L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Suoni russi

di Mario Tedeschi Turco

Fa tappa a Verona, per il Settembre dell'Accademia Filarmonica, la tournée della Royal Philharmonic Orchestra diretta da Vasilij Petrenko con Julia Fischer solista e un programma tutto dedicato alla Russia.

VERONA, 16 settembre 2023 - Tappa veronese, al Settembre dell’Accademia, per la Royal Philharmonic Orchestra diretta da Vasilij Petrenko, prontamente ripresosi dal malore che l’aveva colto durante il concerto milanese di due giorni prima e presentatosi anzi in ottima forma fisica, facendo rimuovere il seggiolino che era stato preparato sul podio per ogni evenienza. In programma a Verona una serie tutta russa, con il breve tableau sinfonico Baba Yaga di Liadov, il Concerto per violino di Čajkovskij con solista Julia Fischer, e nella seconda parte della serata la Sinfonia n. 2 di Rachmaninov.

Qualche rilievo generale: l’orchestra è di rilevata qualità in ogni parametro osservabile, sia come tornitura di suono, che come equilibrio delle sezioni, precisione ritmica, attitudine al rilievo melodico, con archi di sontuoso velluto ottimamente bilanciati con i legni (strepitosa la resa del fagotto all’esposizione del tema principale in Baba Yaga) e gli ottoni. Il gesto di Petrenko è apparso sobrio, essenzialmente analitico-strutturale per le scansioni agogiche, il braccio sinistro impiegato per l’espressione più accesa nei momenti topici in Rachmaninov, ma per il resto coordinato al destro nel dominio d’assieme della vasta compagine: funzionale e composto, insomma, segno di una concertazione preventiva accurata, evidente nelle ampie escursioni dinamiche in Liadov e ancora Rachmaninov, che ne hanno sottolineato con proprietà stilistica il diagramma espressivo e le sottigliezze timbriche e coloristiche. Perfetto poi in Čajkovskij l’affiatamento con la Fischer, per un’esecuzione magistrale per abbandono lirico, senso architettonico, e anche puro edonismo sonoro. Parlare dell’arte di Julia Fischer, del resto, appare in certo qual modo pleonastico, trattandosi con ogni evidenza di una delle nature musicali più straordinarie di oggi, che sta vivendo oltre tutto la stagione della piena maturità. Colpisce soprattutto il suo legato di meravigliosa cifra lirica: il tema in Sol minore della Canzonetta ne viene trasfigurato in stile diresti belcantistico, con il volume dello strumento in equilibrio geometrico con flauto e clarinetto in armonizzazione; parimenti, nel gesto tzigano del movimento conclusivo, l’elasticità dei passaggi sulla corda grave e lo scintillare timbrico anche sulle movenze da danza popolare cantano sempre con proprietà mirabile l’essenza stessa della musica di Čajkovskij, vale a dire sussumere il pathos come elemento strutturale della forma. Sulla cadenza virtuosistica del primo movimento, infine, non è possibile nemmeno la verbalizzazione: esemplare per tecnica, rapinosa per furia espressiva, abbagliante per la capacità di sciogliere autentiche iridescenze dal violino. Pubblico in delirio, ma un solo bis, la Sarabanda dalla Partita n. 2 di Bach.

Seconda parte del concerto, come detto, dedicata alla Seconda sinfonia di Rachmaninov, un brano che ha conosciuto un certo revival negli ultimi trent’anni, dopo che per molto tempo era stato catalogato tra gli episodi trascurabili della musica novecentesca. Yuri Temirkanov proprio con la Royal Philharmonic Orchestra era stato tra gli alfieri della riscoperta di un’opera certo paradigmatica non solo della poetica del suo autore, ma di una certa tendenza conservatrice/dubbiosa, per dir così, del primo ‘900: oggi ne ammiri senza dubbio la densità contrappuntistica con certi procedimenti antichi, come l’inversione tematica (primo movimento), lo sfavillare timbrico, il pathos accorato dell’invenzione melodica, ma che si tratti di una sinfonia pletorica, attardata nella forma e oltre tutto priva del carattere idiomatico della scrittura migliore di Rachmaninov (quella pianistica, nella quale il travaglio dell’individualità creatrice diventa di scultorea pregnanza grazie al virtuosismo plasmato in senso drammaturgico) ci pare evidente. E la qualità dell’interpretazione di Petrenko lo ha confermato: nel tratto analitico della direzione - ideale per mettere in luce l’organizzazione dei materiali musicali - la trasparenza delle linee, le semicitazioni dalla Patetica di Čajkovskij (i ritmi puntati degli ottoni nella riesposizione del primo movimento), le riprese tematiche cicliche sono state sbalzate con nitore, quasi radiografate, in una tensione espressiva tuttavia sempre generosa in termini di cantabilità e travolgente nell’energia prepotente, specie del finale. Che peraltro continua a parerci più “retorico” che “persuasivo”: ma certo non per demerito dell’eccellente Petrenko e della sua magnifica orchestra. Due bis, tra i quali la Tarantella rossiniana nell’arrangiamento di Respighi.


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