Il respiro del pianoforte nell'orchestra
di Roberta Pedrotti
Affascina, in una sala Mehta gremita e festante, l'interpretazione del Secondo concerto di Rachmaninov offerta da Francesco Libetta, con Alessandro Bonato per la prima volta sul podio dell'Orchestra del Maggio. Il programma, tutto di marca slava, è completato dalla Suite dal Lago dei cigni e dal Capriccio italiano di Čajkovskij.
FIRENZE, 19 settembre 2024 - Non si fa in tempo a riprendersi dalla scorpacciata dei festival estivi e prepararsi alle nuove stagioni che già settembre si affolla di appuntamenti cui è difficile rinunciare. Ubiquità e teletrasporto sono purtroppo poteri ancora indisponibili, e se non bastassero le quotidiane necessità logistiche forse dovremmo fare i conti almeno con la necessità di vivere una vita anche fuori dai teatri e di degustare senza abbuffarsi.
Una premessa ragionevole e colma di buoni propositi porta naturalmente a cedere alla tentazione: fra una rassegna settembrina e l'altra, quest'anno il Maggio Musicale Fiorentino parte pure con una programmazione fitta e allettante. Vuoi non approfittarne per inserire una tappa che s'incastra a meraviglia fra Il cappello di paglia di Firenze alla Scala e l'Orchestra Mozart a Bologna e dare un salutino a Santa Croce?
Stasera in locandina il programma è tutto russo, con il Secondo concerto per pianoforte di Rachmaninov ad aprire (sarà proprio il caso di dirlo) le danze. Dopo aver ascoltato Francesco Libetta lo scorso anno a Pesaro in un recital intelligente e ricercato [leggi la recensione], lo ritroviamo ora in uno dei monumenti della letteratura pianistica. Già dal primo tocco non delude e ci porta mille miglia lontani dall'idea dell'one man show del virtuoso solitario spesso condito di narcisismo. La tecnica non mira mai a effetti muscolari e travolgenti scarti dinamici, bensì ad amalgamare il suono con l'orchestra, a trovare un dialogo di timbri, a pensare la partitura non come un monologo con un accompagnamento in sottofondo, ma come un vero pezzo di musica d'insieme, il cui il solista spicca, si fa perno, ma non spazza via tutto il resto. Ne è palese esempio il secondo movimento, in cui la morbidezza soffusa del fraseggio generale non ci priva della ricchezza dell'Orchestra del Maggio, il cui colore pastoso, anzi, valorizza ancor più il rapporto fra il cantabile che scorre di sezione in sezione e lo scintillante palpitare del pianoforte, che quasi suggerisce la forma e la pulsazione interna del ritmo senza perdersi in meccanicismi. Anche dove le dita di Libetta mostrano di poter correre rapide e precise, la qualità tecnica non reclama i riflettori e si piega, semmai, ai diversi affetti del concerto. Notevole è, per esempio, l'effetto del primo movimento, quando l'ingresso dell'orchestra sembra scaturire direttamente da quelle prime battute solenni, composte, profonde del pianoforte solo. Dalla tastiera l'idea musicale sembra amplificarsi nell'orchestra e innescare così un crescendo emotivo scevro da retoriche stucchevoli. Questo gesto si riverbera fino al finale, quando il virtuosismo del singolo, la sua voce individuale spicca maggiormente, ma sempre in stretta relazione con l'orchestra, frutto di una dialettica continua di scambi, suggestioni, rispecchiamenti o rimbalzi e amplificazioni di dettagli.
L'accoglienza giustamente festosa reclama un bis e Libetta ha pronto il pezzo perfetto: dopo l'apoteosi del concertismo tardoromantico, ecco il virtuosismo trascendentale che incontra l'opera in salotto con Liszt e deve farsi anche ironicamente cantabile e teatrale. Ascoltando l'attacco della parafrasi da Rigoletto proprio a Firenze siamo in molti ad aver pensato, e ad aver poi mormorato con gli amici nell'intervallo, che potesse essere un ironico omaggio alla città di Amici miei. Se così fosse, un colpo di genio.
Dopo aver mostrato la consueta sensibilità e perizia tecnica nel dialogo con Libetta della prima parte del concerto, Alessandro Bonato guida l'Orchestra del Maggio nella Suite dal Lago dei cigni e nel Capriccio italiano di Čajkovskij. Pagine di sicuro effetto e per questo insidiose, ragion per cui si apprezza come la sfacciata vitalità e il gusto pittoresco del Capriccio non si compiacciano di sé, ma vivano nella giusta misura di un'orchestra d'altissimo livello. E ancor più si ammirano i soli eccellenti (arpa, violino, oboe, violoncello) nella Suite, la cui eleganza nel rubato danzante ci rammenta amaramente quanto spesso la musica per il balletto sia trascurata, le coreografie si rappresentino con basi registrate e i danzatori stessi non si abituino ad ascoltare un'orchestra viva ed entrare in simbiosi con essa. Spesso ridotte a sottofondo o jingle pubblicitario, queste partiture meriterebbero maggior cura e considerazione: certo, devono rispondere a determinate esigenze dovute alla sua destinazione primaria, ma ciò non ne inficia lo status di musica d'arte. È, semmai, la scarsa considerazione riservata loro a tarparne le ali. Per fortuna non avviene in questo caso, che ci rinfranca anche per il senso idiomatico di un racconto nato per esser fatto di suoni, di gesti e movimenti. Il confine fra musica pura e musica fisica, parte di uno spettacolo più complesso, si ricollega anche al bis dall'aroma operistico scelto da Libetta e sembra suggerire un altro filo conduttore oltre a quello più evidente dell'origine slava degli autori.
La sala Mehta è piena, ottimo segno per la ricezione da parte del pubblico della nuova ricca programmazione del Maggio; segno ancor migliore è poi il caloroso tributo reso agli interpreti, salutando con gioia un'orchestra di cui andare giustamente orgogliosi, il ritorno di Libetta e il debutto di Bonato.