L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Immenso Mahler

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia chiude i concerti della stagione sinfonica del 2022 con la Sinfonia n. 7 in mi minore di Gustav Mahler: sul podio l’inossidabile Antonio Pappano, alla testa della straordinaria orchestra di Santa Cecilia.

ROMA, 16 dicembre 2022 – Ogni sinfonia di Mahler è una sorta di microcosmo, un mondo a sé, magari di difficile lettura nei particolari, ma che lascia un fascino e un effetto sublime sugli ascoltatori, ove la si consideri nel suo svolgersi, nel suo complesso. Antonio Pappano, nel dirigere la Settima, non perde mai di vista questi due aspetti: i particolari, le sfumature, e al contempo la complessa architettura. La Settima è una partitura che dovrebbe fare, giustamente, ‘paura’ a un direttore, ma Pappano ne affronta la lettura con mano ferma, agogicamente rigorosa ma non rigida, capace di piegarsi alle frasi e alle strutture mahleriane.

Magnifico l’attacco del Langsam – Allegro risoluto, ma non troppo (I), quando su un ritmo inesorabile si staglia il corno tenore – e diremo che gli ottoni dell’Accademia, questa sera, erano in particolare stato di grazia; Pappano gestisce magnificamente lo sviluppo, creando un amalgama orchestrale indimenticabile, sorretto e quasi guidato dalle linee melodiche degli archi, ravvivati da frequenti e iconici interventi degli ottoni. L’estensione impressionante del I movimento, che alterna momenti quasi estatici (tipici di Mahler, evocanti una natura idilliaca, trasfigurata e magica) e insiemi ritmicamente concitati, conduce a una complessa cadenza, dove direttore e interpreti provano il loro assoluto valore. La prima Nachtmusik è aperta, come il I movimento, da un passaggio orchestrale indimenticabile, con i legni che si sbizzarriscono in figurazioni di ogni tipo, sotto l’eco dei corni, che scandiscono, successivamente, il tema principale. Pappano spennella con maestria le sonorità guardinghe, notturne, di cui il II movimento è pieno, imprimendo un’agogica che faccia risaltare anche gli elementi quasi militareschi presenti nelle maglie della partitura; notevole anche il procedere dello sviluppo, in cui gli archi immergono l’ascoltatore in un’atmosfera più galante. Il ‘satanismo’ dello Scherzo (III), che si risolve in una cangiante poliritmia – interrotta solo dalla breve oasi del trio – si esalta nella scelta di Pappano di renderlo quasi coreutico, sottolineando, in maniera quasi strascicata, tutte quelle sonorità tetre, ma in modo tale da aumentare un senso di disorientamento (Schattenhaft recita lo spartito). Pappano cesella la seconda Nachtmusik con mano delicata, rendendo vivide le screziature armoniche dovute agli elegiaci interventi degli archi, inargentati dall’uso dell’arpa e, ad un certo punto, del mandolino – vero coup de théâtre –, strumento delle serenate. Il finale, sulla cui lettura complessiva la critica molto si è spesa, senza giungere ad un sostanziale accordo sulla natura reale o apparente dell’onda di luce che invade gli ascoltatoti, riesce magnificamente a Pappano, che sa slanciare l’orchestra, creando effetti sonori potenti, ma mai sforzati. Anzi, la grande naturalezza con cui Pappano dirige il pezzo rende ancora più apprezzabili le citazioni wagneriani (Die Meistersinger von Nürnberg), intrecciate nello sviluppo ‘da parata’ del movimento; sul tono epico della cadenza, al solito complessa ricapitolazione del materiale, puntellata dal generoso uso dei timpani e delle percussioni, si chiude un’esecuzione splendida della Settima, accolta con fragorosi applausi, i quali concorrono a confermare Pappano come un direttore di riferimento per il repertorio musicale mitteleuropeo fra il tardo Ottocento ed i primi decenni del Novecento.


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