L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Ironia della morte

di Antonino Trotta

Nell’anno delle celebrazioni dantesche il Teatro Municipale di Piacenza omaggia il Sommo Poeta con un nuovo allestimento di Gianni Schicchi: brillano i protagonisti – Giuliana Gianfaldoni e Roberto De Candia su tutti – e piace lo spettacolo creato da Renato Bonajuto con i costumi di Artemio Cabassi e la bella scenografia del giovane Danilo Coppola.

Streaming da Piacenza, 22 gennaio 2021 – Dentro casa la pace assoluta e fuori l’inferno: il finale di questo Gianni Schicchi, nuovo progetto/omaggio del virtuosissimo Municipale di Piacenza – anche senza pubblico il teatro sta portando avanti la sua lodevole stagione operistica, siamo già al terzo titolo rappresentato! – a Dante Alighieri – quest’anno ricorre il settecentesimo anniversario della sua morte –, ricorda vagamente qualcosa. Per sfuggire alle fiamme eterne, entro cui il Sommo Poeta lo confina, al simpatico truffatore basta chiudere la porta: Schicchi è furbo, lo capisce subito e alla fine si salva – certo, se la casa è tanto bella quanto quella immaginata dal giovane Danilo Coppola, molto curata nei preziosi dettagli e pure di ampia metratura, rintanarsi dentro in letargo è quasi un piacere –.

Di nuovo al Municipale dopo Il barbiere di Siviglia dicembrino, Renato Bonajuto confeziona per le celebrazioni dantesche uno spettacolo che piace per i toni garbati con cui racconta la commedia e ironizza sulla morte, filo conduttore dei tre pannelli del Trittico con il quale Puccini sembra addirittura esorcizzare il presentimento della propria dipartita – «La pace è nella morte» spiega Michele nel Tabarro, «La morte è vita bella» canta, in preda all’estasi religiosa, suor Angelica nell’opera omonima, «Da morto son rinato!» tuona Schicchi mentre indossa i panni del povero, ma poi non così tanto, Buoso Donati –. Questa volta Bonajuto sembra quasi lavorare per sottrazione: dà respiro al testo, strizza l’occhio divertito agli odierni protocolli anti-Covid ma mantiene il tono della commedia leggero, senza appesantire il discorso fino al parossistico, senza eccedere nelle gag che dell’opera buffa sono purtroppo la dannazione – in perfetto stile di contrappasso per analogia –. Spostata l’ambientazione durante il boom economico del secondo dopoguerra, a cui fanno riferimento i bei costumi di Artemio Cabassi, i personaggi, ben caratterizzati sul piano della recitazione, armonizzano perfettamente nel nuovo contesto creatosi – Gianni Schicchi, vestito da tamarro, conserva integri i principi proprio di chi non nasce ricco; Lauretta, più maliziosa e degna Schicchi, sa come convincere papà ad aiutare i Donati e soprattutto Rinuccio, qui vestito da studente della Normale –. Se comunque il tutto non si discosta da un percorso tradizionale, il finale, quando Firenze scompare dall’enorme affresco sulla boiserie per lasciar spazio a un dettaglio del dipinto “Dante e Virgilio all’Inferno” di William Bouguereau, introduce con intelligenza il contributo e l’omaggio Dantesco nella messinscena – ottime, soprattutto in questa scena, le soluzioni di luce di Michele Cremona –.

Il cast è ottimo e trova in Roberto de Candia e Giuliana Gianfaldoni le sue punte d’eccellenza. De Candia, al di là delle le riconosciute e innegabili qualità di fraseggiatore e cantante, è interprete ideale perché capace di soppesare ogni parola e ogni nota con la giusta intensità d’accento, cogliendo del delizioso testo di Forzano sempre una sfumatura arguta e nuova. Del resto è pur sempre allievo di Sesto Bruscantini e al suo maestro rende ovunque onore nel migliore dei modi. Giuliana Gianfaldoni, bellissima, bravissima, biondissima e dal filato mozzafiato, potrebbe essere la Katia Ricciarelli dei giorni nostri. Ella connota Lauretta con quella voce cristallina e angelicata che inanella mezze voci come perle: difficile ascoltare «O mio babbino caro» più personale di così, carico di pathos e sfaccettature, tutto giocato sul piano, malinconico e pieno di vita al tempo stesso. Non è da meno Matteo Desole che affronta con piglio e ardore giovanile la scomoda parte di Rinuccio: la voce squilla, il canto è sicuro, il personaggio ben centrato. Bravi tutti i comprimari: Valeria Tornatore (Zita), Andrea Galli (Gherardo), Renata Campanella (Nella), Graziano Dellavalle (Betto), Mattia Denti (Simone), Juliusz Loranzi (Marco), Stefania Ferrari (La Ciesca), Valentino Salvini (Maestro Spinelloccio), Simone Tansini (Ser Amantio de Nicolao), Francesco Cascione (Pinellino Calzolaio), Lorenzo Sivelli (Guccio Tintore), Elettra Secondi (Gherardino), Michele Zaccaria (Buoso).

Sul podio, Massimiliano Stefanelli dirige con cura e buona intenzione teatrale l’Orchestra Filarmonica Italiana: il dettato è valorizzato tanto delle impennate travolgenti quanto nelle oasi più liriche e sfacciatamente pucciniane, dove Stefanelli ha il gran merito di far cantare l’orchestra – e i cantanti – senza però mai dissimulare il gioco sagace e il mordente della commedia.

Ottimo il lavoro, giacché si parla ancora di streaming, della squadra di OperaStreaming nella ripresa e nella regia video, fiore all’occhiello del circuito teatrale emiliano, prima canale parallelo all’attività teatrale o ora polmone artificiale con cui si tiene in vita questa straordinaria realtà. Prima dell’opera, l’attore Mino Manni legge con intensità il passo del canto XXX (vv. 1-48) dell’Inferno mentre sullo sfondo, in filigrana, le pagine del prezioso Codice Landiano 190, conservato nella Biblioteca Comunale “Passerini-Landi” di Piacenza e considerato il più antico codice di data certa della Divina Commedia, offrono, ancora una volta, l’occasione al Municipale di farsi fulcro e promotore di cultura e di cultura del territorio. Bravi!


 

 

 
 
 

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