L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Riflessi nel ghiaccio

di Roberta Pedrotti

In una serata davvero impervia sotto il profilo meteorologico, la ripresa della Traviata allo Sferisterio di Macerata vede il 5 agosto il rientro di Roberto De Candia, Germont costretto a rinunciare alla prima per un'indisposizione.

MACERATA, 5 agosto 2023 - Nemmeno la pioggia può fermare la decima ripresa della “Traviata degli specchi” allo Sferisterio di Macerata. Un temporale pomeridiano ritarda l'inizio, rende l'aria più fredda e umida, ma Violetta, imperterrita, torna a brindare, gioire, amare e morire sotto l'immenso specchio immaginato da Josef Svoboda nel 1992. Ogni volta ci si chiede perché mai dovremmo ad anni alterni tornare a vedere lo stesso spettacolo, ma ogni volta ci torniamo e siamo costretti ad ammettere che Svoboda era un vero genio (la regia di Brokhaus magari è un po' meno geniale, tutta ormai in funzione della scenografia, che da sola sembra reggere ogni cosa).

Fra i rigori del clima avverso, che immaginiamo non abbia reso la vita facile nemmeno a chi deve cantare e suonare, essere qui stasera è, però, motivo di gioia perché finalmente, dopo una lunga indisposizione, è tornato sul palco Roberto De Candia, Giorgio Germont sostituito alla prima da Claudio Sgura. Ascoltandolo, un pensiero corre alla mente: la storica registrazione BBC della prima versione di Simon Boccanegra, Paolo che chiede “All'alba eletto esser vuoi nuovo abate?” e Simone che risponde “Io?.. No.”: Simone era Sesto Bruscantini e in quelle due sillabe racchiudeva tutto il suo personaggio, la sua onestà che nel prologo rasenta l'ingenuità, la mancanza di ambizione politica, il pensiero rivolto ad altro, il rispetto per il ruolo... A Macerata Roberto De Candia, allievo di Bruscantini, ha impresso pure, con una semplice inflessione, la natura del personaggio in poche parole “Non è ciò che chiedo […] Pur, non basta”. L'uomo che fino a un attimo prima aveva ostentato una sorta di distaccata cordialità rivela la fermezza del suo intento e non ammette repliche, impermeabile ai sentimenti altrui. Impressiona che quella stessa durezza nel terzo atto si sfoghi, rivolgendosi ad Alfredo con “Di più non lacerarmi, troppo rimorso l'alma mi divora”, in realtà contro sé stesso, fino a sussurrare “Ah malcauto vegliardo”. La nobiltà verdiana può esprimere l'ipocrisia borghese che si veste di dignità, ma anche l'inquietudine profonda di un uomo e padre che deve identificarsi nella maschera che porta. E tutto viene dalla musica e dalla parola, come deve essere, senza trascurare nulla nemmeno nei momenti d'insieme in cui il testo del singolo potrebbe perdersi.

Nino Machaidze unisce una pastosa voce lirica all'esperienza maturata nel repertorio belcantista, quindi non teme la scrittura di Violetta – né importa che non interpoli il Mi bemolle nel finale primo: ci sia o non ci sia, ciò che conta è che l'esito complessivo sia convincente. La qualità dello strumento e molte interessanti intenzioni espressive concorrono a delineare un personaggio non banale e ricco di pathos, sebbene talvolta la libertà di fraseggio del soprano georgiano sembri sfociare in un certo disordine. Facile immaginare che umidità, basse temperature e un venticello fastidioso le abbiano messo i bastoni fra le ruote, come pure all'Alfredo di Anthony Ciaramitaro, che è sembrato ancora un po' acerbo, ma, trattandosi per di più del suo debutto europeo, ed è comprensibile che debba prendere un po' le misure dell'emozione, dello spazio e del gusto, oltre che delle condizioni ambientali. Avremo presto nuove occasioni per ascoltarlo.

Il cast è completato da Mariangela Marini, Flora, Silvia Giannetti, Annina, Carmine Riccio, Gastone, Alberto Petricca, barone Douphol, Stefano Marchisio, marchese d'Obigny, Gaetano Triscari, dottor Grenvil, Alessandro Pucci, Giuseppe, Gianni Paci, domestico di Flora, e Gianluca Ercoli, Commissionario. Si fanno apprezzare ancora una volta il Coro lirico marchigiano Bellini, sempre ben preparato da Martino Faggiani e la Filarmonica marchigiana, con il consueto apporto della banda Salvadei per gli interventi interni. Convince meno il corpo di ballo nelle coreografie di Valentina Escobar.

Sul podio abbiamo Domenico Longo, presenza affidabile che conduce in porto la recita con attenzione e apprezzabile professionismo, senza perdere di vista la tenuta d'insieme. Peccato solo per l'abbondanza di tagli anacronistici che affliggono riprese di arie e cabalette, ma, per fortuna, graziano gli interventi di Alfredo, Germont, Annina e Grenvil nel finale.

Il pubblico applaude con convinzione, ma, intirizzito, fatica a dare più espansivo sfogo al suo gradimento: comprensibile.


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