Alle voci della gloria
di Roberta Pedrotti
Le celebrazioni per il compleanno quadriennale di Rossini si concludono in bellezza con la Messa di Gloria realizzata in collaborazione fra il Rof, la sua Accademia e il Conservatorio.
Pesaro, Buon compleanno, Rossini: in Fondazione, 29/02/2024
Pesaro, Buon compleanno, Rossini: al Palafestival, 29/02/2024
PESARO, 29 febbraio 2024 - Buon compleanno, Gioachino: terza e ultima tappa, ora al teatro Rossini. Ha un senso simbolico non trascurabile vedere schierati l'orchestra e il coro del Conservatorio nato, come Liceo musicale, proprio dal lascito testamentario di Rossini. Lì, nel teatro intitolato in vita al compositore, ma anche luogo del fattaccio che lo spinse a lasciare la città natale, salvo poi riconciliarsi al momento di nominare il proprio erede universale. La principessa Carolina di Brunswick, irrequieta protagonista dei gossip dell'epoca sulla casa reale britannica, al tempo ospite di Villa Caprile, non aveva preso benissimo la scusa con cui Rossini aveva declinato un suoi invito e in teatro qualche amico della nobildonna aveva cercato di farlo capire al compositore. Per fortuna il testamento siglò la pace e ci ha permesso di avere Conservatorio, Fondazione e, di conseguenza, Festival. Tutti uniti, ora, per festeggiare con uno dei più ambiziosi e meno eseguiti capolavori sacri del Cigno di Pesaro. La Messa di Gloria gli fu commissionata dalla Confraternita di San Luigi nel 1820, al culmine dell'esperienza napoletana; pur essendo relativamente breve (questa tipologia di Messa comprende due sole sequenze: il Kyrie e, appunto, il Gloria) si tratta di un lavoro di grandissimo impegno, tanto che, se le pagine che impegnano i solisti hanno ampiezza di respiro ed esigenze virtuosistiche fuori dal comune, per il solenne Cum sancto spiritu finale Rossini ricorse alla severa dottrina del collega Pietro Raimondi, esperto di stile sacro. Già, stile sacro: sembra facile da dirsi per noi, sebbene la nostra consuetudine con la produzione italiana del genere nel XIX secolo faccia capo essenzialmente al Rossini dello Stabat Mater e della (pur parigina) Petite messe solennelle e al Verdi del Requiem e dei Quattro pezzi sacri. Il dubbio che ciò che siamo abituati a catalogare come operistico o comunque mondano lo fosse davvero anche alle orecchie dei contemporanei ci può sfiorare, riflettendo sul confine forse labile fra il sublime mistico e quello teatrale. Certo è che la Messa di Gloria richiede molto, moltissimo, coerentemente con i mezzi a disposizione (i Borboni avevano bandito le donne dalla musica sacra in favore dei castrati, quindi Rossini torna a scrivere per loro, mentre nei registri virili poteva contare anche su un giovane Rubini). L'orchestra e il coro (preparato da Riccardo Lorenzetti) del Conservatorio meritano un plauso convinto per la cura e l'entusiasmo che fanno trasparire, limpidi, a occhi e orecchi. La concertazione di Luca Ferrara va spedita con più concretezza che finezza? Non siamo qui per ritrovare il cesello sottile della migliore incisione discografica, ma per apprezzare la seria qualità di studenti che rendono il dovuto omaggio al genius loci. E il risultato si può dire davvero ottimo.
Per quanto riguarda la selezione dei cantanti solisti, invece, il contributo viene dal Rossini Opera Festival e dalla sua Accademia intitolata ad Alberto Zedda, dalla quale in proscenio vediamo tutti ex allievi. Maria Laura Iacobellis si destreggia bene nella parte siderale del soprano, ma confermando l'idea già suggerita dalla recente Rondine jesina [Jesi, La rondine, 15-17/12/2023] di un lirico sempre meno leggero. Andrea Niño, contralto, non ha molto da cantare, ma lo fa con bel colore e bel gusto. Il basso Alberto Comes non teme l'ampia estensione richiestagli e offre, con Ferrara, un'interpretazione insolitamente compunta del Quoniam. I tenori, titolari di parti invero diaboliche, sono Pietro Adaini e Antonio Mandrillo. Quest'ultimo, in Gratias agimus, mostra qualità interessanti in termini di timbro, squillo e controllo. Qualche prudenza, data la scrittura è più che comprensibile. Più complesso, anche se ripetitivo, torna a essere il discorso su Adaini, così frequentemente sollecitato in partiture asperrime. È indubbio che la facilità naturale del tenore nell'acuto lo indirizzi verso pagine non a tutti accessibili, ma è pur vero che queste mettono anche in luce la necessità di una rifinitura tecnica, perché dopo un inizio spavaldo, quasi irruente, la stanchezza si fa sentire con suoni meno timbrati e agilità meno nitide nel Qui tollis. Ciò non vuol dire che si esca insoddisfatti dal teatro: il tenore affronta a testa alta le difficoltà della Messa, ma i problemi che si riconoscono non sono una novità di oggi e al di là dell'esito di questa serata resta il dubbio se, fra tutte queste sollecitazioni, ci sia davvero il tempo e il modo di mettere a frutto al meglio e in maniera duratura il suo potenziale.
Se una sera d'inverno un rossiniano può festeggiare, almeno una volta ogni quattro anni, il compositore cui deve eterna gratitudine, stasera rientrerà contento, dopo aver attraversato le carte e gli studi, le emozioni della casa ritrovata, un sacro capolavoro affidato a forze fresche, preparate e piene di entusiasmo. Rientrerà contento anche per aver potuto pensare, discutere, porre interrogativi sul presente e sul futuro.