L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Quarant’anni di giovinezza per Martina Franca

di Francesco Lora

Un prologo alle nostre recensioni dal Festival della Valle d’Itria (18 luglio - 3 agosto): orizzonte artistico, sociale ed etico d’un’istituzione con modeste risorse finanziarie ma con un profilo tra i più vitali e gioiosi al mondo.

MARTINA FRANCA, 25-27/07/2014 – Il Festival della Valle d’Itria ha appena compiuto i suoi primi quarant’anni, e non lo si potrebbe trovare nel contempo più adolescenzialmente fresco, più giovanilmente esuberante, più dottoralmente maturo, più paternamente generoso. Il calendario degli appuntamenti, non solo per la festa di quest’anno ma ormai stabilmente da qualche edizione, è un florilegio sia di qualità e curiosità, sia di varietà e quantità. Dal 18 luglio al 3 agosto scorsi, in poco più di due settimane, i momenti di spettacolo sono stati ben ventotto: quattro gli allestimenti d’opera, con La donna serpente di Alfredo Casella, Armida di Tommaso Traetta, La lotta d’Ercole con Acheloo d’Agostino Stéffani e Orfeo ed Euridice di Christoph Willibald von Gluck; e poi concerti a ogni ora e iniziative collaterali d’incontro tra artisti, studiosi e pubblico. Per il melomane che voglia tenere il ritmo del cartellone, la musica è compagna tutti i giorni e per tutto il giorno. Rimane il tempo per perdersi tra le stradine di pietra bianca, per cercare e gustare burratine e capocollo, e per perdersi in chiacchiere con gli amici melomani che, giunti da tutta Europa, fanno capolino a sorpresa da un fornello, da un caseificio, da una camera d’albergo. Per il mare visto in lontananza o per le maioliche di Grottaglie, l’anno prossimo converrà tenersi da parte qualche giorno in più.

Il genio artigianale e un’etica profonda assecondano e innervano le scelte artistiche. Colpisce l’attenzione rivolta non solo ai titoli rari, che si inizia qui a recensire, ma anche ai giovani in ogni loro ruolo. Obiettivo storico del Festival è tanto la critica e il rinnovamento del repertorio quanto la formazione dell’ascoltatore e del belcantista. Ma a Martina Franca, quando si parla di giovani, non si parla dei soliti biglietti svenduti per spettacoli di seconda mano né della solita masterclass d’una soffiata d’ore, profumatamente pagata da ragazzi incauti, più pretenziosi che qualificati, illusi d’una carriera che non arriverà mai o si dileguerà in un lampo. Al contrario, i giovani martinesi sono accolti gratuitamente alla prova generale della Donna serpente, lì spesso rendendosi conto per la prima volta di quale superba macchina teatrale possieda la loro città. E si deve parlare – si deve – dei giovani vocalisti ammessi all’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”, che si isolano a Martina Franca per macinare settimane intere di studi, per offrire concerti, per fare da cover ai colleghi già in carriera, per fare i primi debutti operistici accanto a loro.

La loro età pende più verso i venti che verso i trenta, e al cospetto della loro onnipresenza vien da chiedersi quando si riposino. Nella maggior parte dei casi, va dichiarata la loro eccellenza e la loro contagiosa gioia di far musica. Al ricordo rimangono in particolare le luminose voci dei soprani Tal Ganor e Federica Pagliuca, che in un sorriso complice sorvegliano la perfetta intonazione delle loro terze parallele cantando il duetto «Chiome d’oro» di Claudio Monteverdi; l’accento sensuale e languente del soprano Quiteria Muñoz Inglada, versatile tra canti ispanici, sefarditi e kapsbergeriani; o la sontuosa pasta del basso Rocco Cavalluzzi, che nel prendere parte a tre cantate dei Membra Iesu nostri di Dietrich Buxtehude ci rassicura tutti: al repertorio secentesco non mancano le buone voci gravi, né al repertorio tutto mancano voci per tutti i registri; basta saperle individuare, coltivare, valorizzare. In faccia alle modeste risorse finanziarie del Centro artistico musicale “Paolo Grassi” e del suo Festival della Valle d’Itria – un festival economicamente povero che confeziona miracoli con quel poco che ha – quadrano così anche i conti esecutivi e morali. Restituendo finanche in questi aspetti, immaginati con schietto senso del dovere e concretizzati con lavoro sodo, un Festival tra i più gioiosi al mondo.


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