L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il senso di Harding per il tragico

di Roberta Pedrotti

Grande successo nella stagione di Bologna Festival per il concerto di Daniel Harding con la violinista Alina Ibragimova e la Mahler Chamber Orchestra.

BOLOGNA, 31/05/2022 - Daniel Harding, ex enfant prodige, il direttore che si prese un anno sabbatico per dedicarsi alla sua altra passione, il volo (ottenuto il brevetto, avrebbe voluto pilotare per un anno voli di linea, ma era il 2020 e le cose andarono diversamente): lo ricordavamo diverso, come alla Scala in quel dittico verista che stupì – in positivo, per chi scrive – proprio per il tratto asciutto, novecentesco, o in un Falstaff che, per le stesse ragioni, sortì – sempre per chi scrive – esiti meno felici. Scattante, sì ma quasi freddo, analitico, straniato spesso. Lo ritroviamo ora, in un mondo che sembra un altro, e sussultiamo perché quell’energia vibrante si manifesta con un piglio vigoroso e in un amore per i contrasti che non ricordavamo, ma intriga e coinvolge. 

Già l’ouverture di Egmont ha uno slancio quasi brutale, la Mahler Chamber Orchestra gioca a meraviglia con estremi dinamici sempre propulsivi e dialettici, sicché il colore, la grana del suono, quandanche volutamente irrigidita, è parte integrante di un fraseggio denso d’irruenza sturmer. Nel concerto per violino in mi bemolle maggiore di Mendelssohn riemerge alla ribalta l’Harding chirurgico e analitico, seppur vibrante, originale – talora spiazzante ma capace di calamitare l’attenzione specie nei primi due movimenti – nelle scelte di fraseggio e rapporti timbrici. Alina è una solista dal suono chiaro, sottile e nervoso, che ben si sposa con una lettura assai poco romantica e lirica del concerto.

Il meglio viene, ad ogni modo, con la Settima sinfonia di Dvořák, dove riemerge lo spirito energico già esperito nell’Egmont, ma con un respiro e una costruzione dialettica inevitabilmente più ampia e dunque più incline al dispiegare il profondo senso tragico di una maestà sempre controllata quand’anche ispida, un ripiegamento meditativo mai compiaciuto e sempre esatto negli equilibri e in un disegno complessivo di grande forza espressiva, assecondato al meglio dal nitore e dalla forza di cui è capace la Mahler Chamber Orchestra.

Alla fine, ma era scontato, un grandissimo successo.


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