L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Marie canta in francese

di Sergio Albertini

Ottimo cast, direzione sicura e un ottimo allestimento per la prima produzione della Fille du régiment nell'originale francese a Cagliari.

CAGLIARI, 16 dicembre 2021 - Quell'11 febbraio del 1840, la prima, a Parigi, della Fille du regiment divise i giudizi critici. Théopile Gautier, il giorno dopo, elogiava Donizetti: “Il maestro ha saputo piegare la propria immaginazione a tutte le esigenze dell'opéra-comique”. Hector Berlioz, invece, sul Journal des debats scriveva: “La musica di questa pièce è già stata ascoltata in Italia (…), si trattava di una piccola opera imitata da Le chatelet di Adam”. E tuttavia, già nell'agosto dell'anno seguente l'opera di Donizetti giunge a Cagliari, dopo il debutto scaligero, nella versione italiana di Calisto Bassi. Ampio fu il successo, tanto che pochi anni dopo rieccola riproposta al Teatro Civico, e ancora nel 1862. In tutto il Novecento, tuttavia, si conta una sola edizione (1984), sempre in italiano, all'Auditorium del Conservatorio, sotto la bacchetta di Paolo Olmi e con un cast di brillanti interpreti (Guglielmi, Laghezza, Bertolo, Portella). Alfine, ecco nel 2021 per la prima volta la versione originale francese. Uno spettacolo che oserei definire perfetto. A partire dalla regia vivace, dinamica, gestita con fantasia multipla da Alessio Pizzech: il rispetto per la drammaturgia c'è tutto, dall'ambientazione alla definizione delle parti, ma 'condito' con uno spirito a tratti persino deliziosamente irriverente per il tono surreale e i voluti anacronismi. Ecco innanzi tutto il lavoro attoriale sui cantanti, dai quali Pizzech ha ricavato, esaltandone, gli aspetti più personali e caratteristici: un Tonio a tratti imbranato, un Sulpice tenero e protettivo, una Marie scatenata, una Marquise esilarante. Ecco le scene di Davide Amadei (dei ritagli neri che disegnano montagne 'mimetiche' di gusto militare, o i merli di un castello nel secondo atto), con elementi di scena amabilmente contraddittori (un furgoncino anni '40 che, dalla sua apertura laterale, si trasforma in un delizioso palcoscenico da avanspettacolo pieno di lucine, ma con una lavatrice anni sessanta assolutamente funzionante in cui Marie ripone i panni, un cavallo statuario che riprende quello del Napoleone valica il Gran San Bernardo di Jacques-Louis David su cui fa, nel finale il suo ingresso Tonio – con relative godibili risate tra il pubblico) ed ecco i costumi di Carla Ricotti, che mescola la belle-epoque, le salopette a brache corte, divise simil-napoleoniche con una allegria visiva di curata eleganza. Se Frédéric Chaslin guida con mano sicura un'orchestra del Teatro Lirico cagliaritano (sia pur con qualche piccola imperfezione iniziale nell'attacco dei corni all'Ouverture, e con qualche clangore caciaroso nelle percussioni e nei fiati che calcano la mano sul versate 'militaresco' della partitura), il cast regala una serata di qualità, a partire dal Tonio radioso di Marco Ciaponi, che con una dizione impeccabile, smorzandi elegiaci, acuti ben proiettati (nella celebre aria, puntature ribattute d'alta scuola); non è da meno la Marie di Hasmik Torosyan: voce apparentemente piccola, ma sicurissima nel registro acuto, morbida nel coté elegiaco, frizzante scenicamente e – va sottolineato, essendo il soprano armeno di nazionalità – dalla pronuncia assolutamente invidiabile. Ottimo Sulpice è Bruno Taddia; timbro baritonale pastoso e ben brunito, associa a un canto di ottima fattura una presenza scenica di raffinata cura. Ottime anche la Marquise di Anastasia Boldyreva, caricaturale ma misurata, e la Duchesse di Giuseppina Piunti (ma la parte è stata tagliata ai minimi termini). Il coro, disinvolto, era preparato da Giovanni Andreoli, mentre le luci erano a firma di Valerio Tiberi.

Ma. C'è un ma. Ancora una volta la sala risultava spaventosamente vuota (forse occupata per meno di un terzo). Si spera che la ripresa regolare della stagione 2022 e il ritorno agli abbonamenti possa riportare il pubblico a teatro. Nonostante un futuro che non sembra ancora riportare tranquillità nelle sale da concerto.


 

 

 
 
 

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