L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Freddo, delitto, suicidio

di Irina Sorokina

La concertazione di Kent Nagano, l'eccellenza dei complessi amburghesi e di un cast che aveva in Camilla Nylund una splendida protagonista, uno spettacolo che sapeva abbinare all'impianto figurativo le giuste suggestioni e belle intuizioni: in una fredda serata di fine gennaio è successo per l'opera di Šostakovič alla Hamburgische Staatsoper.

AMBURGO, 29 gennaio 2023 - Freddo, fa tanto freddo ad Amburgo, la magnifica e aristocratica città metropolitana al Nord della Germania, tra il land dello Schleswig Golstein e la Bassa Sassonia. Nulla di strano, siamo alla fine di gennaio e il lago Alster nel cuore della città, vicino all’edificio moderno del teatro dell’opera, muove lentamente le sue acque gelide. Un buffo cappellino di maglia dal pon pon di pelo vero è una delle vie di salvezza. Come se non bastasse, cade la pioggia in gocce piccole che si fermano sui visi delle persone che corrono a casa, tra loro quelle che hanno assistito alla rappresentazione dell’opera di Dmitry Šostakovič Lady Macbeth del distretto di Mzensk, la nuova produzione del teatro amburghese. Patire del freddo umido e sentire le gocce pungenti sul viso e aver assistito alla storia della giovane donna insoddisfatta della profonda provincia russa, doppia assassina e poi suicida, produce sensazioni simili.

Il racconto di Nikolaj Leskov risale al lontano 1865 e si ispira a una storia realmente accaduta, un caso giudiziario: all’epoca l’autore lavorò presso il tribunale di Kiev. Traduce il doppio assassinio in un racconto e Dmitrij Šostakovič molti anni dopo lo mette in musica: l’opera Lady Macbeth del distretto di Mzensk viene composta negli anni Trenta del Novecento, l’epoca agghiacciante delle repressioni staliniane ed è destinata ad avere la storia travagliata. Viene rappresentata con successo a Leningrado nel 1934 e sembra di iniziare un cammino luminoso, ma il segretario generale del partito comunista dell’Unione Sovietica Iosif Vissarionovič Stalin lo ferma. Assiste alla rappresentazione dell’opera a Mosca due anni dopo, nel 1936, e il giornale del partito comunista, La Pravda (Verità) pubblica un articolo che letteralmente uccide il capolavoro del giovane Šostakovič: “Caos al posto della musica”. Le accuse rivolte al compositore sono molto serie e potrebbero avere conseguenze gravissime visto che non si tratta solamente degli aspetti musicali e drammaturgici, ma dell’accusa di non seguire la linea del partito comunista che costa all’autore il divieto di rappresentare l’opera negli anni 1930-1950. Solo nel 1962 il capolavoro del giovane Šostakovič torna sul palcoscenico sottoposto all’autocensura e sotto il nome di Katerina Izmajlova.

Freddo, fa tanto freddo ad Amburgo e sembra che faccia freddo in un luogo dove vive la famiglia Izmajlov, composta da Boris Timofeevič, suocero micidiale di Katerina, da Zinovij Borisovič, marito debole incapace di soddisfare una giovane donna piena di vita e desiderosa d’amore, e, alla fine, dalla stessa Katerina, che vive in una specie di prigione, sorvegliata giorno e notte dal vecchio fastidioso, mentre il marito è assente per affari. È annoiata, umiliata, ma soprattutto desiderosa del sesso, delle carezze ardenti di un giovane uomo: accade inevitabilmente quel che deve accadere quando a casa Izmajlov arriva Sergej, un giovane lavoratore sciupafemmine, sul cui conto corre voce che abbia perso il posto di lavoro a causa di una storia di sesso con la padrona. Il resto è tristemente noto: la coppietta viene scoperta da Boris Timofeevič, e, per evitare che la storia venga fuori, Katerina gli serve un piatto di funghetti, proprio così viene chiamata la pietanza preferita dal vecchio. Il primo passo è fatto e il secondo, l’assassinio del marito, è un gioco da ragazzi. La padrona e il lavoratore amante celebrano le nozze, mentre il cadavere del marito giace in una cantina, ma il caso vuole che sia scoperto da un ometto disgraziato e squallido. Vengono condannati alla galera e intraprendono un viaggio verso le desolate lande siberiane. Il cinico Sergej perde l’interesse per Katerina e corteggia la giovane carcerata Sonjetka, sottrae con inganno le calze di lana all’ex amante per regalarle alla nuova favorita dimostrando un’estrema perfidia: Katerina si butta nelle acque gelide e porta con sé la rivale.

La squadra che mette in scena Lady Macbeth del distretto di Mzensk è quasi interamente femminile e proviene dalla patria degli autori, la Russia appunto. Se qualcuno è stanco del Regietheater emette un sospiro di sollievo: la scenografa e costumista Varvara Timofeeva e la regista Angelina Nikonova sono lontanissime dalle intenzioni di stravolgere o volgarizzare la faccenda. La scenografia austera rappresenta la corte della proprietà Izmajlov con una tettoia, da qualche parte del vastissimo paese che è la Russia, un paesaggio tipico, un prato e qualche albero sotto il cielo azzurro che risponde al richiamo del vento. Tutto sa dell’infinito e tutto produce un effetto sottile di malinconia che probabilmente soltanto i nati in questa terra conoscono.

Una grande trovata scenografica è un letto enorme, troppo spazioso per la Katerina che ci dorme quasi sempre sola, in preda delle fantasie sessuali. Un letto messo in piedi, con una piccola pedana d’appoggio: il trucco sta nel fatto che gli amanti si abbracciano o fanno il sesso stando in piedi, ma dalla sala si ha la piena illusione che lo stiano facendo nel letto.

Sembra che Timofeeva e Nikonova abbiano intenzione di seguire una strada puramente illustrativa, ma il concetto originale della regia si svela piano piano; da brivido la scena del tentativo di violenza in confronti della cuciniera Aksinja (una formidabile Carol Wilson) che viene messa in un gigantesco barattolo dei crauti e crudelmente presa in giro, da brivido l’ultimo atto spostato nell’epoca delle repressioni staliniane che ben si riconosce dalle divise delle guardie che accompagnano i condannati alla galera verso qualche posto desolato probabilmente oltre il circolo polare. La nave attraversa il fiume coperto dalle lastre di ghiaccio, quando Katerina in preda alla gelosia spinge Sonjetka nelle acque gelide e la segue: sullo schermo appaiono entrambe in un ultimo tentativo di lottare. Del resto, Angelina Nikonova è una regista del cinema. Una cosa curiosa, non del tutto chiara, l’inserimento tra il secondo e il terzo atto di una lunghissima preghiera in lingua russa che tonfa nella sala unita nel silenzio o addirittura, nel terrore; comunque produce un grande effetto.

Il cast della Lady Macbeth del distretto di Mzensk amburghese è, senza esagerazione alcuna, formidabile e fa anch’esso dell’opera di Šostakovič

un vero evento. Nel ruolo del titolo, il soprano finlandese Camilla Nylund appare profondamente diversa dalla cantante che per generazioni intere si associava con la figura di Katerina Izmajlova: parliamo della celeberrima Galina Višnevskaja, uno dei più grandi soprani del Bol’šoj e la moglie del violoncellista Mstislav Rostropovič. Sarebbe assurdo paragonare due interpreti divise da epoca, formazione artistica, visione personale del ruolo: ricordiamo Višnevskaja perché fece epoca. Nylund disegna una Katerina molto umana, una donna desiderosa non soltanto del sesso, ma dell’amore autentico: le circostanze e il cinismo dell’amante Sergej la spingono di diventare assassina. La sua voce sopranile forte e lucente, lo studio accurato di una lingua difficilissima come il russo, la comprensione dello stile e il talento d’attrice la portano a un meritato successo. I tre cantanti chiamati a impersonare tre uomini che fanno parte della storia della lady Macbeth del distretto di Mzensk recitano e cantano da provocare brividi in sala. La squadra maschile è capitanata dal basso bielorusso Alexander Roslavets nei panni di Boris Timofeevič, un diavolo in persona insidiatosi tra le mura domestiche degli Izmajlov: cinico, perverso e sessualmente affamato, avrebbe sedotto con piacere lui la nuora. Roslavets non solo affronta con disinvoltura il difficilissimo declamato vocale di Šostakovič, ma applica al personaggio un’analisi psicologica dalla profondità immensa che coinvolge pure il modo di muoversi sul palcoscenico. La scena della morte a causa dei funghetti avvelenati, segnata dalle convulsioni e dalla lotta impressionante contro il destino, provoca un autentico shock in sala. In aperto contrasto con la figura del padre, simbolo dell’immoralità e dell’orrore, Zinovij Borisovič Izmajlov, un uomo sottomesso e senza personalità, incapace di procurare l’erede alla famiglia. Non ci si può calare di più nei panni del marito disgraziato di Katerina del tenore Vincent Wolfsteiner: la povera vittima del padre e della moglie non viene considerato da nessuno dei due, qualche volta apre la bocca per emettere qualche suono belante… ecco la parola, bela simile ad un capretto. Una brutta fine anche a lui. Non c’è due senza tre, e questo terzo è Sergej, un lavoratore dal fisico aitante, dagli appetiti sessuali evidenti, dalla capacità di approfittarsi delle donne. La scelta del tenore Dmitrij Golovin è perfetta per questo personaggio odioso, perfetto il suo fisico snello, i suoi modi spavaldi, la sua voce di interprete esperto.

Nominiamo giustamente tutti gli interpreti dei ruoli di contorno fra cui nessuno passa inosservato: Andreas Conrad – un contadino cencioso, Liam James Karai – un cocchiere/un guardiano, Sava Vernič – un domestico/un sergente, Florian Panzieri – il primo commesso, Nicholas Mogg – il secondo commesso/un insegnante, Julian Arsenault - un operaio del mulino, Tigran Martirossian – un prete, Karl Humi – capo della polizia, Mateusz Lugowski – un poliziotto, Owen Metsileng – un ospite ubriaco, Marta Swiderska – Sonjetka, Ayk Martirossian – un vecchio forzato, Bettina Rosel – una forzata.

Sul podio, il grande Kent Nagano alla guida dell’orchestra dell’Hamburgische Staatsoper sembra intenzionato a compiere miracoli: intenzione pienamente riuscita. Presta attenzione a tutti i gruppi di strumenti, alterna l’impeto e la pienezza del suono con la trasparenza e la dolcezza estreme. I professori sembrano doppiare le voci interiori dei personaggi, passando dai gemiti di piacere e di terrore alle sonorità grandiose e quasi violente e non mancano dei momenti di terrore e di catarsi che il pubblico è “costretto” a vivere. Il formidabile coro dell’Opera di Stato di Amburgo sotto la guida di Eberhard Friedrich recita e canta nella difficile lingua russa in modo tale da meritare applausi a non finire.

Freddo. Buio. Pioggerellina sottile che batte sulle guance. Un vento fastidioso. Un cappellino con pon pon. Un delitto da qualche parte. Paura agghiacciante. Terrore che sale. Una preghiera. Punizione inevitabile. Rassegnazione. Tutto questo è la Russia, ieri e oggi.


 

 

 
 
 

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