L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

A tutto Mendelssohn

di Alberto Ponti

Roberto Prosseda esplora in una serata monografica l’universo del compositore romantico e presenta, accanto a brani molto noti, altre gemme di raro ascolto

TORINO, 15 settembre 2022 - Concerti monografici dedicati a un solo autore, ospitati non solo nei luoghi sacri della musica torinese ma anche in piccole sale, spesso periferiche e meno note al grande pubblico dei concerti. E’ una delle formule prescelte dall’edizione 2022 di MITO Settembre Musica, apprezzabile per l’obiettivo di attrarre pubblico al di fuori dei soliti circuiti. A giudicare dalla platea composita, dove accanto al nocciolo duro di appassionati che farebbero chilometri a piedi pur di non perdersi un appuntamento compaiono volti nuovi di giovani e giovanissimi, l’esperimento si può dire riuscito. Siamo al Teatro Cardinal Massaia, periferia nord di Torino, e al pianoforte Roberto Prosseda interpreta Mendelssohn. I cinque euro del biglietto sono ben spesi.

Sala buia, palcoscenico debolmente illuminato e massima concentrazione tra gli astanti, nonostante alcuni squilli e vibrazioni di telefonini. Il protagonista entra e il suo aspetto ha qualcosa di Jacques Offenbach.

La serata si apre con la selezione di una manciata di ‘Romanze senza parole’, genere che nacque, si sviluppò e raggiunse i suoi massimi esiti artistici con il compositore tedesco. Il tocco di Prosseda è analitico e sfaccettato, può sembrare a tratti asciutto in un tipico repertorio romantico, ma la chiarezza dell’articolazione è esemplare e consente di non perdere neppure un particolare della sagacia costruttiva di pezzi che vivono certo di immortali melodie ma dimostrano, sotto dita sapienti, una ragnatela di controcanti, imitazioni, arguzie ritmiche e armoniche altrimenti destinate a perdersi in letture meno approfondite e più superficiali. Il rigore filologico dell’interprete, tra i maggiori e autorevoli studiosi del pianoforte di Mendelssohn, non si impone con saccenza didascalica e non guasta mai la godibilità di miniature nate per il puro piacere di fare musica. E’ questo il caso di celebri pagine quali l’op. 19b n. 6 (Venezianisches Gondellied) dall’incedere fluttuante, dell’op. 19b n. 1 con la sua cristallina melodia vivificata dal moto di quartine del basso, dell’op. 62 n. 6 (Frühlingslied) il cui tema principale puntellato di acciaccature alla mano sinistra è l’emblema stesso dello slancio entusiasta di un’anima ispirata.

Seguono, ad eccezione del Rondo capriccioso op. 14, gemma scintillante e depurata dagli eccessi di certo virtuosismo trascendentale cui ci avevano abituato esecuzioni anche celebrate di grandi pianisti del passato, alcune pagine meno eseguite ma tutte rivelatrici, se mai ce ne fosse bisogno, della statura di un autore capace sempre di ergersi a portatore di altissimi valori musicali anche nel contesto del pianismo brillante mutuato dagli esempi di Moscheles e Weber.

L’umiltà di Prosseda di fronte allo spartito rende a Mendelssohn ciò che è di Mendelssohn. Se la fantasia op. 15 su The Last Rose of Summer pare la trascrizione diretta di un’improvvisazione, sul modello della beethoveniana op. 77, più strutturati e meditati, nonostante l’apparente semplicità, sono le tre Fantasie o Capricci op. 16, il secondo dei quali (Scherzo) è una tipica danza di folletti nello stile del Midsummer Night’s Dream. Tutti i pregi di un esecutore attento a rendere le minime sfumature del testo emergono nei 6 Kinderstücke op. 72, dove rapidi tocchi di pedale, una dinamica curatissima e un’attenzione alla resa sonora attraverso il perfetto bilanciamento della mani sulla tastiera esaltano, all’interno del respiro breve della miniatura, il lampo di genio sempre presente negli accenti e nell’armonia.

Chiusura con la Fantasia op. 28 (nota anche come Sonata scozzese), suggellata da un Presto che scatena l’entusiasmo di una platea gremita, ricompensata fuori programma con l’op. 30 n. 6, altra barcarola veneziana dal trillo magnetico, e dalla parodistica Danza dell’orso, inedito schizzato da Mendelssohn sull’album amicorum di una signora dopo una cena londinese.


 

 

 
 
 

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