L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L'anima della diva

di Luigi Raso

Anna Netrebko, con Pavel Nebolsin al pianoforte, torna al San Carlo con un concerto nel quale dà il meglio di sé fra romanze da camera e arie d'opera russe.

Abbiamo assistito a una serata di melodie russe o a una rappresentazione operistica? È questa la domanda che ci frulla nel cervello al termine del recital di Anna Netrebko, accompagnata dal pianista Pavel Nebolsin al Teatro San Carlo. La diva più diva dei nostri giorni torna a Napoli, ad un anno dal trionfale successo (qui la recensione: https://www.apemusicale.it/joomla/it/recensioni/68-concerti2022/13625-napoli-concerto-netrebko-bignamini-08-10-2022) del concerto di apertura della Stagione sinfonica, ed è trionfo e ipnosi.

Malgrado il programma per nulla pop, raffinato e integralmente dedicato alla romanza da camera russa - Rimsky-Korsakov, Rachmaninov e Čajkovskij gli autori in programma; solo tre incursioni nell’opera lirica, ovviamente russa! - Anna Netrebko ha tenuto letteralmente inchiodato in sala un pubblico attento, stregato dalla malia della sua voce e, ancor di più, dal debordante, fascinoso, ipnotico e indefinibile carisma artistico.

Sulla bellezza del timbro vocale della Netrebko, sulle sue naturali doti vocali, sulla strabiliante tecnica di emissione e proiezione dei suoni, tra irriducibili detrattori e osannanti ammiratori, son scorsi – e scorrono - fiumi di inchiostro (e di byte): l’obiettività impone di registrare l’irrobustimento della tempra vocale, una sempre più pronunciata screziatura del timbro, la cavata possente, simile a quella di un violoncello, la perfetta proiezione degli acuti, l’aleggiare delle mezzevoci e l’irradiarsi dei pianissimi in ogni angolo della grande sala del San Carlo, lo stupore per la colonna di fiato e di suono che Anna Netrebko aziona ogni qualvolta la tensione drammatica richiede una buona dose di calor bianco. Quella di del soprano russo- è una gestione da manuale del proprio meraviglioso strumento vocale: domina la tecnica vocale a tal punto da far ‘girare’ la voce per il teatro anche quando, per ‘teatralizzare’ le romanze eseguite, dà le spalle al pubblico.

Ma se lo stupore per le innate qualità vocali e la ricchezza di armonici del timbro di una vocalità obiettivamente fuori dal comune dovrebbe essere argomento pacifico e scontato per un’artista con la storia della Netrebko, il recital di stasera ha stupito per l’acume interpretativo che il soprano russo-austriaco ha riservato ai brani in programma.

Sin dalle prime melodie di Nikolai Rimsky-Korsakov - al quale è dedicata la prima parte del recital - Anna Netrebko si è immersa nella scrittura vocale illuminando ogni segno d’espressione, cesellando ogni singola frase, soffermandosi su ogni accento: nei bei testi che cantano del silenzio della notte, di venti che sussurrano, di allodole che cantano, di nostalgia di terre lontane la Netrebko ritrova e fa risuonare la sua anima russa, il pulsare di quella meravigliosa e sorprendente civiltà artistica esplosa, in tutte le arti, nel corso dell’800. Anna Netrebko, con il supporto dell’accompagnamento sempre attento, calibrato, quasi pudico di Pavel Nebolsin, pianista dal tocco raffinato e devoto alle esigenze del canto, fa risuonare ogni parola/nota di questi bozzetti musicali: si nota un’attenzione al suono della singola parola, al colore della frase molto più profonda e accentuata rispetto a quella riservata all’interpretazione del grande repertorio italiano. Si percepisce, e immediatamente, che il repertorio che affronta stasera è la musica che le scorre e pulsa nelle vene.

Tra le gemme della prima parte del recital resta impresso l’abbandono alla melodia struggente di Plenivshis' rozoj, solovey di Rimsky-Korsakov, indimenticabile per la purezza del legato, per la cavata poderosa e la partecipazione empatica impressa alla romanza.

E poi c’è la ‘teatralità’ - da cui l’interrogativo nato a fine recital - di Anna Netrebko arricchisce l’intero programma della serata: si muove per il palcoscenico, calibra i movimenti, i gesti, le espressioni di dolore e di dolcezza del viso, accenna passi di danza, il tutto come se vestisse panni e costumi di un’eroina della più appassionante opera lirica.

Si prende e occupa con il suo carisma scenico il grande e deserto palcoscenico del San Carlo; lo percorre in lungo in largo, lancia un caleidoscopio di sguardi, di fuoco, melanconici, ridenti. In una espressione, fa teatro: rende palpitante anche la più assopita romanza da salotto.

È un recital da ascoltare e da vedere, che ci dimostra, qualora ce ne fosse bisogno, qual è l’esatta caratura artistica di Anna Netrebko.

Non c’è espressione di testo e musica che non sia declinata in un gesto scenico, in una espressione del viso, in un’inflessione vocale. In un programma articolato come quello scelto da Anna Netrebko, sarebbero molti i momenti in cui si assiste alla fusione tra bellezza vocale, perizia tecnica, scavo interpretativo a dover essere menzionati, ma inevitabilmente sconterebbero la preferenza soggettiva di chi scrive, nonché il tedio dell’elencazione; tuttavia la scena dello scioglimento da La fanciulla di neve di Rimsky-Korsakov appare una gemme splendente all’interno di una preziosa collana. Qui, come negli altri brani di cui si dirà, le caratteristiche vocali e interpretative riscontrate nel corso dell’intero recital hanno raggiunto le punte più alte, trovato la forma di espressione più compiuta.

Così come resta impresso lo stupore cantato in Zdes’ khorosho di Sergei Rachmaninov, con quel prodigio dei suoni filati che riempiono teatro e spettatori di emozione e ammirazione.

Ma è nelle romanze di Pëtr Il'ič Čajkovskij, forse il più colto, raffinato, cosmopolita e irriducibilmente ‘russo’ tra i grandi compositori della grande madre Russia dell’800, che Anna Netrebko trova e tocca le corde più profonde della sua anima: con naturalezza, lontana da cerebralismi, dipana una linea di canto dalla macerata espressività, perfettamente complementare al doloroso attorcigliamento del melos di Čajkovskij; quello di Ya li v pole da ne travushka bïla? è un pianto straziante: Anna Netrebko scava nelle pieghe della scrittura, esalta il tono funereo, la tinta bruna del brano, un ‘canto del destino’ di immediata riconoscibilità cajkovskiana, struggente, inteso e disperato come solo la musica del divino Pëtr Il'ič sa esserlo. In questa disperata romanza la Netrebko scolpisce accenti cupi, sussurri prossimi a rantoli, altera, per rendere ancor più intensa l’interpretazione, la bellezza del timbro vocale: a giudizio di chi scrive, è questo il momento più intenso e teatralmente coinvolgente dell’intera serata, già ricchissima di emozioni e di numerosi istanti di spiccato carisma.

Pubblico stregato dalla personalità vocale e scenica di Anna Netrebko; al termine è un trionfo di applausi.

C’è però il tempo, malgrado il programma così impegnativo e articolato, di un bis, O, ne riday, moy Paolo da Francesca di Rimini di Rachmaninov, un’ultima incursione nel repertorio operistico a suggello di una indimenticabile e teatrale serata di romanze da camera.

Non sarà lunga l’attesa per rivedere Anna Netrebko al San Carlo: qui, il prossimo aprile e dopo l’atteso debutto nella parte in marzo al Festival di Salisburgo, interpreterà La Gioconda.


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