Tra 'instant classics' e contemporaneità
di Alberto Ponti
La rassegna Rai NuovaMusica si conclude con Bernd Alois Zimmermann, Xenakis e una prima esecuzione italiana di Enno Poppe sotto la guida di Michele Gamba
TORINO, 5 maggio 2023 - Avevamo lasciato Michele Gamba poco più di un mese fa sul podio del Teatro Regio con l'Aida. Lo ritroviamo venerdì 5 maggio alla guida dell'Orchestra Sinfonica Nazionale per il concerto conclusivo di Rai NuovaMusica. Due mondi assai distanti, dal dialogo in apparenza difficile, ma che testimoniano l'indubbia versatilità del direttore e pianista milanese, in grado di passare dagli squilli trionfali di 'Gloria all'Egitto' ai fruscii disperati delle ultime pagine di Bernd Alois Zimmermann. Il compositore tedesco, classe 1918 e morto suicida nel 1970, è il protagonista della serata, con il preludio Photoptosis (1968) e l'estremo Stille und Umkehr (1970). Autore isolato dalle grandi correnti di avanguardia, non facile, noto soprattutto per la colossale opera teatrale Soldaten, Zimmermann scrive musica di una modernità sconvolgente per gli anni del secondo dopoguerra, e di altrettanto sconvolgente attualità. Nessuno avrebbe da ridire se, a chi non conoscesse la sua opera, la si presentasse come quella di un artista nato mezzo secolo dopo.
Photoptosis, ispirato ai dipinti monocromi del francese Yves Klein, è un lavoro per grosso organico dove, nel tentativo poetico di sostituire la luce al posto del concetto tradizionale di suono, l'armonia e il ritmo comunemente intesi perdono ogni funzione costruttiva, sostituiti da una continua, immutabile pulsazione. L'unica variabile è rappresentata dalla dinamica, destinata a sfociare, attraverso un sapiente e quasi impercettibile crescendo, in pungenti accordi a piena orchestra con l'esposizione del totale cromatico. L'impressione all'ascolto è di estrema drammaticità, di aporia inconciliabile: un grido di dolore troppo acuto per essere ignorato ma troppo lucido per essere compatito.
Tutt'altra atmosfera si respira in Stille und Umkehr, testamento sinfonico di Zimmermann con gli strumenti ridotti all'essenziale e una struttura più lineare. Il 'silenzio' e il 'ritorno' del titolo si inverano in un intenso quanto rarefatto dialogo tra una figura ossessiva eseguita dal tamburo e l'aggregarsi intorno ad essa di incisi ripetitivi e sfuggenti di sapore cameristico. A colpire nel profondo è la carica di misterioso magnetismo che emana dalla partitura e si arresta per l'appunto alle soglie del silenzio. Il fatto che l'autore si sia ucciso poche settimane dopo averla terminata aiuta, forse, a chiarire il richiamo al ritorno, al rientrare a contatto con la vita attraverso il suo unico sintomo certo che è la morte.
Michele Gamba si orienta nei labirinti tracciati dal compositore con piglio sicuro e sensibilità personale, accompagnata da attenzione al dato tecnico, indispensabile in questo repertorio. E le stesse caratteristiche, sommate a un temperamento da autentico virtuoso, definiscono la performance di Francesco D'Orazio, solista in Schnur di Enno Poppe (1969), concerto sui generis per violino e orchestra datato 2019, in prima esecuzione italiana. In modo paradossale, l'unico pezzo in programma di un vivente suona come il più tradizionale. Articolato in tre movimenti, mosso e inquieto il centrale e meditativi gli estremi, Schnur, il cui significato in tedesco è 'spago', prosegue la consuetudine di Poppe di intitolare i propri lavori con un sostantivo comune. In realtà la musica esprime al meglio il background culturale e formativo dell'autore, dall'inappuntabile cursus honorum: formazione accademica di alto livello (è lui stesso un docente), borsista alla Deutsche Akademie di Villa Massimo a Roma, vincitore del Premio Ernst von Siemens, membro dal 2008 della Akademie der Künste di Berlino. Una sottile rete di rimandi tematici fra la voce del violino e un'orchestra di dimensioni classiche si avverte già al primo ascolto. Il fascino di questa pagina risiede nell'indagine sulle minime sfumature espressive dello strumento principale, e segnatamente dal vibrato, che trova in D'Orazio un interprete spigliato e per nulla intimorito dalle difficoltà della scrittura, mantenendo un convincente equilibrio tra il labor limae artigianale di Poppe e le ragioni dell'emozione solo in apparenza trattenuta dietro un velo di matematica freddezza.
Chiusura con Jonchaies (1977), brano per ben 109 esecutori, tra i maggiormente conosciuti ed eseguiti di Iannis Xenakis. Rispetto all'ultima esecuzione torinese del 2018 diretta da Pascal Rophé la lettura di Gamba si distingue per gesto misurato ed elegante nella navigazione tra le suggestioni naturalistiche del pezzo lussureggiante e generoso. Non un accento è eccessivo, neppure nella sfrenata danza percussiva che costituisce la parte preponderante, discendente di un Sacre (udito la settimana scorsa con la bacchetta di Robert Trevino) cui paiono tolti gli ultimi freni inibitori, e che potrebbe suggerire arbitrari e apocalittici travisamenti delle intenzioni del musicista greco, volte a celebrare la forza vitale positiva e trascinante insita nell'ordine del mondo.
Successo pieno per orchestra, solista e direttore al termine di una rassegna sempre più affermata all'interno della programmazione delle stagioni torinesi che, complice l'accorrere di un pubblico giovane ed entusiasta, fa comprendere quanto certi nomi fino a ieri contemporanei e 'ostili' a una platea tradizionalista siano oggi percepiti come veri e propri 'instant classics'.