti

Omaggio del Festival Pucciniano al compositore nel giorno del suo compleanno, il concerto proposto da Rai5 dimostra, con un'essenzialità che forse un po' sacrifica la fruizione televisiva, le idee chiare e intelligenti del nuovo direttore artistico Giorgio Battistelli e del maestro Roberto Abbado, che tesse le fila di un discorso articolato fra Wagner, Puccini, Mascagni e Ponchielli.

Rai5 da Torre del lago, 22 dicembre 2020 - Dopo una piccola corsa a ostacoli fra annunci diversi e rimescolamenti di palinsesto, finalmente arriviamo a questo omaggio a Puccini nell'anniversario della nascita confezionato per la trasmissione televisiva dal festival di Torre del Lago. Un omaggio minimalista, non c'è che dire, se non altro perché s'infila nella programmazione senza una parola d'introduzione, senz'altro che la musica e le panoramiche di musei, residenze, paesaggi fra Lucca e Massaciuccoli. Da un lato, da un punto di vista strettamente televisivo forse si sacrifica un po' troppo all'essenzialità: bene evitare fronzoli che possono scadere nel cattivo gusto o, in questi momenti, nell'inopportuno, ma soprattutto la scelta del programma avrebbe meritato d'essere altrimenti valorizzata e sottolineata. Dall'altro lato, infatti, abbiamo da parte del direttore artistico Giorgio Battistelli e del maestro Roberto Abbado una scelta non banale, anzi, intelligente e antiretorica, che si fa apprezzare proprio nella sua deliberata sottrazione. Difficile, impossibile pensare a Puccini senza canto e senza teatro, lui stesso proclamava di non voler scrivere “musica pura” ma di aver bisogno di parole, caratteri, azioni, situazioni. Tuttavia, l'opera in forma di concerto (quale?) sarebbe stata problematica, forse avrebbe saputo di ripiego, come un recital di romanze da camera e brani isolati. Allora, si fa l'opposto: Puccini senza teatro, o, meglio, un teatro negato, invisibile, muto, eppur presente, così come resta presente ora che un virus ce lo nega e allontana.

Per sola orchestra il Sor Giacomo ha scritto davvero poco, ma quel poco si intreccia in opportuni accostamenti per raccontare la formazione del compositore, il suo mondo, i riferimenti e le suggestioni. Wagner, in primo luogo, ci ricorda il ragazzino che varca l'Appennino per ascoltare a Bologna la novità tedesca, tutta una generazione che guarda oltre le Alpi avida di novità e nuovi orizzonti artistici, fatalmente associati, anche a sproposito, al Nume di Bayreuth. La scelta della sinfonia di Rienzi, però, ci mostra pure un Wagner giovane, che fa prove tecniche di grandiosità e fiancheggia il grand opéra, non ancora puramente wagneriano, ma emblema di quel cosmopolitismo progressivo che per molti giovani compositori italiani sarà identificato con il wagnerismo. Lo dimostra l'atmosfera del Preludio sinfonico scritto da un Puccini poco più che ventenne che si perfeziona a Milano, frequenta gli Scapigliati e se ancora deve maturare la sua identità artistica ha già forgiato, anche a Lucca, strumenti tecnici di prim'ordine. Gli si accoppia il precoce successo dell'altro giovane talento toscano a Milano, Mascagni con l'Intermezzo di Cavalleria rusticana. Ecco le nuove generazioni che tracciano la loro strada, ed ecco ancora Puccini con il Capriccio Sinfonico noto per la prima apparizione del tema iniziale della Bohème, chiarissimo nell'enunciazione e poi via via sagacemente variato e camuffato. Se il Preludio era più pensoso, ambizioso nel suo pathos e nel suo respiro timbrico e melodico, il Capriccio mostra un estro magari non altrettanto ordinato, ma gestito con sapienza e istinto teatrale: non è solo il mito di Wagner e l'ambizione di rinnovare la tradizione senza rinnegarne la cantabilità a farsi sentire, ma anche l'influenza della musica francese, delle danze, di vivaci suggestioni mitteleuropee e slave. E, difatti, si chiude il programma con una pagina del maestro di Puccini al Conservatorio, Amilcare Ponchielli (per inciso, l'altro insegnante, Antonio Bazzini, scrisse un'opera intitolata Turanda: magari sarebbe interessante rispolverarla!), La danza delle ore dalla Gioconda. Una musica spudoratamente descrittiva, colorita, fisica, fino al Can Can trapiantato dalle rive della Senna a quelle del Po.

Roberto Abbado evidenzia con fraseggio asciutto affinità e distanze, fili conduttori e peculiarità singole del programma. Certe arcate nella sinfonia di Rienzi sono perfino aspre, a ribadire che non è una tronfia grandeur quel che si cerca nella parabola dell'ultimo dei tribuni, ma l'affinarsi di un linguaggio teatrale grande nella sua ricchezza spregiudicata, nella sua ambizione e lungimiranza. Nel Preludio sinfonico come nell'Intermezzo mascagnano interessa far emergere un'ispirazione melodica che non è mai scontata o leziosa, bensì pensata nelle dinamiche e nell'articolazione, oltre che in un'abile scrittura orchestrale. Parimenti, il Capriccio non gioca a nascondino con le anticipazioni della Bohème, ma si esprime di per sé nel suo valore: non conta solo per quel celebre tema e dello stesso celebre tema più della familiarità vale il trattamento spiritoso e multiforme. S'intuisce una scintilla in più rispetto al maestro Ponchielli, anche se il mestiere di questi nelle forme della danza è più saldo e, ancora una volta, Abbado lo sbalza con finezza ma senza perdere di vista la definizione di ogni quadro in un elegante e ben variegato dinamismo. Insomma, non un festoso gioco pirotecnico di colori e gambe di ballerine, ma un pezzo di teatro, musica senza parole che però dice e agisce, tiene salde le sue radici e guarda verso altri orizzonti, raccoglie affluenti e rafforza la sua identità. Un bel saggio sinfonico, in sole cinque tappe essenziali, del mondo musicale del giovane Puccini. Mancano le parole, ma arriveranno, così come noi torneremo a vivere il teatro, a completare questa scheggia orchestrale che spunta quasi enigmatica in un pomeriggio di dicembre in pandemia.


 

 

 
 
 

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