L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Le origini del mostro

di Luigi Raso 

Nel 2023 la Wiener Staatsoper ha proposto una nuova produzione di Salome di Strauss, a cura del regista Cyril Teste, che si è concentrato sul rapporto morboso di Herodes e la figliastra. L'aspetto più convincente resta, però, la concertazione di Philip Jordan con la sfavillante orchestra del teatro.

VIENNA, 26 aprile 2023 - Mandato in pensione l’allestimento firmato Boleslaw Barlog (risalente al 1972), lo scorso febbraio è andata in scena una nuova produzione di Salome di Richard Strauss firmata dal regista francese Cyril Teste, che si avvale della collaborazione artistica di Céline Gautier. Lo spettacolo è imperniato sull’ossessione Herodes per Salome e Teste vede l'opera come tragedia familiare borghese, al cui interno s’insinua l’erotismo distruttivo del Tetrarca: sono state le sue morbose e pedofile attenzioni nei confronti di Salome - questo è il messaggio della regia - ad averla trasformata in un mostro. Si va, molto probabilmente, oltre ciò che c’è nel testo di Oscar Wilde ripreso dallo stesso compositore, ma la tesi del regista non manca di suggestione.

Le belle, eleganti ed essenziali scene di Valérie Grall ci mostrano l’interno della corte di Herodes; ed è nel corso di una riunione conviviale con ospiti in abiti moderni e uniformi militari (firmati da Marie La Rocca) si consuma la sua attrazione per la figliastra: ad impreziosire l’elemento scenico e, soprattutto, registico vi sono le riprese video curate da Rémy Nguyen che riprendono dal vivo e in primo piano le espressioni facciali dei protagonisti: esse ci mostrano il turbamento e la perfidia di Salome, la laidezza di Herodes, pretendendo dai cantati prove da veri e propri attori cinematografici.

La danza della principessa è seguita e filmata da molto vicino: è suddivisa tra la Salome presente, che si muove con una sensualità prepotente e provocatoria intorno al grande tavolo, e quella, innocente e ritrosa, ma già oggetto di attenzioni da parte di Herodes, molto più giovane. Salome, per Cyril Teste, è stata una creatura innocente; Herodes l’ha poi fatta diventare un mostro affamato di malata sensualità e sangue.

Il disegno registico, però, al netto di queste idee, stenta a trovarne altre altrettanto interessanti: procede senza troppi scossoni fondandosi sulla interazione teatrale, estremamente curata, tra i protagonisti, chiamati ad esprimere - anche per l’effetto ‘amplificatorio’ della ripresa video - attraverso la mimica facciale le più nascoste espressioni psicologiche.

Dal punto di vista musicale convince molto la direzione di Philippe Jordan, che sa ben cogliere dall’orchestra della Wiener Staatsoper quel florilegio di colori e atmosfere, spesso così contrastanti tra loro, di cui la partitura abbonda; ma Jordan ha soprattutto il merito di imporre una narrazione serrata, molto teatrale, che in un crescendo di tensione sfocia nell’articolata scena finale del bacio di Salomè alla testa mozzata di Jochanaan.

Orchestra perfetta in tutte le sezioni, che nella celebre Danza dei sette veli mostra lo sfavillio e la sontuosità della sue sonorità, la propria potenza e coesione interna.

Purtroppo dal cast vocale non emerge un livello artistico pari a quello della concertazione e della resa orchestrale.

A cominciare dalla protagonista Malin Byström che della parte di Salome non possiede il giusto peso vocale, la precisione e il nitore degli acuti, il peso dei gravi. Se si apprezza - e molto! - la sua interpretazione scenica e interpretativa, non si può però tacere sul fatto che il soprano sia un soprano lirico, la cui organizzazione e caratteristiche vocali sono ben lontane da quelle necessarie per affrontare Salome: e così la prova ha mostrato troppi acuti incerti e poco a fuoco, un’esiguità generale di volume. La Byström però si riscatta per una magistrale prova di attrice, che trova nei primi piani della Danza il suo momento più intenso e riuscito.

L’Herodes di Gehard Siegel ha invece il giusto peso vocale e colore per l’insidiosa parte; del Tetrarca il tenore tedesco coglie gli aspetti psicologici con immediata evidenza.

Denota esiguo volume e vocalità sfiorita la Herodias di Stephanie Houtzeel,così come troppo poco incisivo, per spessore, timbro e accento, è Iain Paterson nei panni di Jochanaan, generico quanto ad interpretazione, poco timbrato e troppo chiaro per la parte del profeta.

Sicuro e solido il Narraboth di Hiroshi Amako, il cui dramma interiore però non viene indagato adeguatamente dal disegno registico.

Nei numerosi e significativi ruoli secondari, si distinguono il Paggio di Isabel Signoret e i Cinque ebrei di Lukas Schmidt, Andrea Giovannini, Carlos Osuna, Robert Bartneck ed Evgeny Solodovnikov; fanno bene i due Nazareni di Clemens Unterreiner e Attila Mokus, i due Soldati di Ilja Kazakov e Stephano Park.

Al termine, lunghi applausi sommergono tutti i protagonisti dello spettacolo, con picchi di ovazioni per il direttore Philippe Jordan e la Salome di Malin Byström.


 

 

 
 
 

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