L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L’emozione delle Goldberg

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ospita l’atteso recital di Víkingur Ólaffson, che esegue l’integrale delle Variazioni Goldberg BWV 988 di Johann Sebastian Bach.

ROMA, 13 novembre 2023 – Non è mai facile eseguire la musica di Johann Sebastian Bach e ogni scelta interpretativa è, potenzialmente, criticabile. In estrema sintesi, due sono gli approcci: uno ‘filologico’, che ricerca un’esecuzione quanto più possibile fedele a ciò che i contemporanei si immaginano fosse la resa sonora al tempo del compositore; un altro meno rigido, più aperto ad una lettura di Bach su strumenti moderni, che inevitabilmente alterano l’idea sonora originale, ma aggiungono qualcosa in più al pensiero originale di Bach. Víkingur Ólaffson sceglie una ponderata via mediana, un’aurea mediocritas di oraziana memoria.

Ólaffson sta portando in giro per il mondo le Goldberg a sèguito del successo dell’incisione delle stesse per l’etichetta Deutsche Grammophon; un CD fortunato, che gli ha valso critiche decisamente favorevoli. Certo, è difficile proporre qualcosa di realmente innovativo nell’esecuzione delle Goldberg, considerando che generazioni di eccellenti interpreti ne hanno spaginato ogni particolare, ogni minima piega: basti pensare alla storica incisione di Fridrich Gulda (1955), celebre per la ricerca spasmodica di un suono clavicembalistico sulla tastiera del pianoforte, per l’astrazione della musica, tale da rendere plastica un’idea di perfezione cui sovente è legato il nome di Bach; o, totalmente agli antipodi, a quella di Rosalyn Tureck (1957), meditativa, rallentata, tenue, molto personale; o, ancora, a quella sentimentale, carica, della Nicolayeva. Molte altre se ne potrebbero citare, naturalmente. Il senso è che gli interpreti contemporanei che si accostano alle Goldberg non solo devono sostenere il peso dell’interpretazione dell’opera in sé, ma anche delle varie letture che di questo sono state date. A Ólaffson si deve dare il merito di aver trovato una strada, in un certo senso, molto personale, come pure di non aver avuto paura di misurarsi con un mostro sacro di tale portata. Il pubblico dell’Accademia, così, ha potuto gustare nuovamente le Goldberg, dopo che Beatrice Rana le eseguì, in questa stessa sala Sinopoli, nel 2017 (leggi la recensione).

Tutto comincia e finisce nell’Aria. Ólaffson ne coglie la dolcezza, l’eterea (per alcuni persino mistica) sospensione, approcciandola con un fare ‘clavicembalistico’: l’ispirazione, qui, è proprio la corrente esecutiva ‘filologica’. L’Aria è eseguita con tocco sopraffino, quasi senza pedaliera, rallentando i trilli, facendo delibare, sic et simpliciter, la splendida melodia; la naturalezza, placida e rilassata, nasconde uno studio millimetrico del pezzo. Già nella Variatio I, però, Ólaffson svela l’altro lato della sua ispirazione: l’esecuzione più aderente al gusto della modernità, con uso più marcato di dinamiche, di giochi timbrici, di chiaroscuri, del pedale. Così, la Variatio I esplode in tutta la sua velocità, cogliendo quasi di sorpresa il pubblico e marcando un netto contrasto; un elemento, questo, che sarà la base della narrazione esecutiva di Ólaffson. L’Islandese, infatti, crea una sapiente opposizione nell’esecuzione delle varie variazioni, a marcarne la natura estetica: l’unità della sua lettura risiede proprio in questa vivacità dei contrasti con cui si approccia allo spartito. L’interpretazione è, dunque, marcata da momenti di autentico slancio, come nella fulminea Variatio V, nelle rapidissime Variationes VIII e XIV, nell’acquatica Variatio XVII e nella vibrante Variatio XVIII. Questi momenti di slancio virtuosistico sono ‘rallentati’ dalle Variationes più placide, larghe, meditative: la VII, che ha un gusto così pastorale, la tenue Variatio XIII, il malinconico Canone alla Settima (XXI) o la struggente Variatio XXV, nella quale l’interprete si profonde in uno scavo emotivo volto a cavare una tristezza, certo, insolita per questa raccolta. Alla fine di questo viaggio sonoro, dopo che Ólaffson non ha dimostrato solo la sua maestria esecutiva, ma anche la sensibilità interpretativa, gli applausi scoppiano scroscianti: una standing ovation. Prendendo il microfono, Ólaffson, da sensibile comunicatore qual è, ringrazia il pubblico, ma anche i tecnici dell’Accademia; ricorda gli eventi naturali estremi che stanno interessando la sua Islanda (movimenti tellurici che hanno causato non pochi danni), eventi che – non manca di notare – caratterizzano anche l’Italia. Nel congedarsi, poi, ricorda al pubblico che non concede un bis dopo le Goldberg giacché sarebbe fare, quasi, un torto alla compiuta perfezione di questa raccolta, che racchiude tutta la vita umana espressa in suoni.


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