L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Cent'anni di beatitudine

di Lorenzo Cannistrà

Il concerto inaugurale della stagione sinfonica del Teatro alla Scala coincide con i festeggiamenti per i cento anni dell’orchestra stabile del teatro e per i primi quarant’anni della Filarmonica. In programma due memorabili “Prime”: la Sinfonia n. 1 op. 21 di L. van Beethoven e la Sinfonia n. 1 in re maggiore (“Titano”) di Gustav Mahler

MILANO, 17 gennaio 2022 - Prima vengono i cento, poi i quaranta. Non si è ancora dissolto l’eco dei festeggiamenti per il secolo di vita, compiuto dall’Orchestra del Teatro alla Scala il 26 dicembre 2021, che già si presenta in agenda l’altra importante ricorrenzadel quarantennale della Filarmonica, il 25 gennaio2022.

Ma andiamo con ordine.

Cento anni sono passati dalla trasformazione del Teatro alla Scala in Ente autonomo con un’orchestra stabile, grazie alla imperiosa volontà di Arturo Toscanini, sotto il cui magistero la compagine milanese si è liberata di certe incrostazioni nazionalistiche e si è aperta ad un repertorio più adatto a pubblici internazionali. Nel contempo, essa ha raggiunto un grado di perfezione capace di reggere il confronto con le più celebrate orchestre del mondo.

Per ben otto lustri di questo secolo di vita, l’orchestra scaligera è stata poi anche una formazione orgogliosamente autonoma. L’istituzione della Filarmonica (sul modello dei Wiener Philarmoniker) ha consentito all’orchestra di forgiare un “suo” suono e una propria inconfondibile personalità, grazie anche alle esperienze internazionali e al lavoro dei grandissimi direttori che si sono alternati sul podio. Tra questi, Riccardo Chailly, attuale direttore musicale, che ben compendia il senso e l’emozione di quell’avventura in queste parole: “Nasceva qualcosa di vitale, radicato nella storia dell’Orchestra della Scala, che rimetteva in moto, al centro del suo essere, la crescita qualitativa e l’ambizione esecutiva internazionale” - così Chailly racconta ad Angelo Foletto nell’intervista che si può leggere nelmagazine pubblicato sul sito del Teatro e dedicato proprio all’importante genetliaco della Filarmonica.

Il concerto di questa sera si situa tra le due ricorrenze e le celebra entrambe, con un programma in cui non poteva mancare quel Mahler voluto nel concerto inaugurale del 1982 dal fondatore della Filarmonica, Claudio Abbado, di cui ricorrono proprio in questi giorni gli otto anni dalla morte. Ma c’è da credere che Mahler sarebbe stata comunque una scelta, per così dire, “autonoma” di Riccardo Chailly, che ne aveva eseguito addirittura la Nona al suo debutto con la Filarmonica, più di trent’anni fa.

Prima di Beethoven e Prima di Mahler rappresentano sicuramente un dittico poderoso, considerato appunto il “titanismo” dei due compositori, due giganti per eccellenza del genere sinfonico.

Ma in realtà questa musica è stata per il pubblico della Scala una leggera e inebriante beatitudine, visto lo stato di forma dell’orchestra e la chiarezza con la quale il messaggio musicale è giunto all’uditorio.

L’accostamento tra le due sinfonie è sempre interessante, in quanto fa intravedere nei rispettivi lavori “d’esordio” (espressione da intendere cum grano salis) quelli che saranno i successivi sviluppi, ma anche alcune costanti ineliminabili, nella produzione dei medesimi autori.

Ciò vale per la Prima di Beethoven, in cui, al netto delle ascendenze mozartiane e soprattutto haydniane, troviamo molte novità che il genio di Bonn aveva già sperimentato nella produzione cameristica, e pianistica in particolare. Si pensi all’inconsueta – per gli standard dell’epoca – irruenza del Minuetto, dai tipici sincopati beethoveniani.

E quanto detto vale vieppiù per Mahler, per la costante attenzione alle suggestioni della natura, che ritroveremo nella panteistica Terza, la ricerca di sempre inusitati impasti timbrici, il turbinoso primo tema del Finale, che preannuncia gli ipertrofici avvitamenti della Sesta, e molto altro ancora.

Allo stesso tempo, il programma disvela un certo parallelismo tra i due sommi compositori. La natura, nella Sinfonia “Titano”, non è quella della Pastorale, ma da questa mutua più di una soluzione compositiva, così come la ricognizione nel Finale di temi dei movimenti precedenti è una trovata di marca autenticamente beethoveniana.

Chailly affronta la Prima di Beethoven con la consueta pulizia ed un respiro ampio che non bandisce la brillantezza, senza farne però una sterile protagonista.

Ma è soprattutto in Mahler che direttore e orchestra si immergono e si immedesimano totalmente nella musica. Quasi scientifica e insieme alchemica è stata la resa delle straordinarie sonorità mahleriane, sin dall’introduzione, con quel la tenuto dagli archi a fare da tappeto sonoro, rumore di fondo della natura su cui si innestano a turno fiati e ottoni. Menzione particolare va fatta a tutti i vari solisti che nel corso della sinfonia si sono brillantemente alternati (in particolare il contrabbasso e gli oboi nella Marcia Funebre). Si è ascoltato poi un Finale dalla potenza devastante, appena temperato dallo stupendo secondo tema, dalle reminiscenze quasi ciaikovskiane. La stretta finale, per quanto sorretta più dal mestiere che da una necessità d’arte (“un semplice accorgimento di regia”, lo definiva Adorno), ha avuto un effetto trascinante sul pubblico.

Ed in effetti, raramente ho visto una platea altrettanto emozionata e commossa al termine di un concerto sinfonico. Ma questo mi sembra in fondo un giusto tributo all’orchestra scaligera, quella Filarmonica dalla ormai lunga storia inevitabilmente intrecciata con quella di Milano, e che tanto ha dato alla vita culturale della città.

E Milano vivamente ringrazia.


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