L’Ape musicale

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Il programma di questo concerto è composto da forme che adottano la variazione come sistema generatore della musica. Le nostre variazioni cambiano l’immagine e il suono di queste composizioni, originalmente concepite per cembalo, cembalo a pedali e organo. La scrittura originale permette l’adattamento a soluzioni strumentali assai diverse: violino e basso continuo, nel caso dell’Aria variata alla maniera italiana BWV 989, scrittura a quattro parti adattata per le quattro parti di un gruppo d’archi, per la Passacaglia BWV 582 la Canzona BWV 588 e gran parte delle Goldberg-Variationen BWV 988. Soluzioni cameristiche di diverso peso sono state adottate invece per i canoni delle Goldberg ed altre variazioni.

Nessuna pretesa di ortodossia in quello che ascolterete. Piuttosto un divertissement, un sottile piacere intellettuale, vissuto durante un anno di gestazione e realizzazione del progetto. In realtà non sono il primo ad arrivare all’idea di arrangiare le “Goldberg-Variationen” per un insieme di archi: Dimitri Sitkovetsky ne ha realizzata anni fa una versione per trio d’archi e Bernard Labadie, ancora prima, una per orchestra d’archi.

Aver preso le Goldberg e altre composizioni a soggetto per una trascrizione per un grande organico sembrerebbe una forzatura. In effetti la scrittura delle Goldberg è alquanto disomogenea (le altre opere in programma presentano una scrittura più regolare) e a volte, clavicembalisticamente parlando, estremamente idiomatica. La seria di canoni è (quasi) invariabilmente a 3 parti. Alcune variazioni sono a quattro parti, altre a due parti. Altre invece si sviluppano su una polifonia numericamente irregolare. Non potendo rintracciare quindi un “perché” specifico che quindi giustifichi l’operazione, l’unico argomento rimane quello della sfida intellettuale e tecnica.

Il resto del programma ha presentato minori complessità di elaborazione. 

La Passacaglia è stata trasposta un tono sopra, nella ben più risonante tonalità per gli archi di re minore; analogamente l’Aria BWV 989, trasposta un tono sotto. La Passacaglia, (quasi) costantemente concepita a quattro parti, si adatta magnificamente alla scrittura orchestrale che sottolinea il carattere di danza che in fin dei conti una Passacaglia dovrebbe avere. 

La Canzona è stata trascritta letteralmente. 

L’Aria torna a un presunto modello italiano di origine, violino e basso continuo.

Ma non si creda che imprese del genere siano degli “affronti” moderni e ingiustificati. Illustri esempi invece ne abbiamo, numerosi: a partire dalle fughe selezionate dal “Clavicembalo ben temperato” e trascritte da Mozart per quartetto d’archi (K 404a e K 405). La lista arriva ai giorni nostri con le monumentali trascrizioni di Elgar, Stokowski, Schoemberg, Webern, solo per citarne alcuni. Il primo della lista ad essersi cimentato con simili imprese, poi, è Bach stesso, che mise mano a numerose sue composizioni (la Messa in si minore ad esempio, che fu sede di numerosissime rielaborazioni di opere precedenti; numerosi movimenti tratti dai Concerti Brandeburghesi e variamente rielaborati in alcune cantate; la versione tedesca del Salmo 51 messo in musica adattando la partitura dello Stabat Mater di Pergolesi), variandone gli organici fino ad arrivare a spettacolari trascrizioni sulle quali regna quella del Preludio e Fuga in la minore per cembalo BWV 894, trasformato nel cosiddetto Triplo Concerto per flauto, violino, cembalo e archi BWV 1044.

La mia idea di partenza è stata quella di realizzare una versione che presentasse comunque aspetti strutturali ortodossi e coerenti con una idea storica di scrittura strumentale. Quindi i canoni e alcune variazioni sono stati realizzati come movimenti di musica da camera per due strumenti e basso continuo (variazioni 3, 6, 9, 12, 15, 18, 21, 24), oppure per due strumenti senza basso (variazioni 11, 17 e 27). La sfida è stata quella di realizzare il resto delle variazioni attraverso una scrittura omogenea e completa a tre o quattro parti, concepita per un gruppo d’archi e basso continuo. È stato quindi necessario completare la scrittura irregolare di molte variazioni, aggiungendo linee o esplicitando la polifonia stenografata nella scrittura clavicembalistica. La variazione 1 è stata completata a quattro parti reali, così come la 5, la 8, la 14, la 20, la 23, la 28 e la 29. Alla variazione 7 è stata aggiunta una voce intermedia che permettesse di giustificare l’uso della voce grave in funzione di bassetto. L’ouverture alla francese nella variazione 16 è stata completata a 4 parti reali, così come la fuga per lo più a 3 parti è stata completata a 4 parti reali. In particolar modo la variazione 20 è quella che ha richiesto un adeguamento della scrittura, almeno in parte, alle possibilità di una esecuzione d’assieme con un gruppo di archi. Un’operazione che ha confinato obbligatoriamente con l’arbitrario, nei casi in cui è stato necessario completare la trama contrappuntistica per realizzare quattro parti complete e indipendenti. Molto spesso la scrittura di Bach ha indotto una quantità non trascurabile di procedimenti canonici (evidentissimi nella variazione 8), insiti nella scrittura e rimasti incompiuti per la ovvia impossibilità fisica delle mani a realizzare una tale complessità. Le formule, soprattutto le più brillanti, risultano spesso essere al limite d’esecuzione per uno strumento ad arco (variazioni 14, 20 e 26). 

Ne consegue la possibilità di ri-ascoltare la polifonia delle Variazioni Goldberg (così come il resto del programma), aiutati dalla ricchezza timbrica di un gruppo di archi, ricchezza che isola le singole linee e, al tempo stesso, ricrea l’unità contrappuntistica, evidenziandone ancora di più la straordinaria ricchezza e inventiva.

Rinaldo Alessandrini


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