Viva Verdi!
di Roberta Pedrotti
Parma festeggia il compleanno di Verdi con gli appuntamenti Off, fra istallazioni d'arte e concerti degli allievi dell'Accademia, e un Galà al Teatro Regio diretto da Francesco Lanzillotta con protagonisti Vladimir Stoyanov, Luca Salsi, Alessia Panza, Luciano Ganci, Giorgi Manoshvili, Lodovico Filippo Ravizza.
PARMA, 10 ottobre 2024 - 10 ottobre 2024. Nel duecentoundicesimo anniversario della nascita di Giuseppe Verdi non si può dire che il suo paese, che tanto amava, se la passi benissimo: mentre si lascia marcire la sua villa di Sant'Agata, il merito, il buon senso, interesse comune non riescono a soppiantare le affinità, le maleducazioni, l'interesse di parte, né cultura e spirito critico sembrano in cima alle priorità nazionali. Lui, Verdi, viceversa sta benissimo: sarà che è difficile trovare chi abbia meglio descritto l'animo umano, i vizi della società e le logiche del potere, ma l'attualità dei suoi capolavori è palpabile, ogni giorno più stimolante. E, a dispetto delle piccole e grandi miserie di cui sopra, le risorse vere per interpretarlo come si deve oggi non mancano.
Una passeggiata a Parma, nel giorno del suo compleanno, è d'obbligo. E non solo per il gran galà di rito, un tagliere di salumi con torta fritta e un buon bicchiere – tutte cose che, beninteso, ci stanno a meraviglia – ma anche per curiosare fuori dai soliti percorsi. Per esempio, le locandine rosa del Verdi Off che punteggiano la città (e non solo): qui la fantasia si muove a briglia sciolta e si trova di tutto e a ingresso libero, dalla saletta luna park un po' vintage (attenzione: se avete l'età giusta il videogioco arcade su Aida può creare dipendenza) ai concerti e alle istallazioni d'arte contemporanea. Così, prima del Galà serale al Regio si può andare alla Fondazione Cariparma, sbirciare la sua collezione d'arte e ascoltare tre validi allievi dell'Accademia Verdiana accompagnati da Claudia Zucconi. Il programma è concentrato e succoso: duetto del primo atto da Otello, le arie di Procida dai Vêpres siciliennes, di Carlo dai Masnadieri, Elvira da Ernani, Filippo II da Don Carlo, “Addio del passato” dalla Traviata, il terzetto dai Lombardi alla prima Crociata. Tutti si distinguono per la partecipazione e la cura della chiarezza della parola. Molto interessante il basso Agostino Subacchi, che mette in evidenza già una matura consapevolezza nel porgere. Nondimeno, il potenziale di Francesco Congiu pare davvero notevole, con un bel timbro brunito che speriamo di veder fiorire sui palcoscenici, al pari della vocalità penetrante di Maria Kosovitsa, particolarmente intensa nel terzetto, in cui anche il tenore mostra una bella attitudine espressiva e il basso un'ispirata spiritualità. Alla fine il pubblico chiede a gran voce e ottiene il bis dell'intera scena.
Il concerto termina giusto in tempo per spostarsi nella Galleria di Borgo San Lorenzo per Aida. L'esodo verdiano, istallazione realizzata da Lorenzo Paoli e Alessandro Pasquinucci, con il mapping di Imaginarium, la colonna sonora e le sonorizzazioni di Davide Giannoni /Imaginarium. Mentre fra suoni ambientali ed elaborati elettronicamente emerge e s'impone man mano la sinfonia di Aida, nella penombra della chiesa sconsacrata di San Ludovico si muovono marionette a grandezza naturale (nella stessa struttura dell'ex convento si trova anche un museo del teatro di figura), un popolo in cammino, accompagnato da Verdi e da immagini di deserti, fondali marini, “forste imbalsamate”. Significativo e struggente: l'opera dovrebbe aiutarci a sentirci più umani.
Nel frattempo, già con mille pensieri per la testa, è l'ora del Galà verdiano al Regio. In programma, dopo la sinfonia di Les vêpres siciliennes. Seguiranno tre quadri fastosi, ma non privi di significato: il terzo atto di Ernani, la scena del Gran Consiglio di Simon Boccanegra e l'Autodafé di Don Carlo ci riportano a tre diversi aspetti del potere nella poetica del genio nato a Busseto duecentoundici anni fa. Carlo, da giovane re libertino, apprende la virtù e la responsabilità nell'ascendere al trono imperiale e con la clemenza mette a tacere la congiura; il doge già corsaro è uomo di pace e di giustizia, ma la sua vittoria è minata da un brulicare di tradimenti; il ruolo di Filippo II, lo scalpitare dell'Infante, l'onore di Posa e i tormenti di Elisabetta sono inesorabilmente sottoposti al potere della Chiesa.
Queste tre grandi sequenze permettono anche di schierare un eloquente panorama del canto verdiano attuale e di tirare più di un sospiro di sollievo. Non è necessario guardare solo alle superstar già conclamate per avere soddisfazione, come ci dimostrano subito tenore, soprano e basso alle prese con tre ruoli ciascuno. Luciano Ganci, ben rimessosi dopo aver dovuto rinunciare alla prima di Attila, si trova a onorare una serie di frasi esposte e insidiose, dal fiero “Io son conte, duca sono” di Ernani al si bemolle e al si naturale di “Pel cielo! Uom possente sei tu!” di Gabriele Adorno e di “Sarò tuo salvator, popol fiammingo, io sol” di Don Carlo. Gli acuti sono lì, sicuri, ben legati nella linea di canto, lucenti ed eroici come si conviene, ma non si tratta solo di questo. Le note e la proiezione sono fondamentali, ma per fare un artista – e un artista verdiano – ci vuole anche altro: il senso della parola e del fraseggio, una franchezza comunicativa che sappia andare di pari passo con la nobiltà dell'animo e del porgere. Tutte qualità che il tenore romano dimostra di possedere e che lo pongono fra i migliori interpreti attuali del suo repertorio. Giorgi Manoshvili non ha moltissimo da cantare, in queste scene, come Silva e Fiesco, ma il suo contributo conferma subito la fiducia già riposta in lui e quando deve attaccare “Nel posar sul mio capo la corona” fa capire di essere già in nuce un futuro gran Filippo II. Anche Alessia Panza ribadisce di essere una delle voci più interessanti della nuova generazione, forte di un canto ampio, ricco d'armonici, di bello smalto e sempre ben controllato, con una linea pulita e naturale. Non passano inosservate Elvira ed Elisabetta e, ovviamente, spicca il racconto di Amelia/Maria. Non c'è da sperare anche per lei una crescita continua da queste notevoli premesse.
Nei tre quadri si alternano tre diversi baritoni principali. In Ernani è Vladimir Stoyanov a incarnare il passaggio dal re all'imperatore, da Carlo a Carlo V: lo fa con la consueta misura, con un'onestà artistica che non può che destare ammirazione. Una carriera trentennale può lasciare qualche velo sul timbro, può asciugare qualche armonico, ma non la dignità dell'accento, la dedizione intima e sincera alla meditazione dell'aria e al sublimarsi del finale “O sommo Carlo”. Se nel sovrano del baritono bulgaro si percepisce un'introspezione ascetica, il Simon Boccanegra del parmigiano Luca Salsi, nel pieno delle sue forze, risulta in un certo senso complementare. Il doge genovese, più che trasfigurarsi in un ideale, sembra infatti vibrare sanguigno di sdegno di fronte agli odi fraterni di città o fazioni, agli umore delle folle, all'orrido disegno che ha coinvolto sua figlia. Salsi non trascura il dettaglio della scrittura verdiana – anzi: è un piacere sentir rispettati segni dinamici spesso disattesi – ma lo fa proprio nella sua personalità e nella sua interpretazione, davvero convincente.
Nell'Autodafé, Rodrigo ha solo un paio di frasi da cantar da solo, “Qual pensier lo sospinge!” a parte e il cruciale “A me quel ferro!”. Tanto basta, anche se quantitativamente poco, a confermare ancora in Lodovico Filippo Ravizza un elemento su cui fare affidamento per il futuro, capace di farsi notare anche con una manciata di battute. Tuttavia, una domanda nasce spontanea: perché non affidargli anche Paolo Albiani, che nell'economia della scena del Gran Consiglio ha interventi ben più numerosi e sostanziali ed esigerebbe un interprete di maggior spessore rispetto a Eugenio Maria Degiacomi, senz'altro adeguato come Jago in Ernani, ma forse un po' sovrastimato per il traditore di Simon Boccanegra. Se si è trattato di cautela nell'approcciare la parte a ventinove anni, seppur in una sola scena in concerto, ben venga, ma avremmo senz'altro gradito un Paolo Albiani più incisivo e Ravizza avrebbe potuto essere un'ottima opzione.
Ricordiamo, infine, per quanto riguarda i solisti il Don Riccardo (Ernani) di Cristiano Olivieri, il Pietro (Simon Boccanegra) di Rocco Cavalluzzi, l'Araldo di Anzor Pilia e la Voce dal cielo di Fan Zhou (Don Carlo). Il coro del Regio, in fondo al palco dietro l'orchestra, non viene favorito dall'acustica, ma canta sempre assai bene e viene festeggiato con il suo maestro Martino Faggiani.
Sul podio della Filarmonica Toscanini (sempre una garanzia) ritroviamo Francesco Lanzillotta dopo I lombardi alla prima Crociata dello scorso anno. Il suo approccio, più che di direttore tecnicamente “puro”, pare quello del compositore, del musicista in senso lato che esprime attraverso la direzione il proprio studio e il proprio punto di vista sul testo. Non che Lanzillotta voglia mettersi in competizione con Verdi o quantomeno sul suo stesso piano: indirizza semmai la propria interpretazione sulla base della propria esperienza di scrittura e analisi. Si potrebbe dire, da allievo e devoto esegeta. Già nella sinfonia iniziale da Les vêpres siciliennes è chiaro che sia l'architettura interna ciò che più interessa, come quando fa emergere i controcanti e i pizzicati sulla linea dei violoncelli nel tema di “Pour moi quelle ivresse inconnue”. Anche nelle scene che si avvicendano del programma si percepisce l'attenzione privilegiata per la struttura, l'occhio clinico proteso verso elementi tematici, voci secondarie, intrecci polifonici, rapporti armonici. Si riconosce anche l'amante e il frequentatore della musica del '900 nell'evidente fascinazione per le forme, che raggiungono l'apice nella costruzione vertiginosa dell'Autodafé.
Dopo un tal finale, con la voce dal cielo ad accogliere i condannati dal tenebroso coro del Sant'Uffizio, lo sconcerto diverso e privato di ciascuno, la festa del popolo, non c'è più molto da aggiungere. Il pubblico chiede a gran voce il bis, ma si esce dal teatro, fra tante soddisfazioni, ancora con qualche appetito. Sarebbe bello provare a saziarlo quanto prima con un bel Don Carlos, per esempio.