L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Fra Nozze e Matrimonio

di Luca Fialdini

Alcune riflessioni sul confronto fra Le nozze di Figaro di Mozart e Il matrimonio segreto di Cimarosa.

Quando si pensa al teatro musicale della seconda metà del XVIII secolo, di certo il primo nome che affiora alla mente non è forse quello di Domenico Cimarosa: naturalmente l’amato Mozart, ma anche lo stesso Salieri, Haydn, Paisiello o Cherubini, per non fare che degli esempi. Va però sottolineato che il compositore di Aversa fu particolarmente abile nell’inserirsi nel tessuto sociale del Settecento fin de siècle, un contesto veramente complesso e agitato da continui mutamenti, soprattutto in una cornice come quella di Vienna; abile lo fu più di Mozart, che con Le nozze di Figaro causò più di una scossa alle parrucche asburgiche, mentre il medesimo titolo riscosse grande successo a Praga. La domanda da porsi a questo punto è in cosa divergano il Burgtheater e il Teatro degli Stati Generali. La risposta è scontata quanto la domanda: Figaro suona sul suo chitarrino una canzone rivoluzionaria che preannuncia senza mezzi termini lo sgretolarsi dell’aristocrazia in favore dell’affermazione della borghesia di cui lui e Susanna sono i rappresentanti, senza contare che il Conte d’Almaviva (il rappresentate del ceto nobile) in quest’opera non fa una bellissima figura dato che prima decreta la cancellazione dello jus primae noctis, salvo poi ripensarci nella speranza di mettere le mani su Susanna. È inevitabile che un ambiente eminentemente aristocratico storca il naso davanti a una proposta del genere.

Tuttavia accade un evento sorprendente: ancora al Burgtheater, sei anni dopo la prima di Nozze e due mesi dopo la morte di Mozart, il 7 febbraio 1792 la prima del Matrimonio segreto di Cimarosa è un successo travolgente, circostanza favorita dalla firma da parte di Leopoldo II di un'alleanza difensiva con la Prussia contro la Francia rivoluzionaria. Va detto che Cimarosa tenne in gran conto proprio l’imperatore nella stesura del primo titolo per il teatro nazionale dopo la nomina a maestro di cappella, adeguandosi alle linee guida della corte: nulla che potesse offendere i nobili astanti (come la pungente critica sociale di Mozart, ad esempio), nulla di argomento politico, nel caso si tratti di commedia limitarsi a delle ben educate frivolezze e un bell’happy ending a chiudere la serata. Nella stesura del Matrimonio compositore e librettista – il nuovo poeta cesareo dopo la caduta di Da Ponte, Giovanni Bertati – rispettarono diligentemente tutti i parametri, ma il dato da sottolineare è quanto questo titolo abbia in comune con le poche tollerate Nozze di Figaro pur riscuotendo un successo infinitamente maggiore.

L’argomento matrimoniale accomuna le due opere ma questa similitudine è solo superficiale, dato che in ambito comico il contesto nuziale all’epoca era un topos fortemente radicato. Una prima analogia interessante è costituita dall’intreccio: Paolino e Carolina si sono sposati in gran segreto e all’insaputa di tutti, quindi non possono vivere appieno il proprio amore; nel frattempo giunge nella casa di Geronimo (padre di Carolina e padrone di Paolino) il Conte Robinson cui è promessa in sposa la figlia maggiore di questi, Elisetta. Tuttavia, quando il Conte vede Carolina, s’innamora perdutamente di lei e da qui nasce una lunghissima serie di equivoci e situazioni buffe che conducono all’inevitabile lieto fine. Dunque sia nelle Nozze sia nel Matrimonio abbiamo una coppia di borghesi dove la donna è oggetto di interesse da parte di un Conte che quindi innesca l’inizio dello sviluppo drammaturgico, dove la borghesia ordisce le sue trame coinvolgendo l’aristocrazia. Esistono persino alcune specifiche situazioni identiche nelle due opere, come la donna matura che spasima per il giovanotto – Marcellina per Figaro e Fidalma per Paolino – oppure il meccanismo di accumulazione dei personaggi a fine atto, in cui si concentrano i nodi delle scene precedenti tanto caro a Lorenzo Da Ponte o ancora nel tutti del finale del ultimo in cui i due libretti sono davvero molto molto vicini («Già contenti tutti siamo!»). Al di là dei vari topoi e delle situazioni ricorrenti nel teatro dell’epoca non è ingenuo sottolineare che esistano numerosi punti di contatto fra i due titoli sul versante librettistico; tuttavia anche nella partitura di Cimarosa è facile riscontrare dei precisi riferimenti mozartiani: quelli più evidenti sono l’incipit dell’ouverture che nel disegno melodico ricorda molto da vicino la celeberrima ouverture delle Nozze e l’introduzione strumentale del duetto "Io ti lascio perché uniti", una citazione esplicita del soggetto della fuga dell’ouverture del Flauto magico (andato in scena per la prima volta meno di quattro mesi prima).

In breve, gli antecedenti mozartiani sono tangibili in un titolo che ha avuto molta più fortuna di altri dello stesso autore; la motivazione ha diversi fattori, due più importanti degli altri: uno è il caso di una congiuntura politica favorevole, l’altro è l’intelligenza di Cimarosa di dare al pubblico quel che voleva. Il matrimonio segreto è un intrattenimento di disimpegno, all’interno del quale il compositore e il librettista giocano la carta vincente rappresentata dal personaggio del Conte. Il Conte Robinson per certi versi è simile al Conte d’Almaviva essendo entrambi stranieri, rispettivamente uno inglese e l’altro spagnolo, del medesimo rango, ritratti con connotati da personaggio buffo (Almaviva però solo in parte), entrambi cambiano idea su una promessa stabilita ed entrambi sono colpevoli di portare scompiglio in una situazione altrimenti quieta. Ciò che conta, però, sono le due grandi differenze fra questi e cioè il fatto che, mentre Almaviva è sposato, Robinson non ha ancora contratto alcun legame del genere, pertanto Robinson assume una connotazione assai migliore del collega, ma ancor più di questo conta il finale dell’opera. Nelle Nozze di Figaro la condotta del Conte d’Almaviva porta a una situazione di tensione che si scioglie solo grazie all’intervento – a tutti gli effetti salvifico – della Contessa, mentre il Il matrimonio segreto giunge a una situazione tanto ingarbugliata che nessuno dei personaggi ha la minima idea di come sbrogliarla. Nessuno ad eccezione del Conte, che nel finale dell’opera agisce da autentico deus ex machina con queste parole:

«Ascoltate un uom di mondo,
qui il gridar non fa alcun frutto:
ma prudenza vuol che tutto
anzi s’abbia d’aggiustar.
Il mio amor per Carolina
m’interessa a suo favore.
Perdonate a lor di core,
ch’io Elisetta vo a sposar».

Con questa soluzione Bertati e Cimarosa non solo pongono la nobiltà sotto la miglior luce possibile, ma attestano anche il primato della nobiltà e della dipendenza della borghesia da questa. Cimarosa incorona l’aristocrazia, tanto saggia da saper vedere oltre il proprio desiderio particolare per il benessere della popolazione, tanto illuminata da riuscire a vedere la soluzione che era fuori dalla portata dei borghesi.


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