L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L’oro abbaglia, le voci volano

di Irina Sorokina

Un bel cast capitanato da Anna Netrebko e Yusif Eyvazov porta al successo Turandot nello sfavillante allestimento firmato Zeffirelli

Verona, 7 agosto 2022 - Turandot pucciniana è la terza opera nella messa in scena da Franco Zeffirelli del cartellone del festival areniano in corso, e, sinceramente, funziona meglio dell’Aida, decisamente invecchiata, e La Traviata davvero esageratamente pesante e lussuosa. Turandot in Arena si vede molto più volentieri e desta molte meno critiche anche se lo stile dell’allestimento è sempre quello, comunemente chiamato kolossal.

Si, Turandot è kolossal sotto tutti gli aspetti, con le scenografie grandiose, i costumi di Emy Wada la cui bellezza soddisfa le più alte pretese, la partecipazione massiccia del coro e delle comparse che danno il loro massimo.

Correva l’anno 2010 quando il festival areniano fece una specie di regalo al maîre fiorentino, all’epoca già avanti con l’età, mettendo in scena tutte le opere da lui allestite. Tra cinque titoli solo Turandot ebbe un certo diritto di essere considerata una nuova produzione, ma in realtà non si trattò di una vera prima. La grandiosa versione areniana fu strettamente imparentata con due precedenti, al teatro alla Scala di Milano (1983) e al Metropolitan di New York (1986), fatto dichiarato dal regista fiorentino. Senza dubbio, dagli anni Ottanta tant’acqua era passata sotto i ponti e nell’anno 2010 le tecnologie sceniche risultarono decisamente evolute: la Turandot areniana unì felicemente aspetti tradizionali e moderni.

Che dire, la scenografia di quella “vecchia-nuova” Turandot areniana colpì l’occhio dodici anni fa e continua a colpirlo oggi: non si riesce proprio a resistere alla bellezza abbagliante della reggia che appare nel secondo atto. Nel primo atto la sua presenza si può soltanto indovinare, il grandioso palcoscenico è ridotto ad una striscia lunga e stretta dove è costretto a vivere e soffrire il misero “popolo di Pechino”. Anzi, vestito di qualcosa di grigio viola, non vive, ma si trascina sulla superficie simile agli animali con la paura di alzar la testa. Al contrario, danno nell’occhio le tre maschere che vantano bei costumi nei colori del semaforo, rosso, giallo, verde. L’opulenta scenografia di Zeffirelli (Lev Tolstoj avrebbe detto: “Non c’è spazio nemmeno per liberare una gallina”) vanta il pieno assortimento dei motivi tipici cinesi, separé decorati da draghi, pagode, scale, ponticelli, terrazze etc. etc. La paura del vuoto da sempre ossessionava il regista fiorentino, e solo le persone in possesso di cent’occhi avrebbero potuto seguire cortei vari, movenze dei draghi, esercitazioni dei boia. Un sovraffollamento, un bella confusione, un vero kitsch? Senza dubbio. Ma il tempo dell’autentico sospiro di stupore deve ancora arrivare.

Arriva nel secondo atto quando, tolto il separé, ai nostri occhi appare la reggia dell’imperatore Altoum. Oro, oro e ancora oro nel palazzo affollato ancor di più delle vie di Pechino, danzatrici in rosa con ombrellini, ragazze che giocano con dei pezzi dei tessuti luccicanti, cortigiani con ventagli. Lo spazio enorme è affollatissimo, ballerini e comparse si muovono in continuazione simili a delle pietrine in caleidoscopio, le combinazioni delle forme e dei colori sono davvero infinite, merito anche della mitica costumista Emi Wada, collaboratrice di Zeffirelli nella Madama Butterfly areniana e premio Oscar per il film di Akira Kurosawa Ran.

Il terzo atto di nuovo dimostra la misera esistenza del popolo di Pechino in grigio viola, mentre nel finale trionfa l'oro, oro, oro.

Naturalmente, non solo la reggia d’oro abbaglia nello spettacolo areniano. Nell’anno in corso soprattutto l’orecchio gode in pieno: nei ruoli principali abbiamo la coppia più acclamata della lirica, Anna Netrebko e Yusif Eyvasov. C’erano anche l’anno scorso, nell’allestimento pensato appositamente per il tempi duri del covid, ma nel 2022 la storia è diversa. Sfoggiano le voci che conosciamo già, ma hanno la possibilità di creare due personaggi indimenticabili e forse, destinati di entrare nella storia. E così avviene, per fortuna di tutti quelli che sono presenti nella sala enorme a cielo aperto sotto le stelle abbaglianti.

Siamo contenti per il soprano russo che, finalmente, può lasciare alle spalle le polemiche riguardanti la presa di parte della guerra in corso tra la Russia e l’Ucraina: gli artisti non dovrebbero essere coinvolti in queste faccende. Anna Netrebko fa la sua apparizione per un attimo sulla torre a destra del pubblico e la magia scatta immediatamente. Se qualcuno avesse avuto dubbi su che cos’è la presenza scenica, non li avrebbe più. Un vecchio proverbio dice: chi ha in tasca il muschio non ha bisogno di dirlo, ed è lei ad avere in tasca il muschio. Donna, artista, diva: nel secondo atto conferma questi tre titoli intonando l’assolo micidiale “In questa reggia” con autorevolezza e la massima forza espressiva, cantando sui fiati e senza sforzi. Non è che il suo canto sia perfetto, nel registra acuto si percepisce una certa tensione e il timbro lucente ha la tendenza di diventare opaco. Ma questi difetti non danneggiano la sua fama di donna, artista, diva, unica nel suo genere.

Se Anna Netrebko non si smentisce, il compagno di vita e d’arte Yusif Eyvazov sorprende piacevolmente anche quest’anno: è ancora per via del suo miglioramento. Incuriositi e emozionati, presenziamo a questo percorso da un paio di anni, non ci viene più in mente di parlare del timbro non proprio bello, ma si prova un autentico piacere di ascoltare la voce morbida, di seguire le sue modulazioni ricche e alla fine goderci degli acuti pieni e mai sforzati. In queste condizioni il bis di ”Nessun dorma” diventa un must e viene eseguito con la massima naturalezza preceduto da un simpatico gesto: un sorso dalla bottiglietta nascosta da qualche parte sotto l’abito e poi un cenno di sì al direttore, facciamolo, questo bis. Inutile dire che viene giù tutto l’anfiteatro.

Maria Teresa Leva è una Liù dolcissima e commovente, la voce morbida vola libera senza un minimo problema. Il bravo soprano decide giocare la carta della raffinatezza e sfoggia filati e pianissimi impareggiabili, che rischiano, però, di perdersi negli enormi spazi areniani.

Molto simpatiche e affiatate tre maschere, Gёzim Myshketa – Ping, Matteo Mezzaro – Pong, Riccardo Rados – Pang, tre voci belle e tre teatranti capaci. Carlo Bosi nel ruolo dell’imperatore Altoum merita una menzione speciale per il bel timbro e la dizione nitida, Youngjun Park – Mandarino intona poche frasi, ma lo fa in modo eccellente. Una nota un po’ dolente per Ferruccio Furlanetto, un Timur efficace, ma oramai pietoso dal punto di vista vocale.

Il coro da sempre è una delle glorie della Fondazione Arena, e sotto la direzione di Ulisse Trabacchin affina ancora la propria arte; come se non bastasse, soprani e mezzosoprani, tenori e bassi si dimostrano anche bravissimi attori, facendo una degna concorrenza al folto gruppo di comparse. Il Coro di Voci bianche A. d’A. Mus diretto da Marco Tonin fa bella figura.

Corretto e sicuro Marco Armiliato alla guida dell’orchestra areniana: la sua lettura, si può dire, è nella buona norma, sufficientemente energica e dagli slanci lirici coinvolgenti.

Un successo, anzi, un successone, applausi grandiosi e pienamente meritati per tutti gli artisti, una serata da ricordare.


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