L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La filosofia del pianoforte

di Luca Fialdini

Intervista doppia ai fondatori del festival PianoSofia Luca Ciammarughi e Silvia Lomazzi

Una fusione tra pensiero musicale e filosofico, performance e discussione: questa è l’anima di PianoSofia, il festival ideato e diretto da Luca Ciammarughi e Silvia Lomazzi. Una proposta meravigliosamente insolita nel panorama milanese in cui è nato ma anche in quello nazionale, tanto per la formula quanto per gli artisti coinvolti (alcuni dei quali di raro ascolto nelle sale italiane). In occasione della nuova edizione del festival i due fondatori hanno accettato di rispondere a qualche domanda non solo sulle origini di PianoSofia, ma anche sulla sua connessione con l’attualità e la sua posizione nel panorama artistico.

Quest’anno PianoSofia giunge alla terza edizione, come è nato il festival?

Luca Ciammarughi: «L’idea originaria di fondere musica e pensiero filosofico è di Silvia Lomazzi. Entrambi eravamo in contatto con la Casa degli Artisti di Milano, proprio nel momento in cui questo luogo storico della Milano novecentesca rinasceva a nuova vita. Abbiamo così pensato, sulla base di una conoscenza e stima reciproca di lungo corso, di unire le forze. Credo che l’inusuale situazione della “doppia” direzione artistica sia un esperimento interessante: le idee nascono dal dialogo e dal confronto, impedendo che a prevalere sia una singola volontà accentratrice.

Il nostro progetto ha immediatamente avuto il beneplacito del comitato scientifico della Casa degli Artisti, presieduto per la musica dal compositore Carlo Boccadoro. Era il 2020. La Casa degli Artisti riaprì i battenti, dopo decenni di oblio, pochi giorni prima che esplodesse il covid. Ci siamo trovati quindi a dover affrontare la prima edizione in piena pandemia: credo che il nostro sia stato l’unico festival musicale classico, in Italia, a vedere la luce in quel terribile periodo. In un momento in cui tutti dicevano che il mondo non sarebbe stato più lo stesso, e in una condizione terrificante per tutto il comparto del mondo dello spettacolo, siamo piuttosto orgogliosi di aver voluto fortemente la nascita di un festival che rivendicasse l’importanza della musica vissuta come pensiero, come approfondimento e riflessione. Forse per un meccanismo di autodifesa, gli italiani in quel periodo erano spesso impegnati a panificare in casa o a fare ordini online di beni materiali: è comprensibile, e anch’io l’ho fatto, ma non si può pensare di vivere senza quella componente di astrazione, di immaginazione e anche di sentimento che è fondamentale nell’arte - ma anche nell’esistenzatout court ».

Si può dire che nel panorama di Milano PianoSofia si presenti con delle caratteristiche uniche, perché la scelta di questo “taglio”?

Silvia Lomazzi: «Il festival PianoSofia è animato dal desiderio di comunicare la musica come ricerca esistenziale, come strumento di cura per l’anima, contro un nichilismo imperante; siamo in un momento storico difficile, la nostra società capitalistica è troppo orientata al puro materialismo. A PianoSofia cerchiamo di andare controcorrente, di sostenere i valori legati alla libertà di pensiero, alla concezione dell’uomo come portavoce di conoscenza assimilata attraverso l’esperienza che passa anche dalla dimensione corporea. Il musicista incarna proprio la parte artigianale, manuale e fisica così come la parte artistica e immaginativa, legata all’astrazione.

Il format di PianoSofia è un connubio di musica e parole, simbolicamente espresso dal nostro logo, un fenicottero rosa in un rapporto fusionale con un serpente.

Il fenicottero rosa abita più dimensioni, vive tra cielo, terra e mare, è un animale raro e delicato che ha bisogno di un ecosistema solidale; il serpente è simbolo di conoscenza, dall’oscurità riemerge verso la luce.

Una chimera, un sogno: il nostro lavoro di programmazione è animato da una forte carica utopistica che non ha nulla a che vedere con il mondo del profitto. È un lavoro ma è anche un gioco e un sogno da realizzare. Noi umani siamo animali visionari e abbiamo il desiderio di immaginare altrimenti, di proiettare il nostro mondo ideale legato a un senso condiviso, un senso collettivo verso la realizzazione della bellezza nell’arte e nel pensiero».

Dall’Austria alla Germania, dal pianismo alla musica vocale da camera, dal XIX secolo alla contemporanea: si può rintracciare un fil rouge nella proposta concertistica di questa edizione?

LC: « Non c’è unfil rouge vero e proprio: abbiamo voluto creare un festival libero dall’impostazione “a tema”, così come dall’ossessione per gli anniversarî, che spesso incarna un modo fin troppo facile di fare una programmazione. Poiché il festival ha già di per sé una specificità che lo distingue dagli altri - il fatto di unire musica e filosofia (o “pensiero” inteso come tutto ciò che dalla musica può scaturire in termini di lògos ) - abbiamo pensato di poterci concedere una certa libertà, anche in base all’antica nozione di varietas , portatrice di piacevolezza. Ci piace armonizzare personalità e repertori diversi e talvolta opposti, basandoci ovviamente sempre sull’alta qualità di interpreti e relatori.

È chiaro poi che, siccome esistono compositori che rivelano una maggiore densità semantica rispetto ad altri, qualche filo rosso vien fuori da sé: quest’anno per esempio avremo un consistente filone schubertiano, con due vasti capolavori comeWinterreise e l’ultima Sonata per pianoforte».

Qual è il rapporto tra i dialoghi (tra gli altri in questa edizione ne avremo uno sulla filosofia nietzscheana e uno sulle neuroscienze) e la componente musicale?

SL: «I dialoghi di PianoSofia si intrecciano ai programmi musicali interpellando pensatori, filosofi e psicanalisti sul loro rapporto autobiografico con la musica; coinvolgiamo diversi esponenti del mondo culturale per andare oltre la spiegazione in termini storiografici del concerto in programma; ognuno di loro dà un’interpretazione personale, uno sguardo cangiante sul prisma caleidoscopico dell’universo musicale.

Ogni appuntamento ha quindi una sua identità, che è una relazione scaturita tra il programma musicale, gli interpreti e i pensatori invitati.

È più una reazione alchemica che un programma codificato a priori: non sappiamo cosa diranno gli intellettuali che abbiamo invitato, la direzione artistica stabilisce la cornice, il titolo, e poi c’è la libertà interpretativa degli invitati, di chi suona e di chi parla. Ad esempio gli echi nietzscheani della serata inaugurale li immagino legati all’eterno ritorno, tema così caro a Nietzsche; la ciclicità temporale che si incarna nell’ultima sonata di Schubert, scritta dal compositore nel 1828, due mesi prima della morte. Il trillo col sol bemolle emerge e si ripropone in tutto il primo movimento come ineluttabile, in un tempo sospeso, un tempo kairologico di una dimensione sovrasensibile. L’ultima sonata di Schubert passa il testimone di mano in mano alla sonata di Berg, l’op.1, costruita in una perfetta forma sonata sul modello di Schubert ma con l’influenza del Tristano e Isotta di Wagner, punto nodale da cui si innervano gli sviluppi della musica espressionista tedesca. L’eterno ritorno che si presenta nell’esposizione con il primo e il secondo tema, come in uno stream of counsciousness , chiude il cerchio uroborico nella ripresa.

Altro appuntamento che ci propone un diverso ascolto della plurivocità musicale è quello con la neuroscienziata Alice Mado Proverbio e il giovane talento Giacomo Bertolazzi, vincitore del 2° premio e di 5 premi speciali al Concorso Pianistico Internazionale “Franz Liszt” di Budapest nel 2021; tra altri numerosi premi ha vinto anche nel 2019 il “Premio Alkan per il virtuosismo pianistico”.

Sarà interessante capire qualche nesso scientifico esiste tra quello che è la dote di natura, il talento dei giovani concertisti come Giovanni Bertolazzi o il dono dell’orecchio assoluto e le caratteristiche neuroplastiche del cervello che possiede queste doti.

La scienza, come la musica, ha bisogno di creatività e inventiva e la musica come la scienza procede con rigore e tecnica. Il lavoro di una continua ricerca di Alice Mado Proverbio coniuga questi due ambiti.

Parleremo nella bella sede di Villa Litta Modignani della creazione al femminile, con la pianista e compositrice Sofia Neri e con la pastora battista Cristina Arcidiacono. I brani in programma sono tutti di compositrici donne.

Credo sia impensabile non nominare una figura femminile dell’antichità che si è soffermata sul concetto di amore per il bello e sulla sublimazione della creatività nell’arte: la sacerdotessa Diotima che con Socrate dialoga su Eros, sarà spero fonte di ispirazione.

Se Freud dice che l’io non è padrone in casa propria, perché siamo preda dell’inconscio, dell’Es, possiamo aggiungere che Eros e la musica sono coinquilini nella stessa casa».

Nel ricco carnet di ospiti spicca più di un nome che merita attenzione, tra cui senz’altro quello dei pianisti Adam Laloum e Boris Bloch.

LC: «Ogni anno mi piace invitare qualche grande interprete straniero che però suona poco in Italia. Abbiamo sempre detestato la ripetitività di certi cartelloni, quindi il nostro primo obiettivo è quello di far ascoltare qualcosa che in Italia, e nello specifico a Milano, si ascolta di rado. Così è stato nella prima edizione con il francese Jean-Marc Luisada e nella seconda con lo svizzero Jean-François Antonioli: due concerti preziosissimi, che non dimenticherò facilmente. La prima cosa che mi interessa in un pianista è il suono, la personalità sonora, l’unicità che nasce dal tocco: oggi c’è un po’ troppa standardizzazione in tal senso, quindi i pianisti che invitiamo sono personalità in qualche modo controcorrente. Ci tengo a specificare che per “tocco” non intendo semplicemente una tecnica di produzione del suono, ma anche e soprattutto un sentire profondo che si riflette nel movimento e quindi nel suono.

Anche Adam Laloum e Boris Bloch sono pianisti unici in tal senso. Entrambi hanno vinto grandi concorsi (Laloum il “Clara Haskil”, Bloch il “Busoni”), ma la loro ricerca è andata poi ben oltre. Ascoltai Laloum per la prima volta alla Roque d’Antheron, circa 15 anni fa: rimasi folgorato dal modo in cui questo pianista di Tolosa, all’epoca ventenne, riuscì a entrare nel mondo di Schumann con una profondità e un fuoco interiore davvero speciali. Caratteristiche che ha mantenuto, aggiungendo un sempre maggior scavo interpretativo. Di Boris Bloch ho amato moltissimo gli album discografici più recenti, in cui ripercorre i grandi autori (Scarlatti, Mozart, Beethoven, Chopin, Liszt, Čajkovskij) con un’arte del “dire” e una persuasività discorsiva più uniche che rare. È un grande virtuoso, ma in lui il virtuosismo si declina non solo come agilità e forza, ma anche in termini diars retorica e colorismo. Non stupisce che venga da una città “magica” che è stata culla di molti dei più grandi pianisti del ‘900, da Gilels alla Grinberg, fino a Cherkassky: Odessa, in questo momento tremendamente colpita dalla guerra. Questo aspetto sarà un tema di riflessione importante nel dialogo fra me e Franco Pulcini, grande esperto della Russia novecentesca».

Il 2022 verrà ricordato come un anno complicato, dominato da risvolti imprevedibili dell’attualità. Cosa può offrire al proprio pubblico l’edizione del 2022 di PianoSofia in un contesto simile?

SL: «Credo che PianoSofia crei dei ponti di senso, che ci ricongiungono all’ideale della mousikè, a quel concetto ampio che include anche la poesia e la danza (e nell’edizione scorsa l’abbiamo avuta con musiche di Rameau eseguite da Luca Ciammarughi).

Quindi un approdo in una dimensione di sana evasione culturale per ritrovare un tempo di riflessione, slegato dalla vorticosa velocità della quotidianità.

Tutti noi ne abbiamo bisogno, è un tempo che respira come quando si è in un bosco o in mezzo al mare; ha una qualità diversa dal tempo spietato di Kronos».

Cosa c’è nel futuro di PianoSofia?

LC: «Al momento non so dare una risposta. La nostra ricerca è piuttosto rabdomantica. Non sono ossessionato dal programmare in anticipo, anche perché ciò che mi entusiasma oggi potrebbe deludermi dopodomani. Vivo molto nel carpe diem , ma per fortuna c’è Silvia Lomazzi che ha un po’ più di accortezza di me: ogni tanto bisogna pur portarsi avanti! Ora la priorità è certamente la ricerca di spazi, perché vorremmo fare di PianoSofia un format itinerante, in movimento come la musica stessa».

SL: « Per il futuro abbiamo ancora molti sogni nel cassetto, e speriamo che dal cassetto possano uscire per fluttuare in nuovi spazi che ci accolgano».


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