Otello rasta
Un Otello attuale (regia di Martin Čičvak) e ben concertato (Andriy Yurkevič) a Praga mostra l'ottimo livello di un cast internazionale che affianca artisti polacchi, moldavi, ucraini, russi e cechi.
PRAGA, 8 novembre 2024 - Dopo soli cinque mesi si torna a Praga: il motivo è lo stesso che ci ha spinti poco tempo fa di metterci in viaggio verso la splendida capitale della Repubblica Ceca, vedere e ascoltare una delle più importanti delle opere di Verdi. A maggio erano stati La traviata e Macbeth, adesso è il turno di Otello. Le ultime due produzioni hanno gli stessi “padri”, il regista slovacco Martin Čičvak, lo scenografo austriaco Martin Hoffer e il direttore d’orchestra ucraino Andrij Jurkevyč.
Basta uno sguardo veloce per realizzare quanto sono vicini il Macbeth e l'Otello praghesi; in entrambi manca un definizione precisa dell’epoca e i costumi di tutti i tagli parlano da soli. Che dire? Questa scelta non è originale e può destare una certa stanchezza; sicuramente, ha il semplice scopo di convincere il pubblico che la tragica storia d’amore tra Otello e Desdemona è sempre attuale e può essere ambientata in ogni epoca. Quante volte siamo andati in teatro per sentirci trasmettere questo pensiero onnipresente e per nulla nuovo? Ecco, la risposta c’è già.
La “veste” dell’Otello praghese firmata da Hofer, semplice e gradevole, sta benissimo al capolavoro del tardo Verdi: nulla deve distrarre l’occhio per lasciare spazio a una tragedia sconvolgente ambientata in stanze austere e astratte, appena accennate, ad esclusione del primo atto in cui padroneggia il colore azzurro abbagliante del mare. Negli atti successivi con uno sforzo minimo ci si trasferisce agli interni del palazzo a Cipro, la sala dove Otello accoglie gli ambasciatori veneziani e la camera da letto di Desdemona: le forme sono sempre semplici e i colori essenziali, bianco, nero, azzurro. I costumi sono firmati dal greco Georgias Vafras: giacche a doppio petto, cappotti militari, copricapi vari sono di taglio moderno, mentre Desdemona appare una specie d’icona di stile grazie agli abiti eleganti e colorati.
La regia di Martin Čičvak da sempre si dimostra efficace nella gestione delle grandi scene d'insieme, e, infatti, la tempesta che apre il primo atto e il ricevimento degli ambasciatori veneziani nel terzo sono tableaux vivants magnifici, pur risolti con mezzi austeri, per la buona disposizione del coro e dei solisti e i loro movimenti scenici. Con l'aggiunta del saggio gioco di luci firmate da Jan Dörner, Čičvak crea l'illusione emozionante della natura impazzita, mentre nel ricevimento degli ambasciatori cesella i rapporti tra i personaggi. Il vero interesse della messa in scena praghese sta nella visione del dramma personale di Otello: per il regista si tratta della violenza tra le mura domestiche, con protagonista un guerriero possessivo, incapace di dominare gli istinti che lo portano a umiliare di continuo la fragile sposa. Le mette le mani addosso, le sporca il viso con una specie di petrolio ricavato da una botte, la butta a terra e alla fine l'uccide. La regia pur interessante e, senza dubbio, coinvolgente, segue una strada decisamente deviante rispetto a quella insegnata da Verdi.
I cast dell'Otello praghese non ha nulla da invidiare a quello di Macbeth, anzi, emoziona forse di più e pone alcune domande, a iniziare dall’interprete del ruolo del titolo, il tenore ucraino Denys Pivnickij. Poco più che trentenne, uscito dal collegio musicale I Gnessin di Mosca (anno di diploma 2011) e l’Accademia Musicale Claudio Abbado di Milano (anno di diploma 2016) e già conosciuto dal pubblico russo e italiano in ruoli impegnativi quali Manrico, Radames, Turiddu, Mario Cavaradossi, Osaka. Calcare la scena nei panni di Otello sembra una sfida personale del giovane interprete, ma già dopo aver ascoltate “Esultate!” i più dubbiosi devono ammettere che Pivnickij ha tutte le possibilità di vincerla: atto dopo atto la certezza si rafforza. La voce non vanta un timbro e uno squillo particolarmente affascinantio, ma il tenore li rimpiazza abilmente con la sicurezza tecnica e la recitazione d’alto livello; non si ha un minimo dubbio che sia un autentico Otello, sì giovane, sì conciato in un modo strano, con i capelli rasta, ma autentico. Desta emozioni sconvolgenti, il suo Otello dalla pelle bianca, decisamente violento. Emozioni sconvolgenti sono destate anche dal suo canto, brilla per l’emissione sicura e lo spirito guerriero in “Esultate”, fa venire i brividi grazie alla declamazione vocale raffinata in “Dio mi potevi scagliar”, in cui dal mormorio passa a un abbandono incantevole, adopera colori metallici in “Niun mi tema”. Del giovane tenore sentiremo di sicuro parlare molto.
Pur non volendo togliere nulla al giovane tenore ucraino (e al soprano moldavo interprete di Desdemona), il “vincitore” della “competizione” vocale risulta il formidabile baritono polacco Mikolaj Zalasinski come Jago: la voce è solida, dal bel colore, autenticamente virile e con una sfumatura tagliente che giova assai al personaggio, un abile manipolatore. Il formidabile artista, evidentemente, aveva appreso tutti gli insegnamenti impartiti da Giuseppe Verdi stesso: il suo Jago indossa sempre la maschera di un bravo uomo, “onesto”, come lo chiama il protagonista. Zalasinski è un efficace dominatore della scena dall’inizio alla fine, fa venire in mente il desiderio di Verdi chiamare l‘opera non Otello, ma Jago. Intenzionalmente rozzo e “popolare” nel Brindisi, grandioso e tagliente nel Credo, finto sincero nel Sogno e autenticamente osceno nel finale quando scappa simile a una lepre: grande, grandissimo Zalasinski, qualche attimo di tensione vocale e di calo d’intonazione non influenzano una resa artistica entusiasmante.
Nei panni di Desdemona, uno degli “angeli” verdiani, il soprano moldavo Olga Busuioc è una delle migliori interpreti del ruolo del momento attuale. Sicura e naturale in scena, dona al personaggio un ricco spettro di sfumature psicologiche; davanti a noi come per magia appare “la sposa d’Otello”, una giovane donna dalla personalità importante. A questa visione piega la sua voce di soprano lirico spinto dal bel timbro e non le si potrebbe rimproverare nulla, ma proprio nulla. Raggiunge l’apice dell’interpretazione nella Canzone del salice e nell'Ave Maria; tutto è perfetto, l’emissione morbida, il legato infinito, il dosaggio raffinato dei colori e l’equilibrio meraviglioso tra il lirico e il drammatico. Questo Otello praghese ha tre primi inter pares.
Ottima la squadra dei comprimari che affianca i bravissimi interpreti dei tre personaggi principali: l’intensa Emilia di Katerina Jalovcova, il Cassio un po’ spavaldo di Martin Štrejma, il Roderigo sempliciotto di Josef Moravec, i dignitosi Lodovico e Montano, interpretati rispettivamente da Oleg Korotkov e Jan Hnyk.
Dopo Macbeth e Otello, si riconosce in Andriy Yurkevič un autentico direttore verdiano, che guida l’orchestra dell’Opera di Stato di Praga con mano sicura e attrae l’attenzione per il suo gesto bello e elaborato. Mano sicura si, ma che dà la priorità assoluta agli interpreti e li valorizza: ne viene fuori un Otello equilibrato e vibrante
Leggi anche:
Praga, La traviata, 15/05/2024