L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Tre volte Beethoven

Giuliana Dal Piaz

La meno frequente ouverture  König Stephan, il Quarto Concerto per pianoforte e orchestra (solista Seong-Jin Cho) e la Settima sinfonia aprono le celebrazioni beethoveniane della Toronto Symphony Orchestra sotto la direzione di sir Andrew Davis.

TORONTO, 11 gennaio 2020 - Per tutto il 2020, l’orchestra sinfonica di Toronto celebrerà il 250º anniversario della nascita di Beethoven con una serie di concerti, il primo dei quali ha appena avuto luogo nella Roy Thomson Hall, l’auditorium più grande della città. In programma, l’Ouverture König Stephan, op. 117, il Concerto per piano n. 4 in Sol Maggiore, Op. 58 e la Sinfonia n. 7 in La Maggiore, Op. 92.

Composto nel 1811 su commissione dello scrittore von Kotzebue, all’epoca molto noto e apprezzato,  König Stephan è un pezzo celebrativo per l’inaugurazione del nuovo teatro di Pest, la zona orientale della capitale ungherese. Beethoven lo scrisse in meno di venti giorni durante un periodo di vacanza ed è chiaramente un pezzo “commerciale” non all’altezza della generale produzione del compositore. Essendo chi era, non vi mancano tuttavia alcuni spunti belli e interessanti, come l’insolito incipit: una discesa per quarte attraverso diversi strumenti. Praticamente solo l’ouverture viene ancora eseguita, e anch’essa non di frequente.

Il Concerto per piano n. 4, invece, è molto noto. Si è spesso detto che Beethoven avesse in mente il mito di Orfeo ed Euridice nel comporlo, anche se non esiste alcuna indicazione decisiva al riguardo. Primo dei concerti in cui l'autore poté utilizzare le risorse del nuovo fortepiano viennese a sei ottave, fu anche l’ultimo (dicembre 1808, a Vienna) che Beethoven diresse personalmente, mentre eseguiva la parte solistica; ho visto solo Daniel Barenboim fare lo stesso alcuni anni fa.

Pur mantenendo la struttura formale del concerto mozartiano, vi trasfonde lo spirito e la “voce” romantica con una serie di modalità espressive complesse e drammatiche. Le due voci - quella del pianoforte che dà inizio al concerto senza accompagnamento con un breve accordo poi ripreso da altri strumenti, e quella dell’orchestra - si alternano, raramente si combinano, in quello che è un colloquio piuttosto che una contrapposizione: l’una sembra ripartire, cominciare dove l’altra finisce, completandola e approfondendola. Già i contemporanei avevano colto novità, bellezza e importanza del concerto, se nel 1809 la Allgemeine Musikalische Zeitung lo definiva “il più ammirevole, il più singolare, il più artistico e difficile di tutti quelli che Beethoven ha scritto”. I maggiori pianisti internazionali si sono cimentati con questa partitura “ardente e melanconica, eroica ed eterea, angosciata ed eccentrica […] brillante e rapsodica, colma di melodie sensuali, scale ed arpeggi travolgenti...”, come scrive lo storico musicale Kevin Bazzana nelle sue note al programma di sala. In quest’occasione, è il giovane pianista coreano Seong-Jin Cho che affronta, per la prima volta a Toronto, il concerto di Beethoven e lo fa dimostrando una straordinaria preparazione musicale, agilità e leggerezza di tocco. Vincitore di concorsi e premi fin dal 2015, presentatosi o prossimo a esibirsi in molti paesi del mondo, è una grande promessa della tastiera. La sua giovane età lo rende tuttavia, a mio parere, troppo preoccupato dell’assoluta precisione tecnica a scapito della connessione emotiva: a momenti, invece di star in qualche modo comunicando con l’impeccabile orchestra sinfonica e con il pubblico che lo ascoltava deliziato, sembrava suonare in una sua sfera asettica e isolata. Applaudito a lungo con entusiasmo, alla fine del Concerto ha concesso un breve bis: uno dei Momenti Musicali D780 di Schubert.

La seconda parte della serata è stata dedicata alla Settima Sinfonia, presentata per la prima volta nel dicembre 1813 ma composta tra il 1811 e il ‘12. Una delle ultime composizioni “eroiche” di Beethoven, è tra le sue più conosciute, grazie alla diffusione data soprattutto al suo secondo movimento, l’Allegretto, troppo spesso eseguito come una marcia funebre, mentre il suo tempo originale è piuttosto quello del volteggiare di una danza, con aspetti a tratti cupi ma anche riflessivi e delicati. Non diede forse Wagner di questa sinfonia la definizione di “apoteosi della danza”?

È certamente una celebrazione, gioiosa e libera, segnata dal forte carattere ritmico di tutti i movimenti, che sfocia in un finale galoppante ed esplosivo.

Quasi per definizione, la sinfonica di una città importante raccoglie il meglio del talento musicale locale: così è, ovviamente, anche nel caso della Toronto Symphony Orchestra, che qui chiamano solo la TSO. Integrata da dozzine di eccellenti strumentisti, al gran completo solo in rare occasioni, la TSO è stata guidata ancora una volta in questa occasione dallo straordinario Sir Andrew Davis, suo direttore stabile per tredici anni in passato, e ultimamente direttore musicale ad interim per due stagioni (2018-2020), prima di cedere la carica, dalla primavera, Gustavo Gimeno.

Foto di  Jag Gundu

Beethoven 7 Stagione 2019-20 della Toronto Symphony Orchestra. Roy Thomson Hall (8, 10, 11 gennaio). Musiche di Ludwig van Beethoven. Direzione: Sir Andrew Davis. Solista al piano: Seong-Jin Cho.


 

 

 
 
 

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