L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La luna e il mangiafuoco

di Roberta Pedrotti

Molte perplessità per la prima del Trovatore al Regio di Parma per il Festival Verdi. 

PARMA, 24 settembre 2023 - “Se Falstaff s'assottiglia non è più lui”, ma anche se un Trovatore va in scena a Parma in tutta tranquillità vien da dire che “non è più lui”, tanto che potrebbe meritare una fama menagrama non inferiore alla Forza del destino o a Les contes d'Hoffmann.

In questa nuova produzione del Festival Verdi non ha certo giovato la rinuncia a due debutti intriganti come quelli di Eleonora Buratto e Markus Werba quali Leonora e Conte di Luna. I sostituti appaiono, comunque, scelti a modo, con Francesca Dotto, che in repertorio ha già Norma, Lucrezia Borgia, Violetta ed Elena di Marino Faliero, e Franco Vassallo. Anche Marco Spotti, previsto come Ferrando, deve purtroppo rinunciare alle prime ricerche, ma Parma è terra assai fortunata quanto a voci gravi autoctone e il salvataggio di Roberto Tagliavini è un vero e proprio lusso. Anzi, si può dire che, anche per intenzione nel canto sulla parola, proprio Tagliavini risulti l'elemento più convincente di questa prima.

Dopo un'invitante introduzione che ci trovava ben disposti – come sempre, peraltro, bisognerebbe essere a teatro – via via l'ottimismo comincia a vacillare. Sarà l'emozione, saranno altri limiti e altre difficoltà, ma più volte gli interpreti mostrano il fianco e, soprattutto, faticano a trovare la coesione di un comune intento. Lo si avverte innanzitutto nella concertazione di Francesco Ivan Ciampa, concentrata nell'impresa, non sempre compiuta, di non perder nessuno per strada. Capita che, per esempio, lo stacco incalzante di “Di geloso amor sprezzato” sia troppo impetuoso per consentire alla tromba di articolare adeguatamente la bella frase che fa eco araldica al canto del Conte. Capita che molti attacchi siano titubanti o che Azucena si perda vistosamente nel duetto con Manrico. Capita che da una parte ci si trovi ad ascoltare una Pira con tutte le quartine spianate (cosa che incide non poco sulla linea melodica e l'espressione della frase), ma in altri punti si notino apprezzabili scrupoli filologici (parrebbe scontato se si annuncia l'edizione critica di David Lawton, tuttavia festeggiamo sempre quando i tenori non tenoreggiano inventando l'assurda “Son il dal ciel disceso o in ciel sei tu con me” e quando almeno alcune riprese si giovano delle debite variazioni). Insomma, non è ben chiaro quale taglio, alla fine, si voglia dare a un Trovatore dalle tinte tendenzialmente ombrose, ma né belcantistico né romantico, né focoso, né lunare. Forse condizionato dalla tensione che a Parma quest'opera porta sempre con sé, tanto che la preoccupazione principale sembrava arrivare alla fine sani e salvi, cercando sempre di fare il meglio ma navigando a vista senza una rotta sicura.

Dotto, peraltro, è cantante correttissima e molto impegnata anche sul piano interpretativo, sebbene si avverta una certa fragilità rispetto alla pressione cui è sottoposta, talora la voce si assottigli e gli acuti si induriscano. Vassallo non funziona come Conte di Luna come aveva funzionato a Busseto come Falstaff: alle prese con Sir John anche un suono fisso può essere messo al servizio del recitar cantando e un artista esperto con strumento sano può trarne profitto; il rivale di Manrico esige una nobiltà del cantabile e del legato che gli tende, invece, più d'una insidia e lo porta a emissione e accenti sovente scomposti.

Nel ruolo del titolo Riccardo Massi ha un vocione robusto che potrebbe far felice gli amanti di una visione eroica tradizionale, se solo fraseggiasse con un po' più di varietà, sensibilità ed eleganza, se solo non alterasse le vocali trasformando quasi tutte le I in E, troppe A e U in O. E se scandisse quelle fondamentali quartine, immagine fremente dell'orrendo foco.

Chi poi avrebbe tutti i numeri per essere una grande Azucena sembrerebbe Clementine Margaine, la quale, purtroppo, lascia tutte le sue qualità nel limbo delle premesse non sviluppate. A che serve una voce ampia ed estesa se non la si piega alle ragioni della musica e la si spinge con foga verista oltre i confini dello stile e del buon gusto? Si confermano i difetti rilevati per la sua Carmen areniana, insomma, ma se là sembrava fin troppo compassata, qui esagera nel senso opposto.

Didier Pieri, Ruiz, si conferma un validissimo comprimario – nel senso proprio di interprete che sta al fianco dei protagonisti, non di figura secondaria. Ines è Carmen Lopez, elemento assai interessante selezionato dall'Accademia Verdiana. Enrico Picinni Leopardi (un messo) e Sandro Pucci (un vecchio zingaro) vengono dalle fila del Coro del Comunale di Bologna (in buca, l'orchestra dello stesso teatro, che coproduce lo spettacolo), ben preparato dalla sua maestra Gea Garatti Ansini ed efficace nei suoi interventi.

Se mugugni e stilettate punteggiano variamente la serata, alla fine le contestazioni maggiori si percepiscono per Vassallo e per Davide Livermore. Questi, in realtà realizza uno spettacolo drammaturgicamente ligio alla tradizione: vediamo i duetti svolgersi come da prassi, quasi didascalia. Se non fosse per una giacca e cravatta e per il fatto che gli ordini sono impartiti al telefonino, noteremmo qualche significativa differenza rispetto al solito nella gestione del duetto fra Leonora e il Conte, per esempio? Forse turba il fatto che, in piena guerra civile, il convento in cui si vuol ritirarsi la dama funga anche da ospedale? O che i gitani, oltre che ribelli al seguito di Urgel, siano circensi e giostrai? Sono tutte scelte piuttosto lineari e coerenti, in realtà. Così, lo specchio che d'improvviso riflette la sala incorniciato da un sipario durante “Tu vedrai che amore in terra” non è esattamente inedito e originalissimo, ma sottolinea come in quel momento Leonora reagisca comportandosi nel modo più melodrammatico possibile, e lo annunci con una grande cabaletta ripetuta. Insomma, nulla di strano sul fronte della drammaturgia e della recitazione. Per il resto, l'estetica è quella a cui da anni Livermore ci ha abituati con la sua collaborazione con D-Wok per i video proiettati sul led wall che dominano l'impianto di Giò Forma (i costumi sono di Anna Verde e le luci di Antonio Castro). Le parole d'ordine sembrano essere le solite “distopico”, “postmoderno”, “postapocalittico”. Cavalcavia, periferie, grattacieli lucidissimi e un inquietante circo luna park zeppo di citazioni (da The Circus di Chaplin e Freaks in poi); cieli in continuo movimento fra magma, lapilli, onde oscure, nuvole minacciose, aurore boreali; la luna e il mangiafuoco; nei concertati l'azione si congela: insomma, tutta l'iconografia tipica di Livermore sembra rispettata, senza particolari sorprese. Come per I lombardi alla prima crociata, insomma, ci troviamo di fronte a spettacoli sostanzialmente didascalici sul piano drammaturgico e rigorosamente codificati secondo lo stile ben noto dei rispettivi artefici. L'etichetta di teatro di regia, o di una modernità che vada oltre la tecnologia del led wall sembra davvero eccessiva: siamo nella piena tradizione sviluppata con diversi gusti e iconografie. Eppure la conclusione della serata sembra degna di chissà quale provocazione, con il loggione che sommerge Livermore di contestazioni e lui che reagisce spavaldo e quasi irridente. Nihil sub sole novi, in realtà e semmai verrebbe da chiedersi, all'opposto, se una riconoscibilità stilistica ormai assai prevedibile non renda alcuni dei registi maggiormente impegnati dell'attuale scena italiana più autroreferenziali (e, in fondo, bene o male rassicuranti) che interessanti. Interrogativi aperti e che continuano a spostare l'attenzione sull'occhio rispetto all'orecchio, quando il melodramma per definizione li vorrebbe affratellati alla pari.


Vuoi sostenere L'Ape musicale?

Basta il costo di un caffé!

con un bonifico sul nostro conto

o via PayPal

 



 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.