L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Corpo e mente

di Roberta Pedrotti

La Form, Orchestra Filarmonica Marchigiana, chiude la sua stagione on line con un concerto dal teatro Rossini di Pesaro, sul podio il direttore musicale Alessandro Bonato, solista al clarinetto Calogero Palermo. In programma Copland e Beethoven, che suonano straordinariamente attuali nell'ordine logico dei contrasti, del gioco e dei virtuosismi, come nell'energia fisica compressa e scatenata, non senza controllo.

Streaming da Pesaro, 27 marzo 2021 - Il ciclo si chiude e compie il suo viaggio fra i teatri marchigiani. Vuoti. Ora non resta che prepararsi a ripartire in quelle stesse, splendide sale piene di pubblico. Così la Form celebra la giornata mondiale del teatro, al Rossini di Pesaro, quando non si tratta solo di compiere un percorso faticoso e doloroso preparandosi ad aprirne di nuovi, ma di prepararsi con cognizione di causa, facendo tesoro delle esperienze.

Il programma di quest’ultima “consegna a domicilio” sollecita infatti un discorso bifronte e complementare: pensiero e azione, mente e corpo. Che è poi quello che ci preme in questo momento: non perdere la lucidità, anzi, ragionare, riflettere, dar valore allo spirito da un lato, recuperare la dimensione fisica, il rapporto diretto, i sensi dall’altro. 

Si comincia con il concerto per clarinetto di Copland, e sarebbe semplice trattarlo come un divertissement a uso di un virtuoso, difficile, difficilissimo per appagare l’illustre, spericolato destinatario Benny Goodman. Senz’altro la componente giocosa è presente anche nei contrasti, nelle allusioni stilistiche, nell’ironia che permea la scrittura. Tuttavia, il gioco, l’ironia, la leggerezza sono arti che non ammettono superficialità, anzi. Così, senz’altro Calogero Palermo, primo clarinetto al Concertgebouw di Amsterdam, suona splendidamente sul piano tecnico, con un virtuosismo esemplare e un registro acuto lucente di cremosa morbidezza anche a dispetto di qualche saturazione nelle casse casalinghe (come a dire fin da subito: il suono è fisico, la musica è fisicità, non aspetta che liberarsi e incontrare il pubblico vibrando nella stessa aria). Calogero Palermo è anche e soprattutto un musicista e instaura un bel dialogo con l’orchestra marchigiana diretta da Alessandro Bonato; allora, quel guizzare agile del solista, il suo muoversi felpato, la cantabilità malinconica e carezzevole, lo spregiudicato moto ritmico non abbagliano di per sé, ma incontrano le altre voci e la collettività in una logica ben intellegibile. Il pensiero balza in evidenza come chiave di lettura anche quando gioca a imbrogliare le carte, suggerire o eludere fino a quell’ultimo gesto del solista che sembra lasciare il discorso aperto a nuovi, infiniti, ma sempre logici e coerenti, sviluppi. Senza che il piacere venga meno, anzi: senza pensiero il mero abbaglio dei sensi resta ben poca cosa.

La Settima di Beethoven sembra il completamento ideale di questo percorso, perché forse nessun altro ha fatto della dialettica interna di temi e moduli elementari il cardine stesso dell’architettura della partitura, un pensiero unitario e complesso, una struttura percepibile istintivamente e che pure non si finirebbe mai di analizzare nel dettaglio della partitura e delle possibili letture. “Apoteosi della danza” disse il Wagner che avrebbe poi sedotto Nietzsche, ma ci sono tanti modi di intendere la danza, sfuggente, eterea, ma anche concretissima metafora dell’esistenza, in ogni caso inevitabilmente fisica. La “fusione di corpo e mente” di cui ancora Wagner scrisse potrebbe dirottare la visione verso un dionisiaco a buon mercato, ma non è questo di cui abbiamo bisogno ora. Ora la Settima che ascoltiamo da Pesaro con Bonato non è nemmeno leggiadra, non è nemmeno gioiosa. Eppure è positiva, perché quella tensione che la pervade è concreta, liberatoria. Tutta la sinfonia è mossa da una dinamica interna che anima con una tensione continua le variazioni agogiche, per cui la distensione del secondo movimento - al pari dell’addolcirsi luminoso ravvisabile nel terzo - è come una rincorsa, un accumulo di energia sempre pulsante verso un moto perpetuo creativo. Insomma, non si tratta di velocità, di tempi fini a sé stessi, ma di un senso di continuo crescendo verso un'akmé che non perde il controllo, che non offusca il pensiero. La presenza perentoria e vitale delle percussioni, l’incalzare della definizione metrica e ritmica non travolge sé stessa, gli accenti netti e asciutti possono essere nervosi ma non nevrotici. Il pensiero c’è, non può non esserci, ma si fa corpo nel suono e la sua forma si evolve senza requie. Ed è proprio del corpo e del suono, del loro moto che dopo un anno di distanziamenti sentiamo il bisogno: Beethoven risponde, con l’appagante spossatezza che chiude il parossismo, composto, dell’allegro con brio.

Corpo e mente, parossismi intelligenti e logica del gioco. È il teatro. La prossima volta, speriamo, dal vivo.


 

 

 
 
 

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