L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Vortice e contegno

di Luigi Raso

Al Musikverein di Vienna, Jakub Hrůša sul podio dei Wiener Philharmoniker ed Evgenij Kissin solista al piano danno vita a un concerto memorabile.

VIENNA, 27 novembre 2022 - Spesso la chiave di lettura di un concerto si nasconde nel finale e stavolta occorre iniziare a raccontare la fine per giungere al principio. Ed è un autentico trionfo quello decretato dal pubblico del Musikverein di Vienna a Jakub Hrůša a termine del concerto alla guida dei mitici Wiener Philharmoniker: un tripudio di ovazioni, applausi fragorosi e prolungati, chiamate alla ribalta per il direttore ceco. Successo meritatissimo, che appare, nell’esplosione di entusiasmo del pubblico, una liberazione tumultuosa di quella dell’energia emotiva che si è accumulata nel corso della mattinata musicale.

Il programma del concerto domenicale dei Wiener Philharmoniker (si inizia alle ore 11 precise) parte dalla tormentata e rapsodica Ouverture da concerto op. 93Othello di Antonin Dvoràk, terzo tassello di un Trittico di ouverture per grande orchestra scritto dal compositore boemo tra il 1891 e il 1992.

Jakub Hrůša e i Wiener Philharmoniker si immergono nella descrizione musicale della personalità di Otello e Desdemona, della loro storia d’amore incrinata e annientata dalla gelosia, con un’energia espressiva che avvinghia l’ascoltatore: dopo le meditabonde battute iniziali, l’ouverture prende forma in un vortice di sensazioni e sentimenti, il cui rincorrersi dei temi è scolpito da Hrůša e dai Wiener Philharmonikercon un fraseggio incisivo, irruento, una dinamica tesa, che brucia il discorso musicale.

A dominare l’interpretazione è una forza espressiva innervata da un fraseggio variegato, ricco di accenti, scattante; l’eloquio è marcato, perentorio, soggiogato dall’incandescente bellezza e intensità del suono dei Wiener Philharmoniker.

La direzione di Hrůša trasforma il suono in energia. E sì, ad ammantare di bellezza e intensità l’ouverture di Dvoràk c’è il mitico suono dei Wiener Philharmoniker: ora caldo e intenso, ora di velluto, dalla ampissima gamma di volumi e colori, capace di passare da un pianissimo sussurrato a un fortissimo deflagrante. È il gesto eloquente, scattante, a tratti nervoso, di Jakub Hrůša ad avere il dominio tecnico dei tantissimi pregi della mitica orchestra viennese: l’energia propulsiva e il flusso vitalistico del giovane Hrůša, così a proprio agio nella musica del connazionale Antonin Dvorák, invade i Wiener Philharmoniker, che sanno rispondere e ripagar da par loro le indicazioni del direttore.

Dopo i tumulti emotivi dell’ouverture Othello, tocca alla la tersa purezza del Concerto per pianoforte n. 23 in la maggiore K 488 di Wolfgang Amadeus Mozart rischiarare gli animi.

Al piano c’è Evgenij Kissin, subito in perfetta sintonia espressiva e interpretativa con Jakub Hrůša. Quello del solista è un tocco deciso, puro e limpido, che scandaglia nel profondo, nel corso dei tre movimenti di cui si compone il concerto, gli antri poetici e introspettivi della meravigliosa composizione di Mozart.

Se nell’Allegro del primo movimento a dominare è la luminosa bellezza dei temi e della preziosità della strumentazione, nell’Adagio centrale Kissin e Hrůša danno vita a un bozzetto di crepuscolare malinconia; è una tristezza composta, quasi trattenuta.

Kissin scandisce il tema iniziale con compostezza: una malinconia dove però non c’è spazio per la disperazione. E l’orchestra risponde con pastosi impasti timbrici (che meraviglia quello degli archi, clarinetto e flauti!) che danno la misura di quanto sia perfetta e contenuta quella dolorosa serenità che regna nel sublime adagio di Mozart.

Il tocco adamantino, nobile e tornito di Kissin quasi plana su un’atmosfera sonora vaporosa, cesellata nei colori orchestrali e nelle dinamiche fino al manierismo. Si resta sospesi, quasi storditi da questa apollinea poetica del dolore espressa da Mozart e interpretata con eloquenza semplice e genuina da Evgenij Kissin. L’incantesimo sonoro e interpretativo dell’Adagio è interrotto dall’irrompere dal tema brillante e virtuosistico dell’Allegro assai conclusivo, staccato da solista e direttore con un tempo deciso, incalzante.

Dopo i colori crepuscolari dell’Adagio, il dialogo fitto tra pianoforte e orchestra diventa un gioco vorticoso, rasserenato ed energico che dà vita a un movimento che trasuda di umorismo, vitalità e serenità riconquistata.

Evgenij Kissin è salutato da applausi così fragorosi e prolungati che non può esimersi dalla concessione di due bis: il primo è il Valzer in mi minore op. postuma di Fryderyk Chopin che consente a Kissin di sfoggiare il virtuosismo funambolico, la raffinata tecnica pianistica, il tocco incisivo sui quali ha fondato la propria quasi quarantennale carriera internazionale; il secondo encore è una breve gemma - dura poco più di un minuto - del repertorio pianistico, l’intimo e conciso nella forma Valzer in la bemolle maggiore, op. 39 n. 15 di Johannes Brahms, affrontato con Kissin “in punta di dita”, quasi con malcelato pudore.

Nella seconda parte del concerto tornano protagonisti assoluti i Wiener Philharmoniker e Jakub Hrůša: si ascolta il Concerto per orchestra (1954) di Witold Lutoslavski, partitura dal vasto organico strumentale, ispirata al folklore musicale polacco, e successivamente quasi rinnegata in ragione dell’adesione del compositore all’alea musicale.

I tre movimenti di cui si compone il Concerto di Lutoslavski (Intrada. Allegro maestoso; Capriccio notturno e Arioso. Vivace; Passacaglia, Toccata e Corale: Andante con moto – Allegro giusto – Poco sostenuto – Molto allegro – Presto) sono a loro volta sezionati, analizzati da Hrůša con microscopica precisione in ogni loro cellula musicale e strumentale, esaltati nel loro caleidoscopio di colori e atmosfere: il gioco di rimandi tra le prime parti della Filarmonica di Vienna e il tutto è di un nitore abbacinante.

Ma ad impressionare, oltre alla capacità di analisi della struttura musicale, è ancora una volta l’iniezione di energia dionisiaca che Jakub Hrůša pompa nella compagine orchestrale: è un soffio dionisiaco che si materializza in una crescente tensione drammatica che deflagra nel suono poderoso, tagliente e deciso dei meravigliosi ottoni; ma sono tutte le sezioni dei Wiener Philharmoniker a trovare nel Concerto i loro momenti di puro virtuosismo. Si pensi alla lunga e lugubre sezione affidata alla percussioni, al pizzicato possente dei contrabbassi e a quella trionfale, e conclusiva, nel corso della quale l’orchestra viene portata a un livello di volume tale da fa tremare le poltrone del Musikverein.

Al boato di suoni che chiude il Concerto per orchestra di Witold Lutoslavski segue quello di applausi, per Jakub Hrůša, più volte richiamato sul palco, per i meravigliosi Wiener Philharmoniker e per le sue prodigiose prime parti, molto impegnate nel concerto di Lutoslavski.

Si esce dal concerto ancora attoniti per l’intensità dell’interpretazione, sopraffatti dalla potenza sonora dell’ultima Passacaglia, Toccata e Corale del Concerto per orchestra, ancora una volta stupiti dal virtuosismo dei Wiener Philharmoniker, dal loro inimitabile e distinguibile suono, splendidamente riverito e custodito da una delle più antiche e pregiate tradizioni musicali del mondo. E poi resta lo spazio per una breve constatazione: quanto sono fortunati i romani a poter vantare Jakub Hrůša quale Direttore Ospite Principale dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia!


Vuoi sostenere L'Ape musicale?

Basta il costo di un caffé!

con un bonifico sul nostro conto

o via PayPal

 



 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.