Natura e sangue
di Antonino Trotta
Calorosi sono i consensi che accolgono il dittico Cavalleria/Pagliacci andato in scena al Teatro Coccia di Novara: sebbene il cast si dimostri, nel complesso, più funzionale che convincente, il nuovo allestimento diretto da Matteo Mazzoni e la rassicurante concertazione di Fabrizio Maria Carminati consegnano la serata a un festoso successo.
Novara, 12 maggio 2024 – Ultimo titolo in cartellone prima della pausa estiva – se si esclude l’Aida che a luglio si terrà, come Nabucco l’anno scorso, all’Anfiteatro Giovanni Paolo II di Sordevolo e già work in progress per le maestranze teatrali impegnate nella produzione –, il dittico Cavalleria Rusticana/Pagliacci andato in scena al Teatro Coccia raccoglie calorosi consensi da parte del numeroso pubblico e segna un altro felice capitolo nella storia degli allestimenti Made in Novara.
Pur rimanendo ben ancorato ai binari della narrazione tradizionale, il nuovo spettacolo prodotto dal Coccia e firmato da Matteo Mazzoni – con scenografie di Matteo Capobianco, costumi di Roberta Fratini e luci di Ivan Pastrovicchio – leviga la spigolosità della tagliente cornice verista con squarci a tema naturalistico che il video-mapping – curato da Luca Attilii – affresca direttamente sulla rocciosa scenografia regalando così, al pubblico in sala, un colpo d’occhio d’efficacissima presa. Ecco allora che le due vicende, ambientate la prima in una cava e la seconda in un bordo di pescatori, si dipanano in un discorso fluido e chiaro che mescola, con sensibilità ed equilibrio, artigianalità e tecnologia, passato e presente – molto bella, ad esempio, la barchetta con polena a testa d’asino con cui si sposta la compagnia di pagliacci –, senza mai lasciare che un solo aspetto soffochi il resto. Già perché se le videoproiezioni che assicurano l’effetto stuporoso, di fatto, a non venir mai meno nei due intrecci è comunque la recitazione, tanto dei protagonisti quanto delle masse coinvolte, ovunque curata con attenzione e ben calibrata anche nei momenti più irruenti, sicché, pur con luci a giorno, ci si ritroverebbe qui a ben riferire di quanto visto.
Non si può scrivere che bene anche della direzione di Fabrizio Maria Carminati, qui chiamato alla guida dell’Orchestra Filarmonica Italiana. Senza particolari alzate d’ingegno ma anche senza inciampi in manierismi o sentimentalismi esasperati, la concertazione di Carminati si fa apprezzare per il taglio armonioso e bilanciato con cui il materiale patetico e sanguigno che anima le due partiture prende vita in buca. Se da un lato l’ottima tenuta dell’insieme, specie quando a far vibrar lo spartito son chiamati anche il Coro San Gregorio Magno – istruito dal maestro Alberto Sala – e quello di Voci Bianche del Teatro Coccia – preparato dal maestro Paolo Beretta –, rassicura il palcoscenico, dall’altro il fraseggio ben articolato e la ricca dose di colori, particolarmente evidenti nei due intermezzi, regalano all’uditorio astante attimi di coinvolgente poesia.
Convince forse un po' meno il cast che tra giovani rampanti e solidi professionisti fatica a trovare una quadratura perfetta. Tra le due opere, Cavalleria Rusticana zoppica di più. Cristina Melis, Santuzza, interpreta con contezza di ruolo e professionalità ma fatica a nascondere qualche problemino che si palesa nella tessitura acuta. Al contrario Zizhao Guo affronta Turiddu con la baldanza di una voce guizzante, ma l’attore è sopra le righe – quasi alla Grigolo – e il cantante distratto dal cercar il personaggio solo fuori della partitura. E mentre Mariangela Marini e Giorgia Gazzola, Lola e Lucia, fanno bene nei rispettivi ruoli, a porsi una spanna sopra gli altri è Marcello Rosiello che si fa notare per l’ottimo controllo dell’emissione e la sensibile spontaneità del fraseggio, qualità queste poi ribadite e meglio godute quando, dismessi i panni di Alfio, è chiamato a vestire quelli di Tonio nei Pagliacci – nel cui Prologo guadagna calorosi consensi –. Con l’opera di Leoncavallo, tutto sommato, la situazione migliora perché Alessandra Adorno, Nedda, al netto di qualche passaggio in alto da limare, canta con voce dal timbro interessante e Gustavo Porta, Canio, fa appello alla propria esperienza per sciogliere i nodi più aggrovigliati della parte – anche se gli acuti son sempre indietro –. Andrea Piazza reca a Silvio la freschezza dello strumento mentre Christian Collia a Peppe musicalità e voce in punta di fioretto. Completano correttamente il cast Luigi Cappelletti e Mino Boscolo, primo e secondo contadino. Teatro gremito e applausi scroscianti per tutti.