L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Entartete Musik, «musica degenerata»

di Luca Fialdini

Nel 1937 Goebbels mette ufficialmente all'indice le arti "degenerate" secondo l'ideologia nazista. Un anno dopo, una mostra a Düsseldorf concentra l'attenzione sulla musica. Nel Giorno della Memoria, seguiamo alcuni percorsi del rapporto fra il Terzo Reich e la Entartete Musik.

Il 24 maggio 1938 era una giornata mite a Düsseldorf. Era un martedì; un giorno strano per l’inaugurazione di una mostra, ma così ha voluto Hans Severus Ziegler, direttore da due anni del Deutsches Nationaltheater und Staatskapelle di Weimar. La sua idea era quella di consacrare tutta la settimana a mostre, manifestazioni ed iniziative volte a celebrare la musica nazionale tedesca e, parallelamente, dare dimostrazione di quanto ebrei, bolscevichi e negri avessero distorto quest’arte. Questo era l’argomento della mostra e il suo titolo era Entartete Musik, «musica degenerata».

Naturalmente l’idea non era tutta farina del sacco di Ziegler: l’anno prima il ministro della propaganda Joseph Goebbels aveva solennemente inaugurato a Monaco di Baviera la mostra Entartete Kunst («arte degenerata»), in cui metteva all’indice opere, pittori e movimenti artistici, e Ziegler non ha voluto essere da meno. Col sostegno dell’Ufficio per l’educazione e la formazione intellettuale e filosofica diretto da Alfred Rosenberg (già autore del Dizionario degli ebrei in musica), Hans Ziegler ha dato vita a una grande mostra nel Kunstpalast di Düsseldorf, articolata in sette sezioni dedicate a compositori, direttori d’orchestra e generi musicali.

Ma chi andava a colpire, esattamente, questa mostra? E soprattutto, cosa si intende per «musica degenerata»? Così come l’arte degenerata, la mostra di Ziegler è nata dall’esigenza di conciliare l’arte con l’ideologia nazista: era imperativo epurare tutta l’arte diffusa in Germania dagli ebrei. Va da sé che musicisti come Felix Mendelssohn-Bartholdy e Gustav Mahler fossero assolutamente inammissibili, nonostante la loro grande popolarità presso il pubblico. L’epurazione di Mendelssohn costituiva un problema di non facile soluzione: nonostante la musica di compositori giudei fosse già vietata dagli inizi del regime, quella di Mendelssohn veniva ancora eseguita con una certa frequenza; nel 1934, ad esempio, Wilhelm Fürtwängler e i Berliner Philharmoniker regalavano al pubblico una memorabile esecuzione del Sogno di una notte di mezza estate in occasione dei 125 anni del compositore; un “rimedio” previsto per queste occasioni era tagliare fuori eventi del genere dalle cronache giornalistiche (o, tutt’al più, concedere scarso risalto).

Molto più serio un caso del 1936, in cui Sir Thomas Beecham si trovava a Lipsia con la London Symphony Orchestra. Dopo aver chiesto e ottenuto dal sindaco della città il permesso di deporre una corona di fiori ai piedi di un monumento che raffigurava Mendelssohn, come omaggio al suo operato per le relazioni musicali tra Inghilterra e Germania nel secolo precedente, Beecham non aveva idea dell’amara sorpresa che lo attendeva: il giorno prima della cerimonia, approfittando di un’assenza del sindaco, il capo della sezione locale del partito nazionalsocialista aveva nottetempo fatto rimuovere e distruggere la statua. Ad ogni modo, anche in un simile clima, la voce di Mendelssohn ha continuato a farsi sentire; approfittando del fatto che – stilisticamente – Mendelssohn è il più classico dei compositori romantici tedeschi, molti direttori d’orchestra includevano la sua musica nel programmi da concerto dicendo che era Beethoven.

È anche noto un altro oltraggio alla memoria di Mendelssohn: riconosciuta come musica degenerata fin dall’inizio degli anni ’30, Sogno di una notte di mezza estate incontrava sempre più ostacoli per quanto riguarda le pubbliche esecuzioni, tanto che il regime cercò di soppiantarla con la musica di un autore che seguisse la linea del partito. Questo era lo scopo delle continue richieste dal 1933 al 1944 di scrivere nuove musiche di scena per il testo shakespeariano, una chiamata cui hanno risposto moltissimi compositori tedeschi, creando almeno quarantaquattro “versioni alternative”. Va detto che persino i recensori dell’epoca hanno sempre dovuto ammettere che nessuna di queste composizioni poteva essere equiparata a quella di Mendelssohn.

Oltre a Mendelssohn e Mahler altri compositori ebrei furono censurati senza riserve: da Arnold Schönberg a Kurt Weill tutti caddero sotto la scure della Reichsmusikkammer, organo nato nel 1933 con lo scopo di «promuovere la buona musica tedesca», in special modo quella di Wagner, Bach, Beethoven, Brahms, Mozart, Haydn e Bruckner. Fissato così il canone della “buona musica” è facile individuare la musica degenerata, ossia quella che incorpora elementi musicali estranei alla tradizione tedesca, come il jazz (la «musica negra»!), e quella che rompe con la tradizione musicale nazionale, la cosiddetta musica modernista, il cui rifiuto per le forme va in contrasto con la continua ricerca di kosmos e taxis da parte del partito. Nella prima categoria rientrano compositori come Ernst Krenek, nella seconda i «bolscevichi minori», come Alban Berg, Paul Hindemith, Anton Webern, Igor Stravinskij e altri.

La mostra in sé ebbe un certo successo. All’interno dello spazio dell’esposizione erano installate sei cabine dotate di cuffie con cui il pubblico poteva ascoltare alcuni esempi della presunta musica degenerata. Paradossalmente, quella si è dimostrata per il pubblico un’occasione per ascoltare brani che non venivamo più eseguiti o trasmessi da cinque anni: ad esempio, molti ricordano una lunga coda alla cabina dedicata a Kurt Weill, dove si poteva ascoltare la sua Opera da tre soldi. Va anche detto che la mostra non ebbe lunga vita, solo tre settimane, e se Hans Ziegler sperava di farsi amico Goebbels probabilmente aveva fatto male i suoi conti perché l’esposizione non piaceva molto al Ministro della Propaganda (Goebbels preferiva utilizzare la Reichsmusikkammer come mero strumento di controllo dei programmi da concerto, non come istituto dottrinale), inoltre «sulla mostra della musica degenerata del dottor Zeigler – commentava Goebbels – stanno convergendo numerose critiche. Farò togliere le sezioni più spiacevoli».

A proposito del lavoro della Reichsmusikkammer, c’è un altro aspetto da considerare: non solo le musiche di autori ebrei erano sottoposte a censura, ma anche quelle di autori gentili che si avvalevano di testi di scrittori ebrei. Un caso particolarmente scottante è quello del trittico Nozze di Figaro – Don Giovanni – Così fan tutte di Mozart, che aveva libretti scritti dall’ebreo Lorenzo Da Ponte. Solitamente in Germania i tre titoli venivano eseguiti in lingua tedesca, ma nella traduzione dell’israelita Hermann Levi. In questo caso era intervenuto direttamente il già citato ufficio di Rosenberg, commissionando Siegfried Anheisser una nuova traduzione e nascondendo così la polvere sotto il tappeto. Rosenberg aveva anche iniziato a muovere qualche passo verso “l’arianizzazione” degli oratori di Händel, la quale non ebbe mai luogo a causa della forte opposizione mossa proprio dalla Reichsmusikkammer. Oltre a questi ci sono stati altri curiosi controsensi, come quello legato a Heinrich Heine: da una parte i testi del «giudeo Heine» erano assolutamente banditi, dall’altra la sua Die Lorelei aveva raggiunto una fama tale che era impossibile censurarla; la mossa tentata all’epoca era quella di farla passare come un canto popolare.

In definitiva, cosa accadeva ai compositori di musica degenerata? Se di stirpe ebraica venivano perseguitati e, se si riusciva ad arrestarli, spediti ai campi di concentramento; naturalmente chi poteva fuggiva all’estero (è il caso di Schönberg e Kurt Weill). La musica jazz, in quanto di «origine negra», subiva un’inflessibile censura. Anche i compositori modernisti tedeschi avevano vita grama, vedendosi sostanzialmente tagliati fuori dalla vita musicale nazionale. In particolare gli allievi di Schönberg venivano presi di mira dal regime: la musica di Webern è stata letteralmente messa al bando, la première della suite sinfonica dalla Lulu di Berg si è tramutata in una sommossa e la musica del compositore per tutta la durata del Terzo Reich semplicemente è scomparsa. Una sorte analoga lo accomuna al collega Paul Hindemith, nonostante un iniziale apprezzamento da parte del partito, che mirava ad ammetterlo nei ranghi della buona musica per vantare un compositore di elevato prestigio.

I compositori modernisti stranieri, invece, avevano un destino meno definitivo, anche per ragioni di diplomazia. Stravinskij, che pure era colpito esplicitamente dalla mostra di Ziegler (una delle sezioni era dedicata esclusivamente a lui), grazie anche al proverbiale fiuto per gli affari, ha sempre trovato il modo di farsi eseguire regolarmente in Germania per tutti gli anni ’30 e facendosi addirittura spedire i diritti d’autore direttamente alla propria residenza di Parigi. Bartók, che pure era notoriamente avverso al nazismo e rispondeva ai canoni del modernismo di cui erano tacciati i colleghi tedeschi, non è mai stato incluso nella musica degenerata in quanto ungherese e l’Ungheria era un prezioso alleato della Germania, cosicché la sua musica poteva continuare a circolare nelle sale da concerto tedesche. Bartók è stato anche uno dei pochi musicisti non tedeschi a schierarsi apertamente contro la mostra di Ziegler: dopo aver scoperto con gran stupore di non far parte dei musicisti degenerati, chiese perché non fosse assieme ai suoi amici Berg e Weber.


 

 

 
 
 

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