L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Un triste libertino

di Luca Fialdini

A Lucca si mette nuovamente in scena il contestato Don Giovanni nell’allestimento firmato da Cristina Pezzoli nel 2020

LUCCA 16 ottobre 2022 – Per la serie «a volte ritornano», nella stagione 2022/2023 il Teatro del Giglio di Lucca recupera la coproduzione del Don Giovanni di Mozart realizzata con il Verdi di Pisa nel 2020 e così ci troviamo ancora davanti all’opera ultima della fu Cristina Pezzoli. Chi sperava che la ripresa di Luca Orsini avrebbe messo a posto almeno qualcuna delle idee strampalate accolte due anni fa con sonori fischi è rimasto inevitabilmente deluso: in questa prima ripresa l’allestimento conserva intatti i pasticci e i controsensi, i balletti inappropriati, le provocazioni senza scopo, le trovate para-blasfeme, i recitativi al microfono in puro stile stand-up comedy, gli interventi con i kazoo, l’overture con la coreografia che occhieggia a Loïe Fuller, i rimandi a Moulin Rouge e al Don Giovanni con Raimondi del 1979, Zerlina vestita come una zingara, gli odiosi fruscii elettronici e tutto il serraglio di banalità e cattivo gusto che – purtroppo – è molto difficile riuscire a dimenticare. Le scene e i costumi di Giacomo Andrico sono anche ben realizzati (e invero il disegno luci di Valerio Alfieri è davvero buono), ma anche questi sono gravati da una visione drammaturgica veramente riprovevole.

Le masse sono le stesse di due anni fa, a partire dal Nuovo BallettO di ToscanA con le coreografie di Arianna Benedetti: senz’altro ben eseguite e dalla buona ideazione, ma ficcate a forza in contesti totalmente inopportuni (come nel caso dell’arietta "Fin c’han dal vino", in cui Don Giovanni se la canta in un cantuccio di un palco per il resto invaso dai ballerini), eppure il titolo riserva degli spazi molto precisi al ballo e tutt’altro che esigui. Come dopo la première, l’interrogativo sul motivo di questa scelta resta insoluto.

Il Coro Arché preparato da Marco Bargagna sortisce un buon risultato, in particolare nel poderoso finale del primo atto e nel coro invisibile al termine della scena del Commendatore. In linea di massima buona anche l’Orchestra Arché, forse meglio nel primo atto che nel secondo, ma complessivamente il suono è piuttosto spento con l’eccezione di alcuni rarissimi squarci dove riesce a produrre un suono da Don Giovanni, come nel caso del recitativo accompagnato "Don Ottavio… son morta".

La direzione di Alessandro Cadario si distingue per i buoni tempi, sostenuti ma mai affannosi, e per il bel sostegno ai cantanti; tuttavia le buone intenzioni si scontrano con la realtà di un’orchestra poco in forma e che forse avrebbe necessitato di qualche prova in più.

Se due anni fa il cast riusciva comunque a garantire un esito apprezzabile della serata, in questo frangente ci si trova di fronte a un caso ben strano: quasi nessun cantante riesce a passare nettamente l’orchestra. Senz’altro qualcuno dei solisti avrà ancora strascichi del covid, che notoriamente inficia la potenza polmonare, ma di otto interpreti totali si è udita come si deve la voce dei soli Paolo Pecchioli e Francesca Cucuzza, rispettivamente il Commendatore e Donna Elvira.

Federica Livi torna a vestire i panni – improponibili – di Zerlina e a dispetto del debutto oltre a un’emissione sufficiente (e non oltre) per essere udita dimostra pure un fraseggio poco curato; ben riuscito comunque il duetto del primo atto con Don Giovanni. Il Masetto di Italo Proferisce è funzionale e abbastanza ben centrato, al contrario di Massimo Frigato nei panni di Don Ottavio: la presenza vocale e quella scenica sono entrambe davvero esili, il canto malsicuro e di esito poco interessante persino nelle due splendide arie che Mozart affida al personaggio. Siamo d’accordo che i ruoli tenorili in Mozart siano particolarmente pericolosi, si cammina sul filo del rasoio, ma al ruolo sono riservate pagine di una intensità drammaturgica tali che non era difficile fare qualcosa di più.

Nicola Ziccardi torna a impersonare Leporello e oltre al fatto che, Dio solo sa perché, si ostina a produrre nel recitativo prima dell’aria del catalogo un’imitazione di Fantozzi, fornisce un’interpretazione poco convincente. È evidente che ce la metta tutta e senza risparmiare anche gli sforzi ginnici, ma l’esito del gennaio 2020 è un ricordo molto lontano.

Un esito simile, ahimè, anche per Sonia Ciani: la sua Donn’Anna è rimasta nella memoria di molti e l’intensità patetica e il bel fraseggio rimangono inalterati, purtroppo la voce non si è ancora ristabilita e di questo non ci si può che rammaricare in attesa di recite migliori.

Paolo Pecchioli è rimasto sostanzialmente inalterato e oggi come allora il suo Commendatore cattura subito l’attenzione. Certo, resta l’infelice parentesi dei movimenti meccanici, ma quello è un peccato originale che evidentemente si è deciso di non lavare.

Molto sottotono pure Daniele Antonangeli, non sempre precisissimo (almeno in un momento del primo atto lui e Ziccardi hanno avuto un pauroso sbandamento ritmico), ma il suo Don Giovanni si segnala comunque per una componente attoriale d’alto profilo, il vero trait d’union tra le diversissime situazioni che animano questo titolo.

L’autentica rivelazione di questa ripresa è la già menzionata Francesca Cucuzza: la sua Donna Elvira è dotata di uno splendido timbro unito a una dizione assai chiara e a un ottimo controllo sullo strumento vocale. Apprezzabili i patetismi post-sturmeriani così come le aggraziate agilità.

Lucca ha onorato l’onere della coproduzione, com’è giusto che sia, ma ci si augura che dopo l’ultima ripresa al Goldoni di Livorno questo allestimento venga messo sotto chiave e mai più riproposto.


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