Piccinni, il buon selvaggio e il riso dei Lumi
di Roberta Pedrotti
N. Piccinni
L'Americano
Edwards, Ciofi, Donadini, Colaianni
Orchestra Nazionale d'Italia
direttore: Eric Hull
Martina Franca, 25/26 luglio 1996
2 CD Dynamic, CDS 743/1-2, 2012
Sono due i motivi per cui, al di fuori della cerchia specialistica, il nome di Niccolò Piccinni viene in qualche modo ricordato. Uno è quello della polemica che oppose i suoi sostenitori a quelli di Gluck nella Parigi del XVIII secolo e che, nell'ordine ineluttabile dei dualismi tanto cari ai melomani d'ogni età, gli studenti devono diligentemente compitare assieme con la disputa fra Lullistes e Rameuistes e la Querelle des Bouffons. L'altro è dato dalla presenza nel suo amplissimo catalogo teatrale di un'opera di capitale importanza come La Cecchina, o sia la buona figliuola (Roma, 1760), consacrazione e simbolico atto di nascita del moderno genere larmoyant e semiserio, ovvero della commedia in musica sentimentale e non più tout court buffa. La Cecchina testimonia l'attenzione del teatro d'opera alle tendenze letterarie contemporanee e amplifica a sua volta l'influenza di un romanzo come la Pamela di Richardson, già rivisitata da Goldoni anche in prosa; dodici anni dopo, sempre a Roma, sarà ancora un'ispirazione letteraria a innervare un'opera di dimensioni più ridotte e di portata storica nemmeno paragonabile a quella del più celebre capolavoro. È il Voltaire dell'Ingenu (1767) a fornire infatti la suggestione per il soggetto all'Americano di Piccinni, storia di un giovane nativo americano rapito alla natìa California con le migliori intenzioni dal Cavalier Lisandro, livornese (non a caso: la città toscana fu a lungo centro del mercato degli schiavi stigmatizzato da Voltaire, da cui anche l'allusione nell'Italiana in Algeri alla città ben nota ai corsari africani) e intenzionato a “civilizzare il selvaggio”, cui guarda con bonaria curiosità eurocentrica. In realtà il nuovo arrivato mette a nudo le contraddizioni e le assurdità delle convenzioni sociali e delle abitudini occidentali, offrendo un modello perfetto di satira fra le consuetudini del teatro buffo e i topoi del buon selvaggio à la Rousseau e del relativismo culturale accarezzato nelle opere esotiche di Diderot o Montesquieu. Più concretamente, ma sempre con illustri paralleli filosofici e satirici, il giovanotto porta uno scompiglio amoroso non indifferente, rapportandosi, con una schiettezza e una disinvoltura impensabili e per il mondo dei Valmont e dei Casanova e per la patria della Cristianità, alle smanie erotiche di Donna Aurora – ufficialmente legata al Cavalier Lisandro – e ai sentimenti sinceri della pastorella Silvia – concupita dallo stesso cavaliere. La quantità di allusioni e riferimenti storici, sociali, letterari, la satira poliedrica che vi si dipana rende questo libretto un piccolo gioiello e l'opera estremamente piacevole e intrigante, tutta da gustare per la qualità e l'intelligenza del testo che conferiscono indiscutibile valore a una fabula semplicissima e a un intreccio assolutamente lineare. Nella riscoperta itriana proposta in questo cofanetto Dynamic si apprezza quindi particolarmente la chiarezza di dizione e l'efficacia espressiva di tutto il cast, che recita cantando rendendo perfettamente intellegibili i versi arguti e audaci di Angelo Longi. Merito in primo luogo di Piccinni stesso, abilissimo autore teatrale, sensibile all'affetto e al senso scenico della parola cantata. In questa partitura non vi sarà alcuna novità, nessun lampo di genio, ma nel sicuro mestiere d'un talento maturo tutto è gusto, sapidità, agile e guizzante trasparenza. Due ore e mezza di musica, equamente ripartite in due parti, che scivolano via leggiadre lasciando più d'un sorriso malizioso sulle labbra.
Lo interpretano in quest'unica registrazione una Patrizia Ciofi giovanissima, squisita per spirito e duttile musicalità, pepata o tenera quando la situazione lo richiede. Rivale della sua Silvia è la Donna Aurora puntuta e agguerrita di Giovanna Donadini, mentre Domenico Colaianni è brillante e ironico come si conviene nei panni di un credibilissimo Cavaliere Lisandro, che unisce lo spirito libertino e avventuriero del secolo dei Lumi a una certa qual bonomia panglossiana. Il buon selvaggio trapiantato nel vecchio continente e ribattezzato Villotto è Simon Edwards, perfettamente in parte, stupito ma non stupido, ingenuo ma non sprovveduto. Tutti rispondo alle esigenze delle rispettive parti con una piacevole naturalezza che, complice la fluida direzione di Eric Hull, permette di godere appieno della commedia. Le note di copertina dello stesso Hull illustrano in modo esauriente storia e caratteristiche non solo dell'opera, ma anche della sua stessa revisione sulle fonti, soffermandosi sul concreto del lavoro svolto per questa produzione. Il libretto completo è scaricabile dal sito della Dynamic a questo link.