L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il senso del Belcanto

di Luigi Raso

Incontriamo Lisette Oropesa per una chiacchierata a Napoli - in un bar del Borgo Marinari affacciato sul mare e sul Vesuvio, ai piedi del maestoso Castel dell’Ovo - all’indomani della prima dei Puritani al Teatro San Carlo. La serata (qui la recensione) si è conclusa con un grande successo personale per il soprano statunitense che ha aggiunto alla sua carriera un doppio debutto, nella parte di Elvira belliniana e al San Carlo, teatro consacrato al repertorio belcantistico, dove hanno dettato legge Rossini, Donizetti, e, seppur molto limitatamente, Vincenzo Bellini. Ed è proprio da alcune riflessioni sul repertorio belcantistico che è partita la nostra conversazione di cui vi diamo conto qui.

Qui a Napoli ieri ha debuttato con grande successo come Elvira nei Puritani di Bellini. Una parte che lei ha “corteggiato” da tempo (avrebbe dovuto interpretarla circa un anno fa, ma per una serie di circostanze, nel periodo post pandemico, il debutto è saltato). Inizierei la nostra conversazione proprio parlando delle caratteristiche tecniche e interpretative del ruolo di Elvira.

Le difficoltà tecniche della parte di Elvira sono presenti sia nei momenti di coloratura che in quelli più propriamente lirici. L’esordio in scena di Elvira è un duetto concitato, arrabbiato, con il basso. È un duetto che ricorda per certi versi quello di Lucia di Lammermoor con il fratello Enrico. La tessitura della parte di Elvira, comunque, tendenzialmente non è molto acuta, anzi alquanto bassa: per affrontarla al meglio, occorre che la voce sia ben “riscaldata”. “Son vergin vezzosa” ha molte colorature ed è molto acuta, ma, esclusa la polacca, la scena della pazzia tende al basso, anche se poi ogni soprano inserisce le variazioni, come da tradizione. La difficoltà della parte di Elvira, a mia avviso, sta nel trovare il giusto modo di conciliare ciò che è scritto con i propri limiti vocali. Mi spiego meglio. È difficile abbracciare 4 ottave di tessitura, Elvira è, poi, una parte molto lunga... Elvira non smette di cantare mai! Ma per affrontarla al meglio, occorre che la voce acquisti temperatura in modo graduale.

Personalmente apprezzo molto che le parti più acute siano all’inizio dell’opera; poi la tessitura scende. Certo, nel finale c’è il rondò, che noi soprani farciamo con variazioni, ma è un brano non scritto per una tessitura acuta. “Son vergin vezzosa” è molto difficile: è una vera e propria aria di coloratura. L’ho studiata per mesi e mesi, e non la sentivo mai comoda... è un’aria che arriva all’improvviso, a freddo! Così come è estremamente complicato per il tenore affrontare, alla sua entrata in scena, la cavatina “A te, o cara, amor talora”.

E dal punto di vista interpretativo quali sono gli aspetti del personaggio che vuole mettere in evidenza?

Elvira è un personaggio che attraversa, dall’inizio alla fine dell’opera, uno spettro di emozioni passa molto ampio. Secondo me la “pazzia” di Elvira è diversa da quella di Lucia: Lucia compie un omicidio nel diventare pazza. Elvira subisce, si sente tradita e impazzisce. È come dire che Elvira subisce la pazzia, mentre Lucia ha una parte attiva nella follia. Elvira, dopo la delusione, vive in questo stato di tristezza, in una percezione alterata della realtà; solo alla fine comprende che la realtà è diversa da come la immaginava. In questa produzione (in forma di concerto, n.d.r.) manca la regia, quindi noi cantanti dobbiamo trovare i suggerimenti nei colori, nelle parole, in modo da trasmettere emozioni al pubblico. Sto già immaginando cosa potrei fare in scena quando riaffronterò questa parte!

In effetti in scena, malgrado la forma concertistica, Lei ieri è stata molto partecipe, con sguardi intensi e una gestualità ben calibrata ed efficace.

Grazie!

Il repertorio belcantistico ha subito molti cambiamenti estetici negli ultimi 30/40 anni. E grandi cantanti americani hanno dato un contributo notevole per dar forma a una determinata estetica di Belcanto. Per lei cosa quali caratteristiche devono essere assolutamente presenti in questo tipo di repertorio? Per cantare Rossini, Donizetti e Bellini cosa non deve assolutamente mancare?

Sicuramente occorrono cura del legato, messe di voce, colorature, appoggio della voce sul fiato. Ma il Belcanto è un modo di cantare che deve esserci anche in Händel e Mozart. Belcanto è come si canta, non è soltanto uno stile; e non è, quindi, da associare solo a Rossini, Donizetti e Bellini, ma anche a Verdi, a Puccini. Nel repertorio belcantistico servono colori e espressione e, soprattutto, occorre saper trovare la ragione per eseguire ogni coloratura. La grande Renato Scotto, una delle mie maestre all’Accademia del Metropolitan Opera House, mi diceva sempre di “trovare una ragione per ogni frase, per ogni acuto, sovracuto, messa di voce, un piano, ecc”. Deve esserci sempre una ragione per eseguire tutto ciò. Posso affermare che per me è questo la caratteristica più importante del belcanto: trovare la ragione di ogni nota che emettiamo.

Lei è una star internazionale: è nata a New Orleans da genitori cubani; ha nel suo dna un melting pot di culture; ha dunque un punto di vista privilegiato d’osservazione sul mondo della lirica. Ritiene che ci sia ancora una differenza su come viene intesa la lirica, e il belcanto in particolare, nei vari continenti o c’è una globalizzazione anche dei gusti e delle tradizioni canore?

Sì, ci sono molte differenze tra i vari Paesi del mondo. Negli Usa, ad esempio, i teatri sono mediamente più grandi di quelli europei, quindi le voci devono necessariamente essere più grandi. Nei teatri più piccoli, invece, le voci possono essere più morbide. Quanto al repertorio belcantistico, penso - e di ciò mi dispiace, che il pubblico americano non apprezzi questo repertorio come qui in Italia. Per il pubblico statunitense il belcanto può anche...essere noioso. Apprezzano più Verdi, Puccini e Wagner. Negli Usa il belcanto è meno eseguito che in Italia. Quanto alla vocalità, alle caratteristiche vocali, le natura delle voci, per costituzione naturale e per influenza della lingua, sono molto diverse da Paese a Paese. Io sono americana, latina americana, e sono fortunata ad avere una solida storia di tradizione familiari di cantanti, quindi ho una caratteristiche vocali che riflettono il mio background familiare.

Lo spettacolo operistico è fruito diversamente dai vari pubblici?

Sì, c’è molta differenza anche dal lato degli spettatori. Ci sono pubblici più attenti a regie tradizionali e quelli che apprezzano maggiormente le regie più moderne e innovative. A New York le regie “moderne” non sono tanto apprezzate... in Europa sicuramente lo sono di più. Trovo che in Italia siete molto competenti d’opera! Ricordo che a Roma un tassista, nei pressi di Castel Sant’Angelo, mi domandò se conoscessi la Tosca e mi raccontò la trama!! Voi avete amore per l’opera, perché fa parte della vostra storia, della vostra cultura. Negli USA la lirica è importata, benché gli americani la amino e ne siano affascinati. Il pubblico statunitense si entusiasma molto, è caloroso; va con gioia all’opera e ama le voci!

Lei hai sempre seguito scelte di repertorio molto ben ragionate, calibrate sulle sue caratteristiche vocali: barocco, belcanto, musica francese, penso a Meyerbeer, Massent: quale evoluzione prevede per la sua vocalità? E quali parti vorrà affrontare un giorno?

Non penso che la mia voce potrà diventar più di un soprano lirico di coloratura. Oltre questo non credo che arriverò. Ho interpretato parti di Verdi, diciamo, più “leggere” come Rigoletto, Masnadieri, Traviata. Forse... forse nel futuro, potrei affrontare Luisa Miller, ma è tutto da vedere. Non voglio spingermi ad affrontare ruoli troppo pesanti:c’è tanto altro di bello da affrontare! Mi piacerebbe cantare La sonnambula, per esempio; rifare I puritani, dato che li conosco! Delle parti donizettiane, Maria Stuarda. Solo una regina, c’è un progetto in tal senso,ma vedremo! Roberto Devereux è troppo pesante per me. Poi c’è da dire che noi donne hanno ormoni che cambiano nel tempo: se tra dieci anni sarò una persona diversa, valuterò cosa potrò affrontare. Il nostro problema è che si invecchia! E da vecchi non si può cantare Gilda o Lucia, è bene lasciare spazio alle altre, alle più giovani. Non tutti i soprani diventano dei soprani lirici, drammatici, ecc. Io vorrei cantare per molto tempo!

E nuove parti di Rossini sono all’orizzonte?

Forse, in futuro, Mathilde da Guillaume Tell. Canterò Il turco in Italia a Madrid, opera che ho affrontato già molti anni fa. La parte di Fiorilla è complicata! Mi piacerebbe un giorno interpretare la Desdemona di Rossini.

A ottobre uscirà un CD proprio con arie di Rossini e Donizetti, con quattro arie in francese. Ho rifiutato per tre volte l’invito ad interpretare Adèle de Le Comte Ory: troppe fioriture, troppi sovracuti, senza momenti lirici, non è per me! Ah, mi piacerebbe cantare Le siège de Corinthe!

E altri ruoli, oltre a questi rossiniani?

A Savonlinna canterò in Roméo et Juliette di Gounod: è un debutto che non vedo l’ora di affrontare! E poi voglio continuare a cantare Manon di Massenet!

E poi, ad aprile 2023, Lucia di Lammeromoor, un parte a lei particolarmente cara, che affronterà alla Scala.

Sì! Per quella produzione eseguiremo la versione napoletana del 1835, nella quale la tessitura di Lucia è più alta rispetto a quella che tradizionalmente viene eseguita: “Regnava nel silenzio”, la scena della pazzia e il duetto con Enrico saranno eseguite nelle tonalità originarie che sono un tono più acute rispetto al consueto. Dovrò adattare la mia interpretazione, perché, con la tessitura più alta, anche il colore della voce sarà diverso; credo che non potrò eseguire le variazioni che canto solitamente, perché sarebbero eccessivamente acute. Vedremo quale cadenza sceglierà il maestro Chailly.

La mia cara amica Jessica Pratt canta la Lucia nelle tonalità originarie. Mi dice che Lucia è un ruolo “ascendente” nella tessitura, che nel corso dell’opera punta verso l’alto. L’appuntamento per questa Lucia di Lammermoor è per aprile alla Scala!

Quali sono i suoi modelli vocali?

Ascolto molto Maria Callas e Anna Moffo. Anche mia mamma ascoltava molto la Moffo. La Callas mi impressiona sempre per il modo in cui affrontava i personaggi e perché non aveva paura di rischiare per emozionare. Renata Scotto mi ha insegnato tanto, soprattutto per il belcanto. Poi c’è la Caballè... tanti, tanti modelli...

Devo, però, sempre fare attenzione a non imitare nessuno, altrimenti i miei maestri se ne accorgono subito! Ascolto, ma cerco di non imitare cosa fa un cantante. Imparo tanto da molti cantanti di oggi che sono bravissimi!

Lei è anche una sportiva: quanto influisce l’attività fisica sul benessere di un cantante?

Ogni attività sportiva, aerobica, aiuta molto quando sei in scena e sei tesa. Il battito cardiaco è più lento quando sei in forma e ciò aiuta a gestire meglio la tensione. Grazie all’attività fisica, dormo bene, non ho mai avuto problemi di reflusso. Certo, non bisogna stancarsi prima di andare in scena.

Lo sport mi dà gioia nella vita, mi aiuta ad essere felice. Non possiamo relegare le nostre vite alle attività teatrali. Il teatro ci assorbe energie e tempo; io ho bisogno di vivere anche al di fuori del teatro, anche per portare in scena le esperienze delle vita e per trasmettere emozioni. Se non vivi, non trovi le emozioni. Occorre viaggiare, incontrare amici, l’amore... queste cose sono importanti nella vita. Voi italiani, ad esempio, sapete tener distinti vita e lavoro, sapete godere di ciò che la vita vi offre. Gli americani, no: puntano più sul lavoro.

Il nostro lavoro è bellissimo, ma è stressante, dobbiamo soddisfare le aspettative del pubblico. Nel nostro lavoro si fanno molti sacrifici, che vengono ripagati dalla gioia di fare musica.

Usciamo da due anni di pandemia che hanno stravolto anche il mondo dell’opera: secondo lei, dalla crisi è rimasto qualcosa di positivo?

Non saprei... io non sono molto ottimista vedendo ciò che è successo. La pandemia ha lasciato molti conflitti in USA, ha acuito contrapposizioni rabbiose. Non so se il pubblico sia più o meno misericordioso verso i cantati rispetto a prima. Io mi sento più compassioned, avverto però più rabbia, anche da parte del pubblico. Ora apprezzo anche le cose piccole della vita che per molto tempo ci sono state vietate a causa delle restrizioni per la pandemia. Ma non dimentichiamoci che a causa della pandemia molti cantanti hanno perso il lavoro: è un peccato! Mi dispiace non essere tanto ottimista.

Sono contenta che sia passato, che il peggio sia dietro di noi, ma per il nostro mondo è stata una grande battuta d’arresto. Anche il pubblico è meno disposto a tornare a teatro. Anche a New York i teatri non si riempiono come prima: così anche a Broadway, al MET non si è tornati ai livelli di pubblico di prima della pandemia.

Ultima domanda: per chi volesse ascoltarla, quali saranno i prossimi impegni?

Dopo questi Puritani al San Carlo andrò in Giappone per dei concerti con il mio amico Luca Salsi. A novembre canterò in Alcina a Londra; a dicembre in Rigoletto a New York, e a gennaio ne I masnadieri a Monaco di Baviera; a marzo Hamlet di Thomas a Parigi e, ad aprile, Lucia di Lammermoor alla Scala. Al Teatro Real di Madrid, a maggio 2023, interpreterò Fiorilla in Il turco in Italia; poi debutterò come Juliette a Savonlinna a luglio.

Sono quasi tutte nuove produzioni!

La ringraziamo per il tempo che ci ma concesso, la disponibilità e gentilezza!

Grazie a lei e saluti all’Ape musicale!

Speriamo di rivederci presto!


 

 

 
 
 

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