L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Quel magico Lied nella placida provincia USA

di Alberto Spano

Per la stagione di Musica Insieme in Ateneo, il Collegium Musicum Almae Matris di Bologna propone un raffinato programma che ha in Rachmaninov il suo nume tutelare.

BOLOGNA, 15 febbraio 2023 - Ci sono concerti che andrebbero replicati subito, ope legis. Magari in altre città, in provincia, come una volta, ai bei tempi del cosiddetto (e benemerito) ‘decentramento’ di badiniana memoria, nel senso dell’indimenticato sovrintendente Carlo Maria Badini, che negli anni ’70 faceva replicare i concerti sinfonici del Teatro Comunale nei piccoli teatri di provincia. È il caso del concerto del Collegium Musicum Almae Matris al DAMS/Lab Auditorium per la stagione “Musica Insieme in Ateneo”, che offre uno dei più raffinati impaginati degli ultimi anni sotto la limpida bacchetta di Fabio Sperandio e la partecipazione del soprano Elena Borin. Si tratta di un vero e proprio omaggio al nume tutelare Sergej Rachmaninov, in occasione dei 150 anni della nascita: si ascolta con piacere il suo Lied più famoso, Vocalise, quattordicesimo e ultimo brano dell’op. 34 in cui l’autore rinuncia alle parole. Solo note, solo canto, in un geniale vocalizzo infinito che impegna non poco la cantante, ma che avvolge l’ascoltatore con sensualità e lontani echi bachiani. Una delizia, che nella versione per orchestra da camera del 1912 fa capire quale raffinato orchestratore fosse Rachmaninov, più noto come virtuoso di pianoforte. Ma il dolce Vocalise in realtà qui funge da detonatore alla vera bomba del concerto, il rarissimo Knoxville: Summer of 1915 op. 24 di Samuel Barber (1910-1981), il compositore certamente frequentato da Rachmaninov nel suo periodo americano, quasi un epigono. Un lungo Lied per voce di soprano che fu commissionato dal direttore Serge Koussevitzky nel 1947 per la straordinaria Eleanor Steber, che ne lasciò un’incisione insuperata, un brano di quindici intensi minuti divenuto molto popolare in America. «La mia risposta a quella commissione in quell’estate del 1947 fu immediata e intensa – racconta Barber – credo di aver composto Knoxville in pochi giorni. Esprime i sentimenti di solitudine, meraviglia e mancanza di identità di un bambino in quel mondo marginale tra il crepuscolo e il sonno». È un gioiello assoluto, che inchioda alla poltrona e conquista al primo ascolto. Una storia semplice, quasi elementare: una qualunque sera d’estate di un bambino con la sua famiglia in una cittadina del Tennessee, Knoxville. La fotografia di un momento della vita comune americana, ma universale. Visto con gli occhi un po’ ingenui di un adolescente in quell’attimo fuggente che è la placida sera prima del profondo sonno infantile. Il luogo è Knoxville, ma potrebbe essere Voghera, Crema o Argenta o qualsiasi cittadina di provincia. L’afa, i rumori attutiti, il rumore secco delle locuste, gente a coppie, coppie senza fretta, coppie di persone che si azzuffano, che si scambiano il peso dei corpi estivi, la ricerca del fresco, il babbo che innaffia con la gomma, la mamma, lo zio, la zia, il passaggio rumoroso delle auto, quelle silenziose, il parlare e non dire nulla, così via. L’autore del testo, l’ottimo scrittore, poeta e reporter James Agee, coetaneo di Barber, avrebbe poi vinto il Premio Pulitzer nel 1957. Questo poema, da Barber definito “Rapsodia lirica” è meritevole di essere eseguito in ogni stagione sinfonica anche in Italia. Ma è difficile, poiché il canto non è spianato, ma è un dolcissimo e a tratti surreale Sprechgesang, sfumato e malinconico. Al soprano è richiesto un particolare lirismo, non tradizionale, un parlato-cantato quasi annoiato nel registro medio, che però scende improvvisamente nel basso, e una pronuncia americana che è un tutt’uno con la musica, mentre l’accompagnamento è una specie di sottobosco brulicante, con un’orchestrazione geniale. Sembra di esserci a Knoxville, di toccare con mano la routine dei gesti quotidiani, con un sottile senso di incertezza e di attesa per qualcosa di tragico che sta per avvenire. Un incidente? Un delitto? Chissà… Una grande pagina della musica americana, molto ben realizzata dal Collegium Musicum Almae Matris al gran completo, cioè dall’orchestra formata da studenti, professori e dipendenti universitari fondata nel 1985, qui con la bella concertazione di Fabio Sperandio, che unisce precisione a chiarezza. Ottima la prestazione di Elena Borin, molto attiva nel teatro d’opera, che rivela non comuni doti nel repertorio cameristico, mantenendo calda emissione ed espressività pur nello sforzo interpretativo di un brano insidioso che presenta non facili problemi di intonazione. Il concerto si era aperto con la rara Elegia in memoria di Ivan Samarin per orchestra d’archi di Tchaikovsky (1884), autore ovviamente legato alla biografia di Rachmaninov, che stimava in massimo grado. Poi l’Ouverture su temi ebraici in do minore op. 34 del 1919 per clarinetto pianoforte e archi di Sergej Prokof’ev, l’alter ego di Rachmaninov, eseguita come da manuale dalle prime parti dell’orchestra: Ilaria Ferrari al clarinetto, Tommaso Paronuzzi e Pietro Bolognini al violino, Giulia Guardenti alla viola, Elia Moffa al violoncello, Angelo Zarbo al pianoforte. Gran finale con le gioiose Soirées Musicales op. 9 di Benjamin Britten del 1936, in cui il genio britannico trascrive con infinito gusto cinque Pechés de vieillesse di Rossini (Marcia, Canzonetta, Tirolese, Bolero e Tarantella) in un’indicibile festa dell’intelligenza e dell’arguzia.


 

 

 
 
 

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