L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Gioia e fantasia

di Irina Sorokina

Caloroso successo per La Cenerentola di Rossini che torna a Verona nella produzione fiorentina di Manu Lalli con una buona compagnia di canto guidata sul podio da Francesco Lanzillotta.

VERONA, 20 novembre 2024 - La Cenerentola rossiniana, il secondo titolo del Pesarese per quanto riguarda la popolarità, non vizia spesso con la sua presenza la sala del Teatro Filarmonico di Verona. “Era ora!” verrebbe a esclamare; era ora di tornare, dopo l’ultima apparizione veronese dell’opera amatissima otto anni fa. Per questo ritorno senz’altro gradito si sceglie l’allestimento del Maggio Musicale Fiorentino del 2017, molto simpatico, senza pretese e sensi velati, adatto a tutte le età e forse capace di indurre i genitori a portare in teatro i propri figli: abbiamo bisogno delle nuove generazioni di amanti dell'opera. E per quanto riguarda gli spettatori in età matura sarebbe possibile ipotizzare qualche sospiro nostalgico. L’attuale messa in scena della Cenerentola per alcuni aspetti fa venire in mente Il barbiere di Siviglia sotto forma di film firmato da Jean Pierre Ponnelle che alcuni decenni fa mieteva successi addirittura a Mosca, dove file di melomani facevano la coda per comprare il biglietto: la più celebre opera rossinianain versione cinematografica fungeva anche da “finestra all’Europa”.

La messa in scena in questione conta qualche annetto, visto che nacque nel 2017 per essere rappresentata all’aperto al Palazzo Pitti a Firenze e un anno dopo fu riproposta al chiuso al Teatro di Maggio. Il pubblico fiorentino ha avuto la possibilità di goderne anche quest’anno e due mesi dopo pure i melomani veronesi possono esprimere il proprio giudizio. L’allestimento porta le firme di Manu Lalli per la regia, Roberta Lazzeri per le scene, Gianna Poli per i costumi; questa simpatica squadra è rafforzata da Vincenzo Apicella che cura le luci. Insomma, un bel lavoro collettivo unito dallo spirito di gioco e da un'ironia sempre bonaria. Idee scenografiche e scelte registiche non sono certo una novità: Lazzeri costruisce una bella dimora di Don Magnifico con gli echi settecenteschi e ottocenteschi, tra le sue mura Cenerentola corre giorno e notte per soddisfare le esigenze delle due pestifere sorellastre e del patrigno. Ma ha un suo rifugio, è dedita alla lettura; questa caratteristica attribuita alla ragazza dalla regista la rende ancor più simpatica, soprattutto se paragonata alle due vanitose parenti. La regia apparentemente soffre un po’ della paura del vuoto, i sette personaggi sono affiancati da decine di comparse e ballerini che partecipano vivamente alla loro vita familiare. Una vera marea di gente corre a destra e a sinistra, su e giù, le corse sono ben organizzate e si avvicinano alla coreografia. Tutto bene, tutto simpatico, tutto gioioso e fantasioso, ma tutto è un po’ troppo, e la sensazione di essere presenti a qualcosa di caotico è perenne.

Sul palcoscenico veronese appare un ottimo cast degno del grande entusiasmo del pubblico che, infatti, riserva a tutti i cantanti applausi calorosi e pienamente meritati. La lista degli elogiati e ammirati si apre dal nome della protagonista, il mezzosoprano russo Maria Kataeva. Molto sensibile alla psicologia del personaggio, offre un ritratto di Angelina multisfaccettato, di una ragazza che nemmeno per un attimo accetta la propria sorte. Combattiva, ma anche educatissima, intelligente e intraprendente, trasmette la certezza di un futuro migliore pure nelle parti malinconiche del ruolo. Il fascino personale e la scioltezza scenica si trovano in un’armonia perfetta con il canto. La sua è un’autentica voce rossiniana di mezzosoprano ampia, dal bel colore scuro e scintillante; la tecnica solida le permette di cantare in modo naturale e sciolto. Queste fantastiche qualità aiutano la recitazione parimenti naturale ed efficace, mai sopra le righe. Passo dopo passo – e sono sempre giusti – arriva al rondò “Nacqui all’affanno e al pianto” fresca come se non avesse dovuto già sostenere una parte piuttosto impegnativa e letteralmente delizia l’orecchio per il legato incantevole e le cascate di fioriture. “Habemus Angelinam”, verrebbe da dire.

Il Don Ramiro del tenore Pietro Adaini si trova in una simpatica sintonia con la protagonista; bravissimo a disegnare un principe tanto garbato quanto deciso. La voce di un autentico tenore rossiniano letteralmente vola, ben proiettata, dolcissima e duttile, e raggiunge il trionfo quando è ora di tirare fuori virtuosismi e sovracuti nella cabaletta della sua aria.

Carlo Lepore non necessita presentazioni e con la sua aria bonaria offre al pubblico una formidabile interpretazione del ruolo di Don Magnifico. Il nome del personaggio si addice proprio a questo vivace e sempreverde artista: la voce vanta un bellissimo smalto, la tecnica è solidissima e la dizione da manuale. Ai suoi ammiratori di sempre e a quelli che lo sentono per la prima volta non rimane che applaudirlo nel modo più caloroso dopo un gustoso “Miei rampolli femminini”.

Da sempre il baritono toscano Alessandro Luongo affascina grazie alla disinvoltura scenica e il senso di comicità, senza parlare della voce beneducata e limpida, e non può che trovare in Dandini un personaggio a lui consono. Questo scudiero vivace e intraprendente emana simpatia da tutti i pori, fa da spalla sicura al suo padrone e con l’interpretazione magistrale dalla cavatina “Come un’ape ne’ giorni d’aprile” fa drizzare anche le orecchie meno attente.

Il ruolo di Alidoro è sostenuto da Matteo D’Apolito con grande sicurezza e un pizzico d’ironia.

Una sintonia perfetta si crea tra due cattive sorellastre interpretate rispettivamente da Daniela Cappiello, Clorinda, e Valeria Girardello, Tisbe; il canto preciso e cristallino si affianca alla recitazione esilarante.

Sul podio Francesco Lanzillotta offre una lettura decisamente brillante, lo spirito della partitura gli è consono e lo esprime attraverso velocità elevate e i celebri crescendi rossiniani ben riusciti. Ma la sua Cenerentola non è solo brillante e precisa, la vena malinconica trova il posto giusto. Il coro diretto da Roberto Gabbiani è da sempre conosciuto per il proprio valore altissimo, tuttavia nella commedia rossiniana sembra di superare sé stesso per quanto riguarda la dinamica e la dizione.

Alla fine, grande successo e lunghi applausi.

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