L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Verdi nella pancia

di Antonino Trotta

La Messa da Requiem di Giuseppe Verdi inaugura la stagione sinfonica del Teatro Regio di Torino: all’eccellente resa concorrono i complessi del teatro in splendida forma, l’intensa direzione di Andrea Battistoni e il quartetto di solisti, in cui spiccano le prove di Angela Meade ed Enea Scala.

Torino, 8 gennaio 2023 – Più drammatica di un’opera per quella scrittura incendiaria che ne infiamma ogni singola pagina, monumentale al pari di una sinfonia beethoveniana per il superbo impiego delle masse corali e strumentali, la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi è quel capolavoro supremo di ingegneria del teatro che intrufolandosi dalle orecchie trova il proprio habitat naturale nelle viscere di chi l’ascolta: la morte, purtroppo, riguarda ognuno di noi e dinnanzi all’uomo terrorizzato dall’ombra del nulla, costretto ad ammettere la propria incapacità nell’individuare ciò che disperatamente ricerca, la nostra pelle si dimostra assai sensibile. Raramente si sopravvive indenni all’ascolto del Requiem, tant’è che il valore di un’esecuzione andrebbe misurato non nella durata dell’applauso che lo congeda ma nella lunghezza dell’attonito silenzio che lo procede.

Al Regio di Torino, dove la Messa da Requiem inaugura la stagione sinfonica 2023, l’applauso fa fatica a partire perché tutti, sul palco, svolgono un lavoro egregio, a cominciare dal direttore Andrea Battistoni che, alla guida dell’Orchestra del Teatro Regio in forma smagliante, offre una lettura del capolavoro verdiano teatralissima, carica di verità e pathos che, pur non partendo dalla pancia – la concertazione è assolutamente priva di sbavature –, là finisce col prenderti. Percorsa per intero da un brivido di desolato smarrimento che annuvola anche i rari momenti di schiarita, il Requiem secondo Battistoni porta in scena la visione che l’uomo ha della morte senza lasciarla ingentilire dal filtro della spiritualità: ecco allora che la narrazione avanza con accenti spigolosi e ritmo serrato, spesso repentino e irrequieto anche nei passaggi di maggior liricità, come se si provasse di volta in volta a sfuggire alla carezza dalla dama con la falce; ecco allora che le sonorità più che michelangiolesche sanno essere feroci, perché potenti e asciutte come nel Dies irae, senza però rinunciare né al velluto né tantomeno alla varietà di colori che donano, in ogni sezione, graffiante espressività del testo.

Non si può, in questo contesto, non apprezzare particolarmente la prova di Enea Scala che sposa in pieno lo spirito della lettura antropocentrica: ne è magnifico esempio la tonitruante invocazione «Salva me, fons pietatis» che nel Rex tremendae dà sfogo, con carnale autenticità, alle angosce e alla paure che abitano il Requiem. Quella di Scala, poi, è una lettura miniata in lungo e in largo: l’attenzione alla prosodia insita nel testo, il fraseggio curato nei minimi particolari, la continua ricerca di colori e sfumature – si pensi all’Hostias –, fanno sì che ogni intervento sia porto con contezza di stile e sincera intenzione. Anche stavolta, Angela Meade, è artefice di autentiche mirabilia: tali sono i suoi pianissimi eterei – ancor più sorprendenti se relazionati a quel tonnellaggio vocale –, i fiati interminabili, le saette scagliate su coro e orchestra. Certo, qui e là, talvolta, sembra limitarsi esclusivamente a inanellare preziosissime perle, poi però arriva il Libera me,dovel’accento s’infuoca e il dramma impenna, e quell’impressione si consuma nell’etere come uno dei suoi filati. Molte bene anche Silvia Beltrami che, con timbro ambrato e caldo, s’impone per la linea di un canto elegante e priva di spigoli vivi. Sottotono Gianluca Buratto che, pur fraseggiando con classe, inciampa in diversi problemi d’intonazione. Le ovazioni del pubblico, comunque, sono tutte rivolte al Coro del Teatro Regio di Torino, istruito dal maestro Andrea Secchi, qui protagonista di una prova maiuscola, maiuscola per la qualità del suono che la massa corale è capace di creare, per l’immacolata pulizia delle sezioni nel Sanctus, per la capacità di scolpire la parola e porgere il testo con magnifica drammaticità.

Teatro pieno e applausi scrocianti. L’anno inizia con le migliori premesse.


 

 

 
 
 

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