Debutto in nero pistacchio
La nuova sede provvisoria del Teatro Comunale di Bologna apre ufficialmente i battenti all'opera con Madama Butterfly. Dominano la serata la curiosità per una sala da scoprire e l'impeto appassionato di Daniel Oren, mentre latita la protagonista.
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BOLOGNA, 19 febrbaio 2023 - Finalmente ci siamo. Il nastro si è tagliato ufficialmente il 16 febbraio, con il sindaco Matteo Lepore sul palco del Comunale Nouveau, la nuova struttura in fiera che sostituirà la storica sala del Bibiena durante i lavori di ristrutturazione: gli archi del teatro hanno affrontato le Quattro stagioni di Vivaldi sul palco, ma per il saggio vero e proprio dell'acustica si attendeva l'opera, l'organico al completo in buca, le voci in azione. Ecco dunque Madama Butterfly a offrire la degustazione della bottiglia stappata pochi giorni prima e fatta adeguatamente respirare.
Il luogo ha naturalmente i suoi pro e i suoi contro. Per qualcuno la posizione potrà risultare più comoda, per altri meno; certo è che non è il massimo leggere sul biglietto le indicazioni sulle linee d'autobus che fermano davanti al Comunale Nouveau con la precisazione che non si effettuano corse dopo le 21. Altra correzione può essere pensata per il guardaroba di fronte al quale si è formata una fila infinita nonostante la solerzia del gentilissimo personale. Impressione più positiva su bar e bagni. Poi, tutto si conoscerà meglio con il tempo, sia da parte del pubblico sia da parte del personale e della macchina organizzativa: qualche difetto potrà essere limato, altri forse si riconosceranno meglio in seguito, e potranno essere corretti, si apprezzeranno i pregi al di là del primo impatto, si prenderà confidenza. Ma, speriamo, non per troppo tempo: abbiamo già avuto sufficienti esempi di lavori iniziati con data di scadenza dilazionata a più riprese, come per l'Adriatic/Vitrifrigo Arena di Pesaro, “provvisoria” dal 2006. Ben vengano i nuovi luoghi della musica, ancor più benvenuti i ritorni a casa. Intanto, registriamo con piacere la presenza di molte persone alla loro prima esperienza all'opera: forse che i teatri di tradizione, visti come templi sacri, suscitano ancora un'eccessiva soggezione? C'è da riflettere su questo.
Madama Butterfly, dunque, nella sala nero pistacchio ricavata dall'ex centro vaccinale in Fiera, ottima visuale dalla platea unica digradante – con le maschere a consigliare l'ingresso giusto per semplificare l'accesso ai posti – acustica che i tecnici assicurano essere nelle rilevazioni identica alla sala del Bibiena, mentre gli orecchi umani tendono a registrare meno entusiasmo, una resa non sempre generosa e appagante (sarà la moquette, sarà il soffitto basso). Molto dipende e dipenderà, certo, dalla capacità del concertatore di adattarsi alla sala e bisogna dire che Daniel Oren ha saputo temperare la sua innata estroversione modellando al meglio le dinamiche sull'acustica. Non ha mancato di far sentire – letteralmente – la sua voce, quasi un marchio di fabbrica, e il suo è senz'altro un Puccini più passionale e impetuoso, quasi sfacciato che analitico e sottile, ma questa chiave di lettura è perseguita con coerenza, con alcuni momenti davvero significativi che si delineano in corso d'opera, soprattutto la scena della lettera e la terribile marcia funebre da “s'ei non dovesse ritornar più mai” nel secondo atto, il finale del terzo. Il risultato è tanto più significativo – ma sia lode in primis a “quel diavolo d'un Puccini” – se si pensa che quest'opera si regge in genere soprattutto su bacchetta e soprano e qui era proprio quest'ultimo a mancare. In sostituzione della prevista Maria José Siri è sopraggiunta, infatti, Latonia Moore, artista ancor giovane (classe 1979) che avevamo apprezzato qualche anno fa a Istanbul come Aida [Istanbul, Aida, 14/05/2015], ma che qui è parsa precocemente usurata o, quantomeno, in una serata non positiva. Acuti spinti e taglienti, registro grave forzato e opaco, fraseggio piuttosto piatto condito da qualche leziosaggine, dizione non proprio adamantina, musicalità un po' generica. Peccato, ci auguriamo sia solo un incidente di percorso, comunque condonato da un pubblico assai generoso.
Meglio va il resto del cast, con Dario Solari che domina benissimo il canto di conversazione di Sharpless e Luciano Ganci come Pinkerton vocalmente smagliante. Il ricordo personale va al primo ascolto dal vivo del tenore romano, proprio a Bologna e proprio in questa stessa parte [Bologna, Madama Butterfly, 14/02/2015]: allora si mise in luce la bontà dei mezzi, ma la maturità dell'artista sarebbe emersa maggiormente poi, soprattutto in Verdi. Oggi, pure, al suo ufficiale statunitense si può imputare una sola cosa: è troppo simpatico, come mascalzone potrebbe essere più un Duca di Mantova ed è nei personaggi più sinceri ed eroici che la sua personalità si esprime al meglio.
Bene anche la Suzuki di Aoxue Zhu (premiata nell'ultimo concorso AsLiCo: Como, concerto finale concorso Aslico, 08/01/2023), lo Yamadori di Paolo Orecchia, lo zio Bonzo di Nicolò Ceriani, il commissario imperiale di Luca Gallo con l'ufficiale del registro di Enrico Picinni Leopardi, la mamma di Maria Adele Magelli, la zia di Maria Luce Erard e la cugina di Chiara Salentino. Un po' meno il Goro di Cristiano Olivieri, che mostra qualche segno di stanchezza di troppo. La Kate Pinkerton di Claudia Ceraulo è, infine, particolarmente valorizzata dalla regia di Gianmaria Aliverta, che si basa su un allestimento già visto a Bologna dove nacque per la Scuola dell'Opera nel 2009 per poi essere esportato anche a Firenze (Firenze, Madama Butterfly, 08/02/2014). Dato l'impianto visivo preesistente e la collocazione in un teatro nuovo resosi disponibile a prove già iniziate (e, a proposito, chissà perché sono di moda boccascena così lunghi e bassi, più affusolati di uno schermo 16:9? Temiamo che possa essere una scelta limitante per produzioni future), il lavoro del regista più che impostare una propria lettura in tutta forza si concentra sui dettagli, senza fermarsi all'evidenza della didascalia o della tradizione (è Pinkerton a sciogliere l'“obi pomposa”; Suzuki rivolge “Sovente a questa siepe veniste a riguardare” all'idolo del suo santuario domestico e non a Cio Cio San), con risultati ora convincenti ora un po' più forzati (quando capita che ci si rivolga a un personaggio assente). Bene l'idea che la serva amorosa preghi di fronte alla statua ricomposta del Buddha o Sarundasico recato dal Bonzo e infranto dallo sprezzante Pinkerton, anche se dobbiamo accettare l'apparizione dello zio furibondo con l'idolo portatile sotto il braccio. E poi c'è Kate, appunto, particolarmente cinica e aggressiva, presente e prepotente nel suo volersi appropriare del bimbo. Una lettura plausibile di un personaggio che nella versione corrente è quasi un fantasma e può essere remissivo e sottomesso, ma anche complice se non spietato al pari del marito. Se nelle note di sala sembra quasi sia possibile un'assoluzione di Pinkerton rispetto al comportamento della moglie (che per quanto riprovevole non può invece in nessun modo giustificare l'abuso), nella realtà della scena tutto fila liscio e si può, anzi, apprezzare come il rilievo di Kate metta vieppiù in luce l'animo miserabile di Pinkerton, dall'atteggiamento del conquistatore alla realtà di uomo piccolo e meschino, incapace di prendere decisioni e responsabilità.
Alla fine grande successo, che coinvolge giustamente anche orchestra e coro (preparato da Gea Garatti Ansini), impegnati e concentratissimi.
Il dado è tratto: andiamo avanti, ricordando quanto sia importante portare la musica anche in spazi diversi, ma quanto siano preziose le sue dimore innate.