L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Oscure passioni

 di Francesco Bertini

La Violetta temperamentosa di Maria Katzarava chiude la stagione lirica patavina al fianco dell'Alfredo di Paolo Fanale e del Germont di Franco Vassallo. Direzione nerboruta di Eduardo Strausser e regia discontinua di Paolo Giani su un impianto essenziale ereditato da Stefano Poda.

PADOVA 27 dicembre 2015 - Chiude la stagione lirica padovana una nuova edizione di Traviata, subentrata, quasi last minute, all’annunciata Aida coprodotta con il Sociale di Rovigo, il Goldoni di Livorno e il Verdi di Pisa. Non si tratta però di una ripresa della messinscena firmata, sempre per la città del Santo, da Denis Krief qualche anno fa ma di un nuovo allestimento approntato da Paolo Giani il quale si occupa di regia, scene, costumi e luci.

Il giovane Giani impiega sostanzialmente tre colori, riassuntivi del binomio amore/morte: il bianco, il nero e il rosso. Le scene sono costruite su alcuni elementi fondamentali, approntati anni or sono da Stefano Poda per il suo Rigoletto. Le tinte, prevalentemente scure e tetre di quella produzione, trovano nuova forza in questa Traviata che, per certi versi, appare suggestiva. Le linee marcate e l’eleganza geometrica di taluni impianti scenici, basati sulla pedana rotante ereditata da Poda e su schematici arredi stile Ikea, rendono l’azione scorrevole e fluida. La sobria essenzialità della casa di campagna, nel secondo atto, è colta nella semplicità dell’arredo e nell’efficace definizione resa dagli imponenti tendaggi bianchi, illuminati dal disegno luci che, purtroppo, nel resto dello spettacolo non conserva la medesima intensità. L’aspetto registico, al contrario, risulta discontinuo. Giani caratterizza superficialmente i personaggi, così ben definiti da libretto e musica. È tenuta più in considerazione la traccia oleografica, ottenuta dal movimento delle masse, che un personale e intuitivo apporto alla definizione del dramma. Cura le insolite e surreali coreografie Nicoletta Cabassi, danzatrice e performer di formazione classica e contemporanea.

L’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta serra i ranghi attorno al giovanissimo concertatore sudamericano Eduardo Strausser, direttore stabile al Theatro Municipal de São Paulo, che offre una lettura vibrante, fin troppo proiettata alla valorizzazione delle dinamiche muscolari e delle agogiche repentine. La sua visione nerboruta della partitura premia solo alcuni caratteri del linguaggio verdiano, mentre sottrae attenzione, spesso, all’accompagnamento delle voci. Vi è un’evidente carenza d’anima e, soprattutto, un’incapacità di cogliere l’essenza drammaturgica, affossata sotto un’antiquata concezione routinière. Il Coro Li.Ve, preparato da Dino Zambello, opera al meglio delle proprie potenzialità.

L’intensa attività del soprano messicano Maria Katzarava si snoda attraverso una rosa di titoli che vanno dalle desuete La muette de Portici, Il duca d’Alba, L’amico Fritz, alle più popolari La bohème, Carmen, Turandot, Manon, Roméo et Juliette. Al cospetto dello sfaccettato ruolo di Violetta Valery le doti interpretative sono di prim’ordine: la presenza scenica è sanguigna, vibrante, incandescente ed efficace, anche di fronte alla disfatta finale. Riguardo l’esecuzione musicale si notano alcune difficoltà nella zona grave, probabilmente causate da una certa ariosità nell’emissione, e taluni problemi d’omogeneità ma la sua prova, con sicuro margine di miglioramento, merita un plauso per l’apporto personale, la tempra e la spavalderia dimostrata anche innanzi ai passaggi più impervi.

Non è alla stessa altezza Paolo Fanale che, al debutto nei panni di Alfredo Germont, sconfina dal suo repertorio d’elezione ottenendo risultati, al momento, poco lusinghieri. Il tenore, reso come un giovanotto moderno avvezzo alle abitudini della vita mondana, fatica a trovare una sua dimensione nello stile verdiano che richiede una certa tempra, qualche tratto sanguigno e qualità foniche più marcate. La prova offerta dal cantante palermitano è tutta incentrata sulla naturale luminosità del timbro ma l’emissione, difficoltosa nell’ascesa del pentagramma, tende a dare scarso rilievo al fraseggio e risulta poco aderente al personaggio e a una sua, pur superficiale, definizione.

Il veterano Franco Vassallo è un Giorgio Germont monolitico e scenicamente un po’ sommario. La sua interpretazione verdiana piace molto al pubblico per lo slancio granitico, memore delle tradizionali e rassicuranti consuetudini. Pur possedendo la sicurezza derivante dall’esperienza e dall’aderenza, abbastanza riuscita, col personaggio, si notano frequenti sbavature nell’intonazione e una resa poco sfumata dell’anziano genitore. La sicurezza con cui il baritono porta a termine la recita giova, nel complesso, alla buona riuscita della sua prestazione.

Tra i numerosi personaggi che ruotano attorno al terzetto principale, sono apprezzabili le prove di Gianluca Lentini, solido Grenvil, e William Corrò, Barone Douphol. Nonostante il regista la voglia quasi costantemente in scena, la vena ironica e la verve consueta di Giovanna Donadini sono sacrificate nei panni di Annina. Più approssimativi gli altri: Alice Marini, Flora Bervoix, Rodrigo Trosino, Gastone, Matteo Ferrara, Marchese d’Obigny, Antonio Vitali, Giuseppe, Mirko Quarello, domestico di Flora, e Federico Cavarzan, Commissionario.

Pieno e sonoro il successo finale per tutti gli artisti, con punte per Katzarava, Vassallo e Strausser.


 

 

 
 
 

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