L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Novità da applausi

di Alberto Ponti

La chiusura di Rai Nuova Musica 2022 alterna due pagine assai differenti tra loro ma entrambe premiate dal consenso di un pubblico che cresce anno dopo anno e si appassiona sempre più al repertorio contemporaneo

TORINO, 24 marzo 2022 - L’ultimo appuntamento dei tre concerti consecutivi diretti da Robert Trevino sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale chiude anche la rassegna Rai Nuova Musica 2022 in una serata davvero rappresentativa di diverse tendenze tra i compositori del nostro tempo con due prime torinesi, una delle quali nazionale.

Fuori programma, in apertura è stato proposto il breve e intenso Requiem per orchestra d’archi (1957), tra i lavori più noti del giapponese Toru Takemitsu (1930-1996) che il direttore con un breve discorso, soffermandosi sull’apoliticità di ogni tipo di musica ma nondimeno sul potere che la stessa ha di suscitare la nostra pietas, ha voluto dedicare alle vittime dell’attuale conflitto in Ucraina. È stata un’interpretazione toccante e coinvolgente che ha ben introdotto al carattere drammatico della ben più impegnativa, da un punto di vista tecnico, Danza lenta di C.S. fra gli specchi, pagina per grande organico del triestino Fabio Nieder (1957), composta nel 2015 su commissione dell’Accademia di Santa Cecilia e presentata all’epoca sotto la bacchetta di Antonio Pappano. Il sottostante programma, assai enigmatico, che l’autore esplicita nella nota al pezzo poco chiarisce, in maniera voluta, su significati letterali di questa musica, né esplicita l’identità del personaggio evocato nel titolo: ‘E’ una danza lenta e pesante in 9 impulsi: un triplice Walzer in forma canonica che il misterioso personaggio C.S. danza per noi’. Poco importa. Dalle parole di Nieder possono nascere suggestioni ma, se questo è un programma, se ne può fare a meno, allo stesso modo di una sinfonia di Berlioz o di un poema sinfonico di Strauss. La musica si regge in piedi benissimo da sola e conserva inalterato il suo fascino di fronte alle nostre orecchie vergini che la ascoltano per la prima volta. Non dico che le intenzioni dell’artista, messe per iscritto, non servano; sono utili per indagarne la personalità e il processo creativo e saranno ancora utili agli studiosi e ai futuri esegeti dei nostri contemporanei nel loro sguardo retrospettivo fatto di confronti tra pagine, stili e uomini differenti ma, da quando sono nati i concerti, c’è tra i frequentatori una sorta di istinto selvaggio e infallibile che li porta immediatamente a recepire la validità in sé di un brano in modo indipendente dal significato, anche importante, che il compositore si premura di attribuirgli. E ciò è accaduto e sempre accadrà, sia in presenza di percorsi nell’alveo di consolidate tradizioni sia nel caso, più raro e memorabile, del succès de scandale. Stiano tranquilli i lettori: la ‘danza’ di Nieder non ha innescato nessuna rivolta in sala ma è stata anzi caldamente applaudita da un pubblico, anche numeroso per il tipo di programma, entusiasta e aperto verso un lavoro ambizioso e incapace di lasciare indifferenti. L’autore scrive per blocchi strumentali contrapposti, in una continua ricerca di soluzioni e campiture timbriche dagli esiti originali e mai scontati, in grado di conferire un taglio di luce particolare a ogni battuta. Tutte le note sono preziose, siano esse distillate dall’acutissimo stridio degli ottavini siano invece sostenute dal brulicare inquietante delle percussioni che si snoda per l’intera durata della partitura, balzando a tratti in primo piano con la volontà ghermitrice di uno stregone intento ad attuare i prodigi di un incantesimo arcano e rapinoso. Nel raffinato gioco intellettuale dispiegato da Nieder gioca un ruolo importante la formazione mitteleuropea, rimarcata dalla sua doppia cittadinanza italiana e tedesca, e l’assimilazione ad ampio spettro della lezione dei grandi del passato. In alcuni rintocchi di campane, nel cozzare strozzato dei piatti pare di udire il Penderecki radicale della prima sinfonia, nella risata onomatopeica di alcuni strumentisti ‘Ha ha ha’ si ha l’impressione di assistere all’inverarsi, tra la colta citazione e l’omaggio divertito, del pensiero di Edgar Varèse che, a metà di Ameriques, accompagna con gli stessi monosillabi, ma tra le parentesi di un’Innere Stimme, la sortita solitaria del trombone dopo un esplosivo fortissimo di tutta l’orchestra. Certamente l’idea di danza assume un rilievo ineludibile nello sviluppo del brano, invoglia a vederlo rappresentato in cornice coreografica, nel suo progressivo avvilupparsi in un discorso concitato e in crescendo emotivo, pur mantenuto entro indicazioni agogiche di estatica contemplazione (‘Molto lento’, ‘Religioso’, ‘Più lento’, ‘Sempre misterioso e religioso’), e infine nello sciogliersi in una calma metafisica sospesa e rarefatta.

Di segno opposto è il Concerto per tromba e orchestra Dramatis personae (2013), di Brett Dean, classe 1961, tra i più noti compositori australiani, eseguito con la partecipazione in veste di solista del fuoriclasse Håkan Hardenberger. Il concerto, anche nelle parti di maggior meditazione, è da capo a fondo all’insegna di un’estroversione spesso bizzarra ma ad un tempo amabile e trascinante.

Anche Dean dimostra di conoscere a fondo tecniche e risorse dell’orchestra contemporanea, infondendo a molti passaggi del proprio lavoro un colore scintillante e fuori dal comune, ben reso da un’OSN Rai guidata e spronata da un Trevino attento alla cura di ogni minimo dettaglio, senza il quale si perderebbe la trasparenza necessaria ad un’esecuzione di alto livello. Perché, se da un lato abbiamo pure qui un vasto e vario numero di musicisti, è altrettanto vero che in diversi luoghi dei tre canonici movimenti (due frenetici tempi veloci ad incorniciare un lento significativamente intitolato Soliloquy) lo spessore sonoro si riduce a un dialogo di estremo virtuosismo fra la tromba e poche altre voci. In particolare, il pirotecnico finale, con l’irresistibile mescolanza di linguaggio alto e popolare, consente di mettere in luce tutta la stupefacente abilità e versatilità di Hardenberger, per cui il concerto è stato scritto, fatto oggetto di una lunga, elettrizzante ovazione rara dopo l’esecuzione del repertorio contemporaneo.

Chiusura in crescendo per una rassegna sempre di grandissimo interesse che, anno dopo anno, sta diventando un punto di forza nella programmazione delle stagioni dell’orchestra Rai.


 

 

 
 
 

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