Bacchette e solisti all'ombra della Mole
Una riflessione sugli interpreti più interessanti dei concerti (ma con un occhio anche all'opera) nelle stagioni torinesi
Tra i nuovi solisti ascoltati a Torino durante questo 2022, primo anno di vera effettiva ripresa a 360 gradi dell’attività concertistica, a colpire per primo è Valeriy Sokolov, ucraino classe 1986, ascoltato a gennaio sotto la bacchetta del valido Valčuha in un Concerto di Khachaturian di notevole impegno, dove emerge per suono terso, pungente, teatrale. Altro debutto di vaglia è quello di Alexander Gadjiev, nato in Italia da genitori russi. Nello Chopin del secondo concerto, e nei due bis sempre chopiniani, lascia intravedere una sensibilità acuta accanto a una tecnica impeccabile.
Il talento di Julian Rachlin, nel concerto K 216 di Mozart, è fuori discussione e il suo violino intenso e vibrante come pochi altri. Nella stessa serata di maggio in cui ospite è Rachlin, registriamo lo sfolgorante esordio all’auditorium Toscanini, di Andrés Orozco-Estrada, che potrebbe essere una prossima blue chip della direzione: l’abbiamo visto passare senza la minima difficoltà, e con un controllo del tempo, del timbro e del fraseggio magistrali, dal Weber di Euryanthe allo Strauss di Don Juan e Rosenkavalier.
Arruolata in extremis dopo la defezione del previsto interprete, Mariangela Vacatello, dà una personale e convincente visione del Concerto in la minore di Schumann, evergreen che si crede di conoscere a fondo ma nondimeno capace di rivelare, sotto dita attente e premurose, sottigliezze nascoste tra le pieghe della sua natura in bilico perenne tra intimità e lotta spirituale.
Passando ai direttori d’orchestra , confermano la meritata fama internazionale due nomi del calibro di Fabio Luisi e Juraj Valčuha. Il primo ha offerto nel corso dell’anno con l’Orchestra Sinfonica Nazionale, di cui è direttore emerito, un’entusiasmante Quarta di Bruckner, un elettrizzante Aus Italien di Richard Strauss e una superba Seconda di Mahler, grandiosa inaugurazione della presente stagione 2022/23; il secondo, ha dato prova della propria versatilità ad ampio spettro: non solo Nielsen, Ravel, Sibelius, Britten e Bartók alla Rai, con un Mandarino meraviglioso da manuale, ma anche Nino Rota e Leonard Bernstein nel concerto del 15 luglio per il Regio Opera Festival concluso ancora nel nome di Ravel con un Bolero memorabile.
Sempre una garanzia è James Conlon, ex direttore principale dell’OSN, tornato di recente a Torino per dirigere due importanti sinfonie di Šostakóvič quali la Quarta, probabilmente il vertice della sua opera, e la Decima, con un’esecuzione di riferimento che potrebbe stare senza problemi accanto a quella delle più titolate orchestre al mondo.
Robert Trevino, direttore ospite principale ha invece presentato con il consueto smalto timbrico lavori di notevole respiro e organico, spesso fuori dal repertorio più battuto: Manfred di Čajkovskij, la Sinfonia n. 1 di Edward Elgar, con incursioni nel contemporaneo del compositore triestino Fabio Nieder (Danza Lenta di C.S. fra gli specchi, opera misteriosa e affascinante) e del Concerto per tromba di Brett Dean con solista uno strepitoso, e non è una novità, Håkan Hardenberger.
E’ ancora in parte da decifrare la figura di Alpesh Chauhan. Il giovane maestro inglese si è distinto in una lettura convincente con un incursione nell’insidiosissimo territorio della seconda scuola di Vienna, soprattutto quello meno radicale: Webern con la Passacaglia op. 1, Berg con il Concerto per violino In memoria di un angelo, affiancato dalla brava solista Veronika Eberle, trentacinquenne di non scontata maturità. Di livello meno raffinato è stata invece la direzione di Chauhan della Quinta di Prokof’ev, che ci ha richiamato una non entusiasmante Quinta di Šostakóvič pre-covid. Con gli autori russi, altro campo minato per un giovane direttore, oltre allo studio è anche questione di istintivo feeling. O c’è o non c’è. Qui, nonostante l’innegabile impegno e preparazione, l’ impressione è che non ci sia.
Encomiabile infine è l’impegno dell’istituzione nel promuovere in maniera crescente il repertorio moderno e contemporaneo, non solo con incursioni nel secondo Novecento con autori ormai assimilabili ai classici ma proponendo, anche al di fuori dei concerti espressamente dedicati sotto la bandiera ‘Rai Nuova Musica’, pezzi di recente scrittura accanto ai capolavori del passato. Oltre ai già citati Fabio Nieder e Brett Dean, nomi come Riccardo Panfili e Ramon Lazkano lasciano intendere che anche oggi, per fortuna, è possibile pensare a un certo tipo di musica come espressione riuscita della contemporaneità.
Di elevato standard come da tradizione è stata l’edizione 2022 MiTo Settembre Musica. I pianisti passati sotto i riflettori della rassegna, molti dei quali provenivano da casa nostra, sono la dimostrazione che in Italia, nonostante spesso ci si lamenti del livello dell’istruzione musicale, sopravvivono una scuola e una tradizione di primo ordine. Semmai il problema riguarda solisti di eccezionale spessore artistico e culturale che vengono talvolta messi in ombra dal fenomeno mediatico di turno.
Filippo Gamba, con il suo tocco caratterizzato da profondità ed eleganza, ha colpito il pubblico con una bella selezione dedicata a Brahms, così come Roberto Prosseda, autore di una prestazione a dir poco trascinante, si è esibito con un programma tutto Mendelssohn comprendente pagine celebri e meno note del musicista tedesco. Un tocco di sana, temeraria pazzia deve aver contagiato Maurizio Baglini, che ha acceso la sala suonando per intero la trascrizione di Franz Liszt della Nona di Beethoven. Anche Gloria Campaner si conferma esecutrice intelligente e capace di leggere le minime sfumature del testo chopiniano, sia pur con esiti diseguali (meglio nei valzer, mazurche e notturni che nell’integrale dei preludi dell’op. 28).
Ancora influenzata dalla difficile ripartenza post covid e dai cambiamenti nella struttura direttiva, la stagione del Teatro Regio ha offerto a febbraio una buona Bohème, avvalendosi di una scenografia molto tradizionale basata sugli storici bozzetti preparati da Hohenstein per la prima del 1896, sotto la direzione sicura dello specialista Pier Giorgio Morandi e con una compagnia dove ad emergere era in primo luogo il Rodolfo del trentenne ucraino Valentin Dytiuk.
A onore del massimo teatro subalpino va la ripresa, a maggio, di un titolo quale La Scuola de’ gelosi di Antonio Salieri, che si pone nella scia delle gradite riscoperte di opere un tempo celebri e poi scivolate nell’oblio di cui il Regio, nelle ultime stagioni, va gratificando il suo pubblico in almeno una o due occasioni l’anno. Lo spettacolo si è avvalso di un cast preparato e godibile, diretto da Nikolas Nägele, su cui spicca il quartetto dei protagonisti (Elisa Verzier, Carolina Lippo, Askar Lashkin e Omar Mancini), cantanti giovani e passibili di crescita ma capaci di una prestazione maiuscola in un’opera non facile.