L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Le quinte

 di Stefano Ceccarelli

All’Accademia Nazionale di Santa Cecilia il maestro Jaap van Zweden dirige la Sinfonia n. 5 in re minore op. 47 di Dmitrij Šostakovič e la Sinfonia n. 5 in do minore Op. 67 di Ludwig van Beethoven. Il dittico delle Quinte conquista il pubblico.

ROMA, 27 maggio 2022 – Fra le più affascinanti sinfonie del repertorio, la Quinta di Šostakovič e quella di Beethoven costituiscono un dittico interessante: potente, profondamente ironica, quasi tragica la Quinta di Šostakovič; drammatica, vitale, inarrestabile quella di Beethoven. Il maestro Jaap van Zweden le dirige una dopo l’altra, in un concerto molto apprezzato dal pubblico.

Si inizia con la Quinta di Šostakovič. Il direttore ha, fra le sue principali doti, quella di saper leggere con chiarezza e profonda energia il ductus ritmico delle partiture che ha davanti. L’intelaiatura orchestrale, dunque, è ben sgranata, fluida, emozionante; talvolta, però, qualche passaggio risulta meno d’effetto. È il caso proprio dell’incipit della Quinta di Šostakovič, le cui frasi assertive degli archi vengono diretti, mi è parso, non con l’attenzione che avrebbero meritato. L’esposizione e gli sviluppi del Moderato, che si contrae e si allarga come tipicamente accade nelle sinfonie di grandi dimensioni dal tardo romanticismo in poi, sono decisamente più apprezzabili. Squisitamente šostakovičano è l’Allegretto (II), imperniato su un tema di valzer che coniuga due sentimenti tipici della scrittura del russo: l’ironia e il grottesco; van Zweden sa cogliere i colori chiaroscurali di Šostakovič, esponendo con piglio il ritmo seducente e accattivante di questa scrittura. Il momento forse più alto della lettura di van Zweden è proprio il Largo, pagina monumentale non solo per la bellezza della scrittura orchestrale, ma anche per le soluzioni cromatiche e ritmiche adottate via via dal compositore; il direttore è molto attento ai volumi e ai colori, spaginando passaggi eterei, affidati ai legni e alle arpe. Il pubblico che ascolta questo pezzo rimane sospeso, incantato, e si rammenta di una dote forse sottolineata meno spesso quando si discorre della musica di Šostakovič: la capacità del russo di rarefare il suono fino a sfere sideree. La sinfonia si chiude con un pezzo in forma di rondò, dal carattere marziale e in parte assertivo, che van Zweden scandisce con energia. Il pubblico applaude fragoroso, dimostrando il suo apprezzamento.

Nel secondo tempo si esegue la Quinta di Beethoven. Buono l’attacco delle tre crome, celebre e temuto (per i direttori, almeno), dell’Allegro con brio; lo sviluppo prosegue chiaro ed energico. Il direttore adegua il peso sonoro alla scrittura di Beethoven, esaltando la linea ritmica, vitale e inarrestabile, che percorre l’intera partitura. Il frequente ricorre del tema ‘fatale’ con cui il movimento si era aperto increspa il ductus ritmico serrato del movimento, creando effetti cromatici indimenticabili. L’Andante con moto è letto con energia, ma senza tralasciare la nobile filigrana dei passaggi, che alternano momenti di esplosione orchestrale al rilassante tema principale. Il direttore infonde brio ed estro allo Scherzo (III), lavorando sulla tenuta di archi e legni, detergendo il suono ove necessario per far risaltare momenti di più spiccata freschezza, come il trio centrale. La sinfonia si chiude con l’epico Allegro finale: van Zweden sfrena l’orchestra badando ad esaltare la linea retorica e nobilmente sostenuta, che acuisce la grandiosità del pezzo, chiudendo la serata fra applausi calorosi.


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