L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Amleto nella città di Romeo e Giulietta

di Irina Sorokina

Il Filarmonico di Verona ripropone con un buon cast e l'efficace regia di Paolo Valerio la rara opera di Franco Faccio, che ci si augura di poter rivedere e riascoltare anche in futuro.

Verona, 22 ottobre 2023 - Chi ha a che fare col teatro spesso afferma che ogni generazione abbia un proprio Amleto. Ma c’è chi sostiene il contrario; tra loro, uno dei più autorevoli conoscitori del mondo di Shakespeare, il russo Aleksej Bartoševič: secondo la sua opinione non ogni epoca è predisposta alla messa in scena della tragedia shakespeariana e quindi non tutte le generazioni hanno il proprio Amleto. Verosimilmente salta fuori nei momenti cruciali della storia, quando i giovani scoprono le bugie di cui si erano macchiati i loro genitori. I melomani moscoviti si ricordano la versionemusicata dal francese Ambrois Thomas e andata in scena nel 2000 al Teatro Nuova Opera di Mosca sotto la guida del direttore d'orchestra e una figura di culto Evghenij Kolobov (anche in Italia si ricorderanno ancora le sue esibizioni). Si trattò di un'edizione ampiamente tagliata, a cui ne seguì un'altra, quindici anni dopo, in forma di concerto nella sala Čajkovskij della stessa capitale: i tagli colpirono circa il 15% della partitura e i cinque atti si riunirono in due parti. Tuttavia si levarono ugualmente commenti sull'eccessiva lunghezza dell'opera

Le rare apparizioni in teatro e in concerto dell’Amleto francese non hanno risolto un dubbio amletico. Essere o non essere? Mettere o non mettere in scena Amleto nella veste operistica? E quale Amleto? Quello di Thomas o quel del compositore italiano Franco Faccio, pressappoco sconosciuto? A Verona, città shakespeariana per antonomasia, simbolo dell’amore più romantico di tutti i tempi, dopo aver proposto negli anni passati un allestimento dell’opera di Gounod Roméo et Juliette, ora ci si rivolge all’Amleto italiano; al Teatro Filarmonico va in scena l’opera omonima di Franco Faccio, molto più conosciuto come direttore d’orchestra.

C’è da non crederci, ma la messa in scena veronese è indice di una rinascita dell’opera di Faccio nel secolo ventunesimo; nel secondo Ottocento si conoscono solo due messe in scena di Amleto, a Genova nel 1865 e a Milano nel 1871. L’opera rimaneggiata non ottenne il successo alla Scala e ciò convinse il povero Faccio a non cimentarsi più con la carriera di compositore: difatti, lo ricordiamo soprattutto come il direttore che tenne a battesimo i capolavori del tardo Verdi.

Sembrava sepolto per sempre, il tentativo del compositore veronese di musicale Amleto, finché nel 2013 il direttore d’orchestra americano Anthony Barrese scovò la partitura nell’archivio della casa editrice Ricordi e compì un lavoro di cesello simile a quel del chirurgo che “cuce” pezzo per pezzo una vittima di un terribile incidente stradale. L’opera di Faccio ebbe la sua rinascita nel 2014 negli USA, a Baltimora in forma di concerto e ad Albuquerque, nello stato di New Mexico, in forma scenica. Rimane, poi, titolo raro, rarissimo: finora solo chi lascia il suolo italiano e va in cerca di rarità può vantarsi di aver visto Amleto in teatro; si va indietro di sette anni e si ricorda la messa in scena dell’opera di Faccio al Bregenzer Festspiele Bodensee nel 2016. È allora che gli appassionati europei poterono per la prima volta assistervi: scommettiamo che tra loro non c’era nessuno che conoscesse l’opera.

La messa in scena a Bregenz, prima di tutto, poteva contare su un tenore in possesso di qualità vocali e artistiche che hanno escluso ogni dubbio: nato a Brno, la capitale della Moravia, Repubblica Ceca, Pavel Černoch aveva tutte le carte in regola per cimentarsi con il difficile ruolo, una bella voce di tenore, un talento d’attore, una grande intelligenza artistica e anche il physique du rôle. Per chi è stato al Festival di Bregenz nel 2016, la sua interpretazione è rimasta indimenticabile, ma è rimasta indimenticabile anche la lussuosa messa in scena firmata dal regista austriaco Olivier Tambosi, che strutturò lo spettacolo come un balletto classico, con abiti uguali per il coro e geometrie precise della disposizione degli artisti sul palcoscenico.

In confronto con il lusso dello spettacolo lacustre, l’Amleto veronese – che doveva andare in scena nel 2020, ma, rimandato a causa della pandemia, debutta in questi giorni – preferisce un’altra strada, molto adatta, secondo il nostro parere, alla vicenda. Potrebbe sembrare arbitrario il paragone del lavoro del regista Paolo Valerio, al suo debutto nel teatro lirico, con il celebre Amleto del regista cinematografico sovietico e il profondo conoscitore della drammaturgia di Shakespeare Grigorij Kozintsev con un attore geniale Innokentij Smoktunovskij nel ruolo del titolo (1964), ma si percepiscono dei tratti in comune come evidenti minimalismo e sobrietà e un lavoro approfondito con gli attori. Per il resto, la messa in scena di Valerio è piuttosto “tranquilla”, nel bene e nel male.

Come spesso accade ormai, lo spettacolo veronese ricorre all’uso di proiezioni; a Ezio Antonelli dobbiamo un “trucco” suggestivo e leggermente malinconico, all’inizio e alla fine di ogni atto si vedono le pagine in bianco e nero della partitura manoscritta di Faccio, come se volessero ricordarci il destino infelice dell’opera. I costumi di Silvia Bonetti definiscono i personaggi attraverso i colori e sono contati sulle dita di una mano gli elementi scenici dello stesso Antonelli, illuminati dalle luci suggestive e spesso inquietanti di Claudio Schmid. Sa di una certa staticità, la messa in scena veronese, tuttavia grazie ad una vivace partecipazione del coro preparato da Roberto Gabbiano che si fa protagonista, e al lavoro approfondito di tutti i cantanti sui personaggi lo spettacolo risulta vivo e coinvolgente.

A Verona il ruolo del titolo è affidato ad Angelo Villari, un vero antipodo di Pavel Černoch: un Amleto molto più maturo e molto meno raffinato, ma altrettanto convincente. Alla tavola rotonda dedicata all’opera di Faccio svolta nella mattinata della prima, si è parlato della figura del tenore drammatico e dell’estrema difficoltà di trovarlo nei giorni d’oggi: Villari non sarebbe un vero tenore drammatico, ma ci si avvicina parecchio, la voce vanta un bel timbro e un’autentica virilità che non viene compromessa dalla minima rozzezza, e soprattutto è sufficientemente resistente per la parte di Amleto. Non è dotato da un carisma particolare, Angelo Villari, non è un Amleto raffinatissimo, ma volitivo e dai tratti quasi militari: in ogni caso si fa apprezzare per un gran lavoro sul personaggio così complesso come il principe di Danimarca. Gilda Fiume è un’Ofelia ammirevole nella sua fragilità e l’innocenza, dalla voce celestiale e cristallina e dalla formidabile tecnica vocale; il pubblico commosso e grato le riserva degli applausi grandiosi per la scena della pazzia. Ottima la coppia dei regnanti rei, Marta Torbidoni (a regina Gertrude) e Damiano Salerno (il re Claudio), che colgono i personaggi nella loro complessità, immorali sì, ma anche tormentati nella profondità delle loro anime. Efficace e coinvolgente la loro performance vocale, la Torbidoni è in possesso di una voce un soprano morbida, ben timbrata ed elegiaca; e Salerno sfoggia emissione solida, profonda e dai bei chiaroscuri. L’unico tenore, ad eccezione del protagonista, Saverio Fiore è un Laerte vitale e tormentato.

Si è parlato non poco della difficoltà di trovare una notevole quantità di interpreti maschili per Amleto: nei ruoli secondari troviamo gli ottimi artisti dai volti inconfondibili: Francesco Leone (Polonio), Alessandro Abis (Orazio), Davide Procaccini (Marcello), Abramo Rosalen (lo spettro). Un prezioso contributo alla buona riuscita forniscono Enrico Zara (un araldo), Francesco Pittari (il re di Gonzaga), Marianna Mappa (la regina), Nicolò Rigano (Luciano), Maurizio Pantò (un sacerdote), Valentino Perera (primo becchino).

Sul podio Giuseppe Grazioli, invece del previsto Alessandro Bonato, offre una resa musicale Amleto nel complesso soddisfacente per quanto concerne l'equilibrio orchestra, coro e solisti. È evidente la valorizzazione delle pagine strumentali: la marcia funebre di Ofelia che si può ascoltare nei concerti si distingue per lo spirito drammatico e la varietà dei colori.

L’idea di presentare quest’Amleto pressappoco sconosciuto al Filarmonico ci fa sperare di poter rivedere e riascoltare con piacere quest'opera in futuro.


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