L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Sediziosa Norma

di Antonino Trotta

Nonostante qualche isolata contestazione rivolta alla regia, al Teatro Carlo Felice di Genova la Norma di Vincenzo Bellini s’impone all’attenzione per l’edizione storicamente informata curata da Maurizio Biondi e Riccardo Minasi, quest’ultimo nel duplice ruolo di musicologo e carismatico concertatore: nella seconda compagnia di canto spiccano le eccellenti voci di Gilda Fiume e Anna Dowsley.

Genova, 6 Maggio 2023 – Norma è un’opera più difficile da mettere in scena che da mettere in musica: la natura intima e privata della tragedia, la concentrazione e il controllo che le dannatamente sublimi linee belliniane esigono, l’alienante irrazionalità nel ritmo della narrazione che si concede ora estasi idilliache ora impennate di fuoco, fanno dell’azione prettamente fisica, in questo capolavoro, uno scoglio talvolta a dir poco insormontabile. Non a caso le ultime tre Norme recensite da chi scrive, condividono, pur con tagli profondamente diversi, lo stesso destino: direttori eccezionali – Lanzillotta a Torino [leggi], Bonato a Como [leggi] e ora Minasi, a conferma del fatto che in Norma il direttore può far davvero la differenza –, cantanti assolutamente all’altezza e messinscene così così. Qui a Genova, a onor del vero, lo spettacolo confezionato da Stefania Bonfadelli – con scene di Serena Rocco e costumi di Valeria Donata Bettella – ha più di un pregio. Parte innanzitutto da un’idea – cosa di per sé già rara –, quella di ritrarre Norma nella sua dimensione di leader politica e spirituale, amante e amica, madre e guerriera, e nel corso dello spettacolo quest'idea si rinfranca in più di un’occasione: durante «Casta Diva», quando è avvolta da un candido mantello, la sacerdotessa risplende in tutta la sua luce; nel duetto con Adalgisa, mentre si prodiga nel fare i bagagli ai pargoletti, la madre s’impone per la sua straziante forza; nel finale, in cui un bacio con Pollione suggella la condanna, la donna s’afferma nella sua piena interezza. Poi però c’è da cantare, e mentre i cantanti cantano e variano in proscenio parti integralissime, alle spalle attori e figuranti guerreggiano insistentemente senza tregua, molto spesso monopolizzando e invadendo la scena più del necessario. Così alla fine, complice pure qualche eccesso – il capretto sgozzato ai limiti del kitsch e un Pollione che limona tanto quanto un Don Giovanni –, gli apprezzabili spunti narrativi si confondono nella bolgia complessiva.

Netti e inequivocabili, invece, sono quelli che arrivano dal golfo mistico dove Riccardo Minasi, autore insieme a Maurizio Biondi della versione critica presentata in duplice versione a seconda del cast – per il primo cast «Casta Diva» in Fa ma con le modifiche della versione in Sol, finale primo “lungo” e «Guerra, guerra» con coda in maggiore; per il secondo cast «Casta Diva» nell’originale chiave di Sol, finale primo “corto” e «Guerra, guerra» senza coda in maggiore – concerta l’opera e guida l’Orchestra del Teatro Carlo Felice con grande pathos e contezza di stile. Al di là, di fatto, dell’interesse che le novità dell’edizione critica può suscitare – piacere ad uso, in fin dei conti, dei feticisti della partitura –, è il taglio “storicamente informato” della lettura in sé ad entusiasmare. L’ampiezza delle dinamiche messe in gioco, la varietà di colori sfoggiati, la plasticità del tessuto ritmico, il mordente con cui l’orchestra è chiamata a fraseggiare fanno sì che questa Norma non si riduca a solo un esercizio di stile e si traduca nell’opportunità di ascoltare un capolavoro al massimo del suo potenziale drammatico.

Nel cast sono le donne a primeggiare. Ritroviamo una magnifica Gilda Fiume nel ruolo della protagonista in una prova, molto diversa dalle recite torinesi sopracitate, in cui la vocalista fa a gara con l’interprete. Se infatti il dominio della tecnica, la bontà del legato, la densità di dettagli e sfumature in una linea di canto immacolata, lo slancio di puntature e variazioni sono il marchio di fabbrica di un’autentica belcantista, è nell’esplorazione del personaggio, che poi si traduce tutta nella ricchezza di accenti con cui tanto le melodie quanto i recitativi – scolpiti a regola d’arte – si porgono, che Fiume mette a segno il suo emozionante personaggio: una e molteplice, anche assecondando le volontà della regia, Gilda Fiume crea una Norma che sa essere guerriera pugnace, madre amorevole, amante ferita e amica leale. Al netto di qualche problemino di pronuncia, anche l’Adalgisa di Anna Dowsley si lascia decisamente ammirare per il colore ambrato del voluminoso strumento, per la sensibilità espressiva e musicale dell’interprete, per la flessibilità della ginnasta vocale e non ultimo per la spigliatezza dell’attrice. Di Antonio Corianò, Pollione, si confermano le impressioni già avute nella recente Norma comacina: i problemi in acuto non mancano ma si apprezzano molto partecipazione e intenzioni. Mariano Buccino è un buon Oroveso, così come validi sono la Clotilde di Simona di Capua e il Flavio di Blagoj Nacoski. Eccellente la prova del Coro del Teatro Carlo Felice, istruito dal maestro Claudio Marino Moretti.

Qualche isolata e schizzinosa contestazione in un teatro tutto esaurito non pregiudica l’esito di una pregevolissima recita, l’ennesima in una stagione che continua a regalare grandi soddisfazioni.


 

 

 
 
 

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