L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Mortadella innaffiata di champagne

di Irina Sorokina

Anche il Filarmonico di Verona apre la stagione in streaming. In scena e sugli schermi, torna a divertire l'allestimento cartoon di Pier Francesco Maestrini e Joshua Held, con un buon cast diretto da Francesco Ivan Ciampa

Verona, 31 gennaio 2021 - No, non si tratta della gastronomia, anche se quando c’è di mezzo Gioachino Rossini, non si può farne a meno. Per prima, proviamo ad invertire le parole del titolo e mettiamo al primo posto lo champagne. Ed ecco che subito fa capolino un grande contemporaneo del Pesarese, il sommo poeta Aleksandr Puškin. Non visitò mai l’Italia, ma ebbe l’occasione di ascoltare la musica rossiniana a Odessa dove da giovane fu mandato “in esilio” dall’imperatore Alessandro I. Definì Rossini “inebriante” e paragonò la sua musica ai “giovani baci” e a un “flusso dorato dell’Ay sibilante”.

Beato Puškin che in esilio godeva la musica di Rossini e l’Ay. Non troveremo però nemmeno una parola sulla mortadella nelle sue opere di poeta: ai suoi tempi in Russia non potevano sospettare della sua esistenza. La mortadella, uno dei simboli di Bologna, spesso chiamata “La Grassa” per le sue prelibatezze gastronomiche, è uno dei prodotti popolari capaci di procurare un giramento di testa anche a raffinatissimi gourmet.

Ma che c’entrano la mortadella e lo champagne con Il barbiere di Siviglia? C’entrano eccome. Torna al Teatro Filarmonico di Verona lo spiritoso allestimento di Pier Francesco Maestrini già presentato nell'aprile del 2015 con meritato successo. Nella versione di Maestrini e del famoso disegnatore Joshua Held tutti i personaggi sono grassoni e somigliano sia al loro “papà” Gioachino Rossini sia alle gigantesche mortadelle di Bologna. L’attuale ripresa mantiene felicemente tutte le qualità di questo divertente e dinamico spettacolo creato da Maestrini su modello del celebre cult hollywoodiano Roger Rabbit dove gli attori in carne e ossa interagivano coi cartoni animati. Il Barbiere veronese non necessita di scenografie, sostituite de un fondale che accoglie le proiezioni dei cartoni più spiritosi e veloci mai visti. Prima della salita del direttore sul podio, lo stesso Gioachino Rossini fa l’appello all’attenzione del gentile pubblico; comodamente sdraiato nel suo letto, scrive musica con velocità vertiginosa. Lo spettacolo si apre con una trovata registica divertente: la partitura risulta persa e il direttore d’orchestra sale sul palcoscenico per chiedere al Cigno di Pesaro di fornirgli i preziosi fogli. La chiave di lettura della celeberrima opera del Maestro sta nella stretta collaborazione con il disegnatore Joshua Held: i cantanti veri comunicano con loro stessi nei panni dei personaggi dei cartoni animati.

L’atmosfera gioiosa e vivace si è mantenuta in sala anche in assenza del pubblico. Non sarebbe stato possibile descrivere tutte le numerose gags e i trucchi inventati da “quei due”, Maestrini e Held: a ogni frase del libretto ha corrisposto un’originale e magnifica trovata. È compito del pubblico (ancora, purtroppo, a casa) non solo di aprire gli occhi e le orecchie, ma anche di munirsi di una certa resistenza. Sarebbe stato un peccato rilassarsi per un attimo, avremmo rischiato di perdere qualche gioiello. I cantanti appaiono dal fondale bianco e dietro a esso spariscono, sempre sul fondale vengono proiettati i loro pensieri in chiave ironica. Rosina si accomoda su un letto coperto dai petali di rose (un riferimento ad American Beauty), il Conte Almaviva sotto le mentite spoglie di Don Alonso non è altro che il “Tenorissimo” Luciano Pavarotti. Un mare di risate un po’ macabre suscita l’aria di sorbetto di Berta “Il vecchieotto cerca moglie” in presenza di corvi che sbattono le ali e scheletri incappucciati. Al finale è riservata la trovata più magnifica e anche un pochino commovente: nel pubblico appaiono Beethoven, Verdi e Puccini per rendere onore alla musica più inebriante mai scritta, e più tardi si uniscono a loro Pavarotti e Allevi. Al pianista vengono gettati dei pomodori e alla fine l’immenso Pavarotti gli si siede sopra.

Al Filarmonico si è presentato un buon cast capitanato da Mario Cassi nel ruolo di Figaro. La natura gli ha fatto un dono della voce chiara e morbida, ma è stata ancora più generosa: il baritono di Cassi risulta simpatico, se così si può dire, all’orecchio. Ha cantato nel modo piacevolmente sciolto, conquistando per l’omogenietà di registri, buono squillo, parola ben studiata e pronunciata; ha disegnato il personaggio del barbiere con un grande senso d’umorismo ed eleganza.

Una leggera delusione ha provocato il tenore argentino Francisco Brito, in possesso di fascino personale, buone qualità attoriali, voce e padronanza di stile necessari per il ruolo del Conte d’Almaviva, se non fosse che la prestazione è stata rovinata da problemi tecnici. Finché si trattava del registro centrale, il tenore accarezzava l’orecchio con buon cantabile e l’accento giusto, ma, appena saliva, il timbro acquistava una sfumatura belante fastidiosa, le colorature erano imprecise e l’acuto affaticato. Del rondò “Cessa di più resistere” nessuna traccia, peccato. Peccato davvero per un cantante che sarebbe potuto essere un Almaviva perfetto.

Rosina/Chiara Tirotta ha brillato di luce tutta sua in questo Barbiere veronese strabiliante; ha saputo portare con grazia un ingombrante costume, recitare con gusto e grande senso d’umorismo e cantare in maniera pressappoco impeccabile. La voce ben timbrata, molto gradevole e leggermente chiara ha calzato perfettamente al personaggio della furbetta Rosina, l’accento garbato doTirotta è risultato degno d’ammirazione e ha reso i recitativi scultorei. Un’altra qualità della cantante è stata la naturalezza; nessun dubbio, né sbavatura dall’inizio alla fine.

Carlo Lepore che possiamo chiamare a pieno diritto mitico, ha seguito la strada della bonarietà per quanto riguarda l’antipatico Don Bartolo; del resto, questa strada corrisponde perfettamente alla sua personalità. Ha rivelato un tutore quasi “sopportabile”, mai sopra le righe, sfoggiando accento molto corretto e il canto chiarissimo nella difficile aria “A un dottor della mia sorte”.

Il giovane Riccardo Fassi dalla voce ampia e morbida è calato perfettamente nei panni di Don Basilio, cogliendo le numerose sfumature del ruolo.

Completavano il cast i comprimari Nicolò Ceriani, Fiorello, e Omar Kamata, un ufficiale; non è passata certo inosservata Daniela Cappiello, una Berta “birichina” e vocalmente apprezzabile.

Sul podio Francesco Ivan Ciampa ha fornito una lettura perfettamente consone all’azione febbrile sul palcoscenico; l’orchestra nelle sua mani ha brillato per l’energia spumeggiante, la pienezza del suono e la precisione ritmica. All’altezza del proprio compito, come sempre, il coro dell’Arena di Verona preparato da Vito Lombardo.

Alla fine, una forte speranza, un augurio bonario: aprire più presto i teatri per poter ascoltare una buona musica e, se si tratta di un’opera rossiniana, ordinare in uno dei bar vicini al teatro un bicchiere di champagne e mandarlo giù accompagnato da un pezzettino di mortadella profumata. In onore del Gioachino nazionale entrato nella storia non soltanto come compositore geniale ma anche come raffinato gourmet.


 

 

 
 
 

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