L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Sulla spiaggia di Ceylon

di Giuseppe Guggino

Naufragano irrimediabilmente i Pêcheurs de perles di Georges Bizet al Teatro Massimo di Palermo se al kitsch dell’allestimento proveniente dal Capitole de Tolouse si coniuga una prova sotto il livello di guardia dei complessi stabili guidati dal loro direttore onorario Gabriele Ferro.

Palermo, 14 aprile 2024 - Dopo il riuscito concerto di Pasqua Gabriele Ferro torna alla testa dei complessi del Massimo di Palermo, di cui è direttore onorario a vita, per i Pêcheurs de perles di Georges Bizet, partitura disseminata di preziose finezze, dalla scrittura orchestrale e corale sovente preziosa, tutta giocata su delicate tinte pastello eppure titolo estremamente fragile per via dei lunghi récit che tradiscono l’iniziale concezione da opéra comique, vieppiù articolata su una drammaturgia alquanto inverosimile. Non tradisce la lucidità del direttore di lunga esperienza, già misuratosi col titolo una decina d’anni or sono al San Carlo di Napoli, nelle pregevoli intenzioni interpretative improntate ad una lettura meditativa dall’agogica quanto mai dilatata che, però, finisce col mettere alla corda un’orchestra colta in una serata al di sotto il livello di guardia, svogliata pressoché in tutte le sezioni, archi in primis, e con evidenti problemi di tenuta. Già nel primo récit dopo il Chœur d’apertura Nadir e Zurga sembrano perdere il contatto con l’orchestra e l’effetto tende poi a ripetersi in tutti gli estenuanti recitativi strumentati dell’opera, accentuandone la discontinuità musicale. Ma i pescatori finiscono proprio col pescare perle nere nel delizioso quartettino di prime parti (non esattamente memorabili) che introduce il Chœur“C’est elle! Elle vient!…Sois la bienvenue”. Alla naufragante prova proveniente dalla buca si aggiunge quella altrettanto deludente del Coro, come di consueto preparato da Salvatore Punturo, evidentemente non con la consueta perizia.

Peccato, perché il terzetto di solisti sulla carta sembra ben congeniato, anche se finisce inevitabilmente a scontare i limiti di una serata alquanto sfortunata. Sicché Dmitri Korchak, verosimilmente provato dalle recenti recite del Guillaume Tell al Teatro alla Scala, si presenta piuttosto opaco anche se non monocorde, oltre che visibilmente indurito nel registro acuto. Meglio fa Alessandro Luongo, sonoro e solido, anche se poco incline alla prosodia francese su cui sembra muoversi non senza qualche impaccio di troppo. Federica Guida è Leïla forte di una certa pregnanza timbrica che si coniuga ad una sufficiente amministrazione del canto d’agilità, oltre che dal fraseggio ben curato. Al terzetto ben assortito di protagonisti fa da contraltare il Nourabad di Ugo Guagliardo.

Non risolleva le sorti della serata lo spettacolo del regista-coreografo Thomas Lebrun (ripreso da Angelo Smimmo) proveniente dall’Opéra National du Capitole de Toulouse, le cui scene caricaturali tutte impalcature di bambù – disegnate da Antoine Fontaine – necessitano di ben due intervalli fra i tre atti di un’opera che starebbe abbondantemente al di sotto delle due ore nette di musica. Ogni poesia nella vicenda esotica è anestetizzata dall’onnipresente kitsch che scivola sovente nel comico involontario, specie allorquando fa ricorso alle maldestre coreografie affidate al Corpo di ballo stabile del Massimo. Parimenti caricaturali sono i costumi di David Belugou dai colori sgargianti che poco collimano con le tinte pastello della partitura e che – nel caso dei tersicorei –curiosamente mescolano i generi, riservando le gonne agli uomini e i pantaloni alle donne, senza peraltro che la scelta sembri caricarsi di una qualche pregnanza semantica.

Il pubblico piuttosto silenzioso alla fine dei numeri chiusi, “Je crois entendre encore” incluso, si abbandona poi a convinti applausi finali, verosimilmente liberatorii, con punte di autentica ovazione per Gabriele Ferro, a cui nella prossima stagione d’opera palermitana è riservato un altro titolo parimenti fragile e delicato quale è la Sonnambula belliniana: sperando che dopo il naufragio del Pêcheurs non ci si debba trovare a parlare della narcolessia di Amina.


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