L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

In attesa della verità

di Francesco Bertini

 

Al Teatro Malibran torna, come ormai consuetudine, l'opera contemporanea con La porta della legge, penultimo titolo di Salvatore Sciarrino, ispirato a un racconto di Kafka, di cui svela la spiazzante e cruda attualità.

VENEZIA, 30 ottobre 2014- A chiudere la stagione lirica 2013-2014 del Teatro La Fenice di Venezia è stato posto un titolo contemporaneo che conferma l’attenzione riservata all’attività musicale degli ultimi decenni. La scelta cade su La porta della legge, penultima fatica operistica di Salvatore Sciarrino, autore lungamente frequentato dal contesto musicale lagunare.

La vicenda prende le mosse dalla storia breve Vor dem Gesetz (Davanti alla legge) di Franz Kafka che, nonostante la trama stringata, pone al lettore una serie di interrogativi tanto sulla vita quanto, nel rifacimento attuale, sulla politica. La parabola inquadra un custode intento a sorvegliare una porta aperta, la porta della legge, alla quale un uomo di campagna intende accedere per raggiungere la verità. Il tempo non lenisce questa bramosia che tuttavia il guardiano scalfisce con i propri divieti, mai radicali ma intimidenti. Al termine della sua esistenza, l’uomo, ancora in attesa, si interroga sul perché nessuno si sia presentato per attraversare la porta. La risposta dell’usciere è semplice e lapidaria: quel passaggio è riservato “soltanto a te. Ora vado a chiuderlo”.

Sciarrino è conquistato dalla densità di significati del testo. Lo si capisce dalla sua stesura del libretto che coglie alcuni frammenti dialogici carichi di tensioni, aspettative, speranze, rabbia. La lettura del compositore non si sofferma solo sull’importanza fondamentale del libero arbitrio ma scandaglia, con acume, la situazione pubblica del nostro paese. Attraverso Kafka, Sciarrino mette alla berlina la corruzione, praticata ad ogni livello, senza risparmiare poi l’aspetto burocratico, vero tarlo della società italiana, motivo di mollezza e temporeggiamento.

L’opera, commissionata dall’Opernhaus di Wuppertal dov’è andata in scena nell’aprile del 2009, è definita con sagacia “quasi un monologo circolare” poiché la medesima situazione si ripete due volte, con piccole varianti, sempre con l’ineluttabile esito finale. Ai solisti è affidata una scrittura che passa dal declamato, al parlato, secondo una sorta di “recitazione intonata” cara allo stile dell’autore. La particolarità udibile, e forse più caratteristica della partitura, è costituita dal “suono bianco” di bordone affidato nella prima parte alla lastra metallica e nella seconda alle deboli vibrazioni dei fiati (eolians e soffi dei flauti). Il frequente incedere per intervalli microtonali caratterizza una partitura dalle molteplici soluzioni musicali che si avvalgono di un’ampia panoramica strumentale.

La sostanziale circolarità della narrazione trova riscontro anche nella messinscena concepita per il teatro di Wuppertal da Johannes Weigand, regia, Jürgen Lier, scene e costumi, e Jakob Creutzburg, video designer. Il chiasmo scenico è di efficace impatto visivo: al principio una parete di tendaggi scuri lascia intravedere una piccola porta che man mano si allarga, fino mostrare il fondale illuminato quasi per intero. All’arrivo del secondo uomo l’ampio spazio illuminato comincia a restringersi, finché l’azione si condensa in un piccolo rettangolo dal quale si affacciano i volti dei due personaggi. Il coup de théâtre, in conclusione, è riservato alle proiezioni che sfumano le presenze umane in ectoplasmi infiniti, a simboleggiare l’intera umanità nelle mani del potere e dell’illegalità. La gestualità essenziale e ripetitiva palesa la supremazia mentale dei dominatori, cinici e spietati, nei confronti degli inebetiti comuni mortali.

Efficaci, tanto vocalmente quanto scenicamente, i tre interpreti: L’usciere è il sardonico basso Michael Tews, perfettibile per dizione, Ekkehard Abele veste i panni dello sconfitto ma ostinato Uomo 1 e il controtenore Roland Schneider affronta il ruolo del disperato Uomo 2.

La direzione di Tito Ceccherini risulta attenta, partecipe e assai espressiva.

La risposta dell’Orchestra del Teatro La Fenice si dimostra valida e convincente. Il pubblico, non molto nutrito, palesa qualche insofferenza durante l’esecuzione ma premia il lavoro con applausi finali. 


 

 

 
 
 

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