L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Effetto Bohème

di Luigi Raso

Sebbene la ripresa dello spettacolo di Emma Dante con la direzione di Francesco Lanzillotta e Vittorio Grigolo protagonista con Selene Zanetti non convinca sempre del tutto, il capolavoro di Puccini non manca di sortire il suo effetto.

NAPOLI, 30 giugno 2023 - Benché strida con la calura di una torrida serata napoletana d’inizio estate ascoltar parlare in scena di “freddo cane”, di squallide soffitte nelle quali ci si ingegna e si fatica a conquistare scampoli di tepore, di gelidi mattini invernali innevati, di mani intirizzite dal gelo e dalla morte incipiente, La bohème di Giacomo Puccini vince ancora. Se “l’effetto Mozart” è stato oggetto di un rigoroso studio scientifico, “l’effetto Bohème” andrebbe parimenti approfondito: come può quest’opera conquistare, anche all’ennesimo ascolto, far scorrere puntualmente un brivido dietro la scena al momento della morte di Mimì, commuoverci per la conseguente disperazione di Rodolfo pur conoscendo l’esito della trama? È un fenomeno, questo eterno rinnovarsi dell’emozione nella Bohème, che si ripete ritualmente ad ogni ascolto, gettando un’ancora di salvezza anche a esecuzioni musicali di certo non memorabili: “potenza della lirica”.

Stasera al San Carlo viene riproposta l’edizione che inaugurò (fu la prima delle due inaugurazioni, dopo la lunga chiusura dei teatri a causa della pandemia da Covid-19) la Stagione lirica 2021-2022 (qui la recensione: https://www.apemusicale.it/joomla/it/recensioni/58-opera/opera-2021/12444-napoli-la-boheme-14-10-2021). Da stasera La bohème sarà in scena per 7 recite, tutte fuori abbonamento, dal 30 giugno al 7 luglio.

La responsabilità musicale della ripresa della produzione affidata stavolta alla bacchetta di Francesco Lanzillotta: concertazione che amministra ordinariamente una partitura straordinaria per squisitezze e arditezze armoniche e strumentali, rigoglio melodico, senso del teatro. Dalla lettura di Lanzillotta emergono pochi colori; v’è poca tensione e poca emozione, qualche difficoltà nel “respirare” con i cantanti.

Lanzillotta ha però il merito di provare a incanalare l’esuberanza musicale di Vittorio Grigolo, Rodolfo in questa produzione, verso una unitaria visione d’insieme. Il tentativo non sempre centra l’obiettivo; anzi, si ha la percezione che l’esigenza di dover imbrigliare gli anodini e costanti allentamenti agogici che Grigolo si concede comprometta tanto la precisione degli altri artisti, quanto la tenuta dell’insieme, finendo così per prosciugare la partitura di quella inestinguibile linfa di raffinato e crepuscolare sentimentalismo che la irrora, nonché di quel sorprendente e intrinseco coinvolgimento emotivo che catapulta - soprattutto durante il Quadro IV - il pubblico nella soffitta sin dall’arrivo improvviso di Musetta. Da quel momento Puccini vuole che il pubblico sia testimone, insieme ai protagonisti dell’opera, con vere e proprie “inquadrature musicali”, anticipatrici di quelle cinematografiche, degli ultimi tragici momenti della vita di Mimì. E tutto questo, in questa Bohème non si è percepito come dovuto.

L’Orchestra, abbastanza precisa, sfoggia suono meno curato e meno ricco di colori e sfumature del solito; l’equilibrio dei pesi sonori tra buca e palcoscenico è in linea di massima garantito, malgrado l’evidente difficoltà di taluni protagonisti a superare in varie occasioni l'impatto strumentale.

José Luis Basso, per l’ultima volta nelle vesti di direttore del Coro del San Carlo nella storica sala di Niccolini (a metà luglio sarà impegnato con la stessa compagin al Festival di Aix-en-Provence per Otello di Verdi con la direzione di Michele Mariotti) guida un insieme solido, che denota compattezza sonora, varie tinte musicali, incisività e percepibile entusiasmo. La sfida, da oggi, sarà conservare queste qualità e, soprattutto, il fervore che li hanno animati in questi anni: caratteristiche che, come evidenziato nelle recensioni di questi anni, hanno fatto apprezzare unanimemente il lavoro svolto da José Luis Basso e dai versatili, professionali, disponibili e motivatissimi artisti del Coro. Al termine di questa seconda esperienza alla guida del Coro del San Carlo, auguriamo al maestro di conseguire, assumendo la direzione del Coro del Teatro Real di Madrid, i medesimi ottimi risultati conseguiti a Napoli, e, soprattutto, di raccogliere dal pubblico madrileno apprezzamento e affetto, così come glieli ha manifestati quello partenopeo.

Molto bene anche il Coro di Voci Bianche, gioioso e preciso, guidato dalla sempre professionale Stefania Rinaldi.

Luci ed ombre, poi, dal cast vocale schierato per questa ripresa.

Non appare nella stessa forma riscontrata e lodata in occasione della precedente messinscena del 2021 il soprano Selene Zanetti nei panni di Mimì: rispetto a due anni fa denota qualche affaticamento di troppo, un registro acuto non luminoso e squillante come ricordavamo. La voce è pur sempre abbastanza corposa e ben proiettata, ma appare artificiosamente irrobustita e scurita nel commuovente finale. Quanto all’interpretazione, alla Mimì di Selene Zanetti il trascorrere del tempo ha portato in dote una buona dose di distacco emotivo: il soprano è attento più a centrare la quadratura musicale che a calarsi nella psicologia della giovane sartina.

Vittorio Grigolo è un Rodolfo vocalmente generoso, esuberante e (troppo) enfatico nella gestualità: il rispetto della quadratura musicale è spesso lontano dal farsi immanente. La concertazione di Lanzillotta, come detto, è costretta a faticare non poco a stargli dietro. Grigolo rallenta, accelera, incrinando così la tenuta del tutto e, soprattutto, appesantendo il proprio stile vocale e interpretativo: l’alternanza continua tra suoni forti e spinti e pianissimi (spesso spoggiati) alla lunga diventa snervante. Eppure Grigolo è naturalmente dotato di mezzi vocali notevoli, che una tecnica ortodossa, il rispetto dello spartito e minore istrionismo interpretativo e scenico avrebbero potuto indirizzare verso ben altri esiti artistici.

L’arguta e civettuola Musetta di Laura Ulloa, allieva dell’Accademia del Teatro San Carlo, è la positiva rivelazione della serata: canta molto bene, ha voce dal bel colore e timbro, dal peso specifico adeguato alla parte; è artista ricca di talento, molto musicale, che, malgrado la giovane età, denota doti interpretative encomiabili. Del soprano cubano si apprezza soprattutto la credibilità scenica e la capacità di offrire una lettura articolata e sfaccettata del personaggio di Musetta.

Andrzej Filonczyk è un Marcello nel complesso convincente, sia sotto il profilo scenico sia sotto quello vocale: linea di canto tendenzialmente corretta, ma che in qualche passaggio manifesta una certa ruvidezza nell’emissione.

Convince per l’adeguato peso vocale lo Schaunarddi Pietro Di Bianco: è uno squattrinato musicista dalla immediata comunicativa musicale, malgrado il timbro tradisca anche nel suo caso un'eccessiva ruvidezza.

Alessio Cacciamaniè Colline: bel timbro, voce pastosa e linea di canto fluida. La sua “Vecchia zimarra” è convincente.

Matteo Peirone, nei duplici panni di Benoît e Alcindoro, è un raffinato caratterista: un artista della parola che sa come far risplendere le due piccole parti grazie al proprio bagaglio di uomo di teatro.

A corredo dei protagonisti, è molto ben assortita la schiera dei comprimari, a cominciare da Antonio Mezzasalma (Venditore), Alessandro Lerro (Sergente) e Sergio Valentino (Doganiere), tre esperti artisti del Coro del Teatro; infine, è incisivo nelle sue esclamazioni il Parpignol di Andrea Calce.

Quanto allo spettacolo, Federico Gagliardi riprende la regia di Emma Dante. Se la memoria non inganna, questa ripresa ricalca fedelmente il disegno registico visto nel 2021. Ambientazione della vicenda en plein air durante tutti e quattro i quadri del capolavoro di Puccini. Sui tetti del condominio di Parigi ruota un’umanità estremamente variegata: un prelato, delle suore, una procace prostituta, acrobati, transessuali, giovani innamorati, un uomo ubriaco. Ma ci sono molte (troppe) controscene in questa regia: qualcuna, davvero pleonastica, distoglie lo sguardo dello spettatore conducendolo troppo lontano dal cuore dell’azione teatrale.

Le belle scene di Carmine Maringola sono farcite di citazioni artistiche - si va dai manifesti di Toulouse-Lautrec ai graffiti di Banksy - tra le quali si innesta il perenne movimento in scena. Recitazione ben curata, tanto quella dei personaggi quanto quella dei mimi.

Colorati e a tratti fantasmagorici i bei costumi di Vanessa Sannino; le luci di Cristian Zucaro, nella loro staticità, aggiungono poca vitalità a uno spettacolo comunque di suo imperniato sul costante dinamismo.

Come si notò in occasione dell’edizione del 2021, La bohème immaginata da Emma Dante ha tratti favolistici, che coesistono con i riferimenti ingombranti a una religiosità, a tratti greve e funeraria, solo sfiorata nel libretto.

Al termine, il pubblico del San Carlo, composto in gran parte di turisti (le rappresentazioni di questa edizione sono fuori abbonamento) accoglie con un successo convinto la ripresa della sempreverde Bohème, applaudendo a lungo tutti gli artefici dello spettacolo.


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