L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Sorrisi e malinconie

di Alberto Ponti

Il grande repertorio russo chiama sul palcoscenico due tra le più interessanti giovani personalità del panorama di oggi

TORINO, 4 novembre 2021 - Poco più di un anno e mezzo separa la prima esecuzione del terzo concerto di Rachmaninov (29 novembre 1909) e quella di Petruška di Stravinskij (13 giugno 1911), ma non si possono immaginare musiche più differenti.

Ben lo sa l'uzbeko Aziz Shokhakimov, gradito ritorno sul podio dell'Orchestra Sinfonica Nazionale in questa prima stagione post covid con il pubblico nuovamente ammesso in sala, favorito dall'essersi formato nell'ambiente russo dove i due compositori, pur antitetici sotto quasi tutti gli aspetti, fanno parte dell'illustre tradizione di casa.

La lettura del Concerto in re minore op. 30, senza tarpare le ali a quella passionalità tardoromantica che è segno distintivo della sua poetica, mantiene una sapiente sobrietà di suono, una misura classica in sintonia con la visione del solista Vadym Kholodenko, ospite per la prima all'auditorium Rai. Il giovane ucraino, nato nel 1986, è un autentico prodigio non solo per tecnica ma anche per maturità e idea interpretativa. In lui precisione e pulizia del tocco, controllo dinamico, naturalezza nell'affrontare i passaggi trascendentali si coniugano con la capacità di imporre alla scrittura di Rachmaninov una valenza personale e appassionante, senza cedere nemmeno in un'occasione alla tentazione del facile effetto e della gestualità gratuita. L'Allegro non tanto, dopo il celebre tema d'esordio a mani unite, è così plasmato secondo una coerente architettura interna in cui i dettagli, lungi dal diventare solo un brillante repertorio di pirotecnia alla tastiera, si trovano evidenziati nel raffinato gioco di corrispondenze che, mantenendo la giusta attenzione e tensione in chi ascolta, rende piena giustizia al più lungo movimento sinfonico dell'autore. Allo stesso modo l'oasi lirica dell'Intermezzo, seguito senza soluzione di continuità dal Finale, segnano un'alta riuscita del dialogo tra pianoforte e tutti orchestrale. La bacchetta di Shokhakimov si fa notare per attenzione al respiro tra gli strumenti (come non ricordare i memorabili assoli di oboe e clarinetto!) riuscendo ad integrare gli abbandoni melodici dei legni ai richiami nostalgici dei corni, ai fiammeggianti squilli degli ottoni, al morbido abbraccio degli archi che, complice il distanziamento imposto anche sul palcoscenico, suonano compatti e avvolgenti a un tempo. Kholodenko è molto differente per stile e temperamento da un Alexander Malofeev, che aveva pochi anni fa infiammato Torino nel medesimo repertorio, eppure la sua esecuzione del terzo concerto è una delle migliori in assoluto che ci sia capitato di udire. Un virtuosismo meditato che ben si addice all'anima profondamente russa di queste pagine. I tre bis (il Prokofiev dell'op. 32, ancora il Rachmaninov della Polka de W.R. e lo stupefacente Purcell del 'Ground'in do minore), inframmezzati a un quarto d'ora d'applausi calorosi, confermano la versatilità di un artista con pochi eguali nel pianismo contemporaneo.

Magistrale è, a seguire, il Petruška di Shokhakimov. Il cesello nei minimi particolari della caleidoscopica partitura (qui proposta nella revisione del 1947) pare fatto apposta per mettere sotto una luce perfetta le prime parti dell'orchestra, dal flauto alla tromba, al fagotto, al fondamentale pianoforte di Francesco Bergamasco, tutte assai acclamate al termine. Pure in Stravinskij la grande difficoltà di molti passaggi è risolta a livello singolo e collettivo nella cornice convincente e brillante di una musica che tuttavia rivela come non mai una matrice tragica e beffarda. Si dice che il Sacre du printemps anticipi, nel richiamo alla violenza primordiale, l'immane catastrofe della guerra destinata nel giro di pochi anni a sconvolgere il mondo. In Petruška in fondo si avverte simile temperie, se possibile in maniera più sottile e raffinata ma non meno tagliente. Se nel Sacre la pulsione distruttiva è scoperta, qui si agita sotto la superficie del puro racconto fantastico lo spettro dell'indifferenza, la stessa che porterà milioni di uomini a non vedere le inenarrabili ingiustizie compiute da fratelli sotto la terribile legge della sopraffazione. Il messaggio del burattino trafitto dalla perfidia del Moro sotto gli occhi della folla ebbra e frettolosa è quanto mai attuale in una società che finge di non vedere e non sentire il dramma che spesso matura a pochi metri. Il genio di Stravinskij, maestro nell'oggettività ('Je considère la musique dans son essence comme impuissante à exprimer quoi que ce soit'), sta nel sospendere il giudizio sulle proprie creazioni.

Molti sono i pregi di un'interpretazione in grado di evocare al meglio l'universo del compositore. Dall'asciuttezza di taluni incisi dove l'impasto timbrico si appoggia immediato sul silenzio, al calare preciso e sarcastico delle percussioni, all'espansione quasi sensuale e profumata dell'intera compagine nella Fiera della settimana grassa che apre e chiude le 'scene burlesche' del balletto, l'autorità di Shokhakimov nel dipanare il garbuglio di ritmi, colori e stili lo introduce nel novero dei direttori di maggior interesse della sua generazione.


 

 

 
 
 

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