L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il dolce suono di un dolce silenzio

di Roberta Pedrotti

Grande e meritato successo per la prima assoluta di A sweet Silence in Cremona al Teatro Ponchielli, dimostrazione che l'opera contemporanea può essere più viva che mai.

CREMONA, 8 maggio 2022 - A Cremona è di scena Cremona. Mai come oggi l'ideale rispecchiamento fra pubblico e teatro si fa concreto, con un'opera ispirata a un fatto realmente accaduto e recentissimo – nel 2019 si impose il silenzio nelle vie limitrofe al Museo del Violino per ottenere le condizioni ottimali per alcune incisioni – e in cui viene più volte citato un personaggio – il sindaco – che siede in sala tuttora in carica. Un pizzico di straniamento lo dà il fatto che tutti cantino in inglese anche se sulla scena abbiamo cinque italiani e un algerino, nonché un cane e un violino (quest'ultimo, però, vocalizza soltanto): non siamo però abituati a sentire giapponesi, antichi egizi, sacerdotesse galliche e minatori americani esprimersi nella nostra lingua? E amanti veronesi in francese o draghi e tribuni romani in tedesco? Il teatro e la vita sono la stessa cosa e non lo sono, verità e invenzione si sovrappongono: adorabile paradosso, reso ancor più adorabile dal libretto di Mark Campbell per questo A sweet Silence in Cremona.

Si tratta di una coproduzione internazionale, commissione della New York University, Casa Italiana Zerilli – Marimò, NYU Florence, che al Ponchielli ha trovato la sua prima casa in attesa dei prossimi debutti a Firenze e nella Grande Mela. Il pubblico lombardo accorre in gran numero, ed è già una bella notizia per il teatro bardato a festa con pennellate arcobaleno – c'è già aria di Pride in vista del prossimo mese. La curiosità destata dall'ambientazione cittadina è, però, ben ripagata e la cosa più importante è che questo folto pubblico dimostra di divertirsi e commuoversi sciogliendosi in applausi a scena aperta e acclamazioni finali. Più che meritate, perché l'opera è davvero ben fatta e dimostra nella brevità (“gran pregio!”) della sua oretta di durata la perfetta tecnica di scrittura teatrale di Campell, tutta l'autentica professionalità di un librettista. Si inizia nella levità della commedia, presentando l'umanità costretta al silenzio in ossequio ai violini del museo: la signora Mariolina si gode la quiete; Giulia è in ansia per la nascita imminente del suo primo figlio, Federico, mentre il marito è assente; Valentina vizia il cane Attila, che ci ricorda tanto Brian Griffin; Ettore si lamenta perché questa ordinanza del sindaco “liberale e amico degli immigrati” può rovinare gli affari del suo negozio di calzature, anche se sarà proprio il giovane fattorino algerino Yassine – in zona per consegnare dei fiori a Giulia da parte del consorte – ad acquistargli un paio di scarpe per la sorellina. Yassine è anche colui che, nel suo entusiasmo per la città in cui si è trasferito con la famiglia, invita a non lamentarsi e ad approfittare del silenzio per sognare la musica. Detto fatto, l'attenzione si concentra su un liutaio che ultima la sua creatura e dall'assolo del violino/soprano di coloratura si libera l'apoteosi finale.

La leggerezza del soggetto strappa qualche sorriso e risata, la sincerità dell'inno alla musica commuove, la misura del testo coglie nel segno e pur rifacendosi a un episodio ben preciso riesce a rimanere attuale sia per il sapido quadretto in cui anche l'incontro fra il commerciante reazionario e il giovane immigrato non sa di zucchero posticcio sia per l'imprevedibile, nel 2019, riferimento a un lockdown musicale. Eterno, ma non meno profetico e contingente, l'inno alla città “devoted to the violin” contrapposta a quella che “invests in violence and war”. Il ragazzo straniero che elegge Cremona a "my home" si riflette nell'internazionalità delle insegne dei liutai, giunti qui e qui stabilitisi da tutto il mondo per apprendere ed esercitare l'antica arte.

Se il libretto di Campbell – non per niente premio Pulitzer e autore assai prolifico nel genere – funziona benissimo, nondimeno è felice lo sposalizio con le note del siciliano Roberto Scarcella Perino, ottimo esponente di quella scuola di teatro musicale così feconda negli States (si pensi a Bernstein e Menotti, per dir solo i nomi più noti dalle nostre parti) ma non solo (Rota), fatta di intelligibilità testuale e melodica, linguaggio tonale non banalizzato, efficace caratterizzazione di personaggi e situazioni, comunicativa e senso del teatro. Facile? Sicuramente fruibile, e non sia mai che sembri un difetto: ci vuole maestria per distillare un'ora di teatro musicale che sappia parlare di arte e integrazione senza stuccare né prendersi troppo sul serio o, peggio che mai, prender sottogamba il pubblico e le sue esigenze.

Tutta la locandina, tutta la squadra che ha realizzato questo debutto merita un plauso, ma il lungo elenco forse stancherebbe il lettore. Nell'Orchestra Monteverdi Festival va però citata almeno la solista Lena Yokoyama, il violino strumento che si unisce al violino voce del soprano Sara Fanin, puntuta interprete anche di Valentina. Il cane Attila condivide volto e voce con il liutaio e sono quelli del baritono Ramiro Maturana, ammirevole nel delineare parti tanto diverse. Il mezzosoprano Antonella Di Giacinto è una deliziosa Mariolina e non si può rimanere indifferenti al mutevole monologo del soprano Costanza Fontana, Giulia in agrodolce attesa. Pietro Di Bianco, basso-baritono, è parimenti incisivo come Ettore, contrapposto all'azzeccatissimo Yassine del tenore Gianluca Moro: physique du role, presenza agile e dinamica, articolazione chiara e voce brillante.ideale per il ruolo chiave di collante dell'azione.

Giuseppe Bruno dirige con nitore e senso del teatro esemplari. Cecilia Ligorio firma una delle sue più riuscite regie, proprio perché in proporzioni minime riesce a fare della semplicità poesia, nell'impianto scenico elegante e funzionale di Tommaso Lagattolla, autore anche di costumi ben caratterizzati senz'ombra di caricatura. Da non trascurare anche il contributo delle luci di Oscar Frosio e delle videoproiezioni di Imaginarium Studio, le quali anche nell'apparente didascalia riescono a mantenere la giusta stilizzazione in una Cremona fumettistica, vera e fantastica allo stesso tempo.

L'opera contemporanea è più viva che mai. Basta non averne paura e anche al ristorante dopo lo spettacolo si possono vedere signore del pubblico che investono di complimenti interpreti, librettista, compositore.


 

 

 
 
 

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