L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Spigolature di un teatro vivo

di Luca Fialdini

L’iniziativa su Facebook del Teatro Verdi di Pisa ai tempi del Coronavirus

L’emergenza COVID-19 e il relativo protocollo di sicurezza hanno fortemente inciso su ogni aspetto del nostro stile di vita; la pandemia ha travolto il lavoro, gli affetti. E il teatro. La stagione lirica 2019/2020 di molti dei nostri teatri è stata spezzata, congelata in un senso di indefinita sospensione. È una situazione senz’altro nuova per la maggior parte di noi, dato che il precedente più vicino è la Seconda Guerra Mondiale (e persino all’epoca alcuni teatri rimasero aperti).

Esistono diverse iniziative per mantenere attivo il rapporto tra pubblico e teatro, la principale delle quali resta naturalmente la messa in onda televisiva - o la disponibilità in streaming - di rappresentazioni già avvenute. Una delle idee più originali è quella di Stefano Vizioli, regista teatrale e direttore artistico per le attività musicali del Teatro Verdi di Pisa: l’Alfabeto lirico - Spigolature in libertà. Si tratta di una serie di video, proposta sulla pagina Facebook del Teatro, ognuno dedicato a una lettera dell’alfabeto, dalla A alla Z; sono protagonisti di ogni “puntata” tre titoli operistici, che abbiano per iniziale proprio quella lettera. Si passa così da Aida a Les Boréades, dal Comte Ory al Don Giovanni, al Lohengrin, al Nabucco, alla Quacquera spiritosa e oltre, una caotica e frizzante storia del teatro musicale vista attraverso titoli più o meno noti (talvolta anche gustosamente sconosciuti), i loro compositori, gli interpreti, insomma attraverso chi ha reso il teatro vivo.

È lo stesso Vizioli a parlarci di questo progetto e di quali siano le motivazioni che l’hanno portato alla realizzazione: «L’Alfabeto lirico - ha spiegato il direttore artistico - nasce da due presupposti: l’esigenza di tenere vivo il rapporto con il pubblico di Pisa e la necessità etica di lanciare un segnale, che il teatro non si è fermato, che esistono delle nuove necessità alle quali dobbiamo adeguarci. Possiamo (e dobbiamo) andare avanti con internet e le messe in onda in televisione, ma è anche vero che un continuo bombardamento di produzioni può portare alla saturazione; abbiamo bisogno qualcosa che vada oltre la riproduzione passiva di uno spettacolo, abbiamo bisogno di un rapporto personale e intimo, mettendoci la faccia se necessario. Questa è l’idea di base dell’Alfabeto, che si articola in ventuno puntate (siamo giunti adesso alla diciassettesima) di 20-25 minuti l’una: ho deciso di utilizzare solo le lettere dell’alfabeto italiano, escludendo quindi K, J, W, X e Y, che andranno a costituire poi una puntata a parte».

Come messo in evidenza dal sottotitolo della “serie”, non si tratta di lezioni o di episodi monografici, ma di spigolature a tema lirico condotte con garbata informalità, un invitante buffet per chi ha fame di teatro e di musica. La natura poco abbottonata del format sta nella sua stessa origine. A questo proposito, Vizioli ha affermato: «Mi piaceva l’idea di dare un vago ordine. Ho scelto l’idea dell’alfabeto perché, per un paradosso, si riallaccia a un gioco che facevo con mia nonna: ci mettevamo lì, proprio con le lettere dell’alfabeto, trovavamo un filo logico (ad esempio, le donne nell’opera lirica, da Aida, a Berta, a Carmen, ecc.) e facevamo a gara a chi finiva prima. Mentre coltivavo questa idea pensavo “chissà se seguendo questa tradizione non posso giocare con anche con gli spettatori!”».

Dato lo spirito informale e giocoso della serie (per ammissione dello stesso Vizioli «non sono lezioni ma pillole di scoperte»), la scelta dei titoli spazia davvero molto non solo per ampliare i confini del repertorio di cui parlare, ma anche perché parlare in venti minuti dei grandi titoli è davvero poco utile. È invece assai più interessante solleticare la curiosità dello spettatore, stimolarlo ad approcciare le opere di Rameau, il Donizetti meno rappresentato, i titoli di Wolf-Ferrari e di Adams, accanto alle colonne del repertorio (l’Orfeo monteverdiano, l’Evgenij Onegin, il Don Carlos, il Don Pasquale e il Barbiere di Siviglia, per non fare che degli esempi).

Al di là delle facezie e della natura di raffinato divertissement, quello del Teatro di Pisa e del suo direttore artistico è un atto dal forte impatto che significa: noi esistiamo, siamo una realtà viva, non abbiamo abbandonato né la città, né il pubblico.


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